La vita di Charles Dickens: tra sofferenze e vittorie personali

Nel periodo in cui lavorò nella fabbrica di lucido di scarpe, Charles Dickens si sentì tradito, lasciato solo ed umiliato. In effetti questo particolare, nella prima parte dello speciale, non lo abbiamo per nulla menzionato e non tanto perché lo trovavamo inutile, al contrario. Ne parliamo adesso, perché proprio in questa seconda parte scopriremo come il destino ha cambiato la sua rotta, in meglio comunque, non permettendogli, seppur all’età di soli quindici anni, di entrare a far parte del mondo della legge. Per l’esattezza nel mondo dell’avvocatura.

Difatti, il piccolo Charles aveva, per sua fortuna e in tale settore, una carriera molto avviata. Eppure, proprio durante l’espletamento dei doveri, della redazione di atti particolari o comunque anche presenziare in tribunale, Charles, scoprì che quel mondo non era propriamente fatto per lui.

Lo studio legale per il quale svolgeva il tirocinio forense era conosciuto come Ellis & Blackmore e, dopo averlo lasciato, iniziò a studiare stenografia. Non solo, lasciato comunque l’attività forense nel 1828, comunque lavorò per un famoso giurista irlandese di quei tempi, Charles Molloy proprio come stenografo. La sua attività era quella di redigere, per non dire di riportare, tutto ciò che accadeva e che si diceva durante le udienze che si svolgevano nei vari tribunali.

Frattanto, Dickens, scoprì, finalmente, la sua vera passione. Incominciò ad interessarsi di teatro, frequentando, sempre più assiduamente, quelli londinesi. Seguendo, tra l’altro, spettacoli di vario genere, come le classiche tragedia shakesperieane, per non dimenticare le farse e le operette morali.

Contemporaneamente lavorò per l’agenzia, fondata da suo zio, chiamata ‘The Mirror of Parliament’, ovvero ‘Lo specchio del Parlamento’; in questo caso seguirà le cronache parlamentari. Non solo, sempre nello stesso periodo, diventa cronista del quotidiano ‘True The Sun’. Con lo stipendio finalmente poté finalmente andare a vivere da solo. All’inizio di questo periodo, abbastanza fortunato per lui, Charles Dickens s’innamorò persino di una donna, ma purtroppo la relazione non va a buon fine. Tutto questo tra il 1830 ed il 1833.

Chiaramente sono ancora lontani dieci anni i tempi de ‘Il Canto di Natale’, ma la sua attività come scrittore, seppur attraverso il lavoro di giornalista gli permise di viaggiare per tutta la Gran Bretagna. Fu proprio in quel momento che gli vengono pubblicate, a puntate, anche sul quotidiano, con cui collaborava dal 1834, dei bozzetti di vita quotidiana, dal titolo ‘Sketches by Boz’, proprio con lo pseudonimo indicato. Facendo ordine, però, dal 1° dicembre del 1833 pubblica il suo primo bozzetto sul Montly Magazine; mentre nell’agosto del 1834 scrive per il ‘Morning Cronicle’.

Un anno e mezzo più tardi, nel 1836, arriva finalmente l’anno della svolta. La casa editrice Chapman & Hall decise di pubblicare il suo primo romanzo, uscito a puntate, in dispense mensili, grazie al ‘Morning Cronicle’. Il suo primo manoscritto lo renderà subito famoso ma solo per un po’; il titolo è ormai diventato un vero e proprio classico: I quaderni postumi del circolo Pickwick.

Non contento, l’anno successivo ancora riesce a piazzare il suo secondo romanzo, sempre prima a puntate e poi come vero e proprio libro. Anche questo è titolo diventato immortale: Oliver Twist. Due titoli immortali, due titoli rimasti nella storia della letteratura non solo britannica, ma anche mondiale che, specialmente, per l’orfanello più conosciuto al mondo, sono state realizzate, nel corso del tempo, diverse versioni cinematografiche.

Un quinquennio più tardi ad Oliver Twist, dove per lo stesso Charles Dickens le soddisfazioni non sono per nulla mancate, per il giornalista e scrittore i guai non finiscono mai. Sono rogne, se così si potrebbe dire, che provengono dal passato. Debiti non contratti da lui ma, purtroppo, da suo padre.

Proprio a causa di questo motivo all’inizio del nuovo decennio del 1800, gli anni ’40 e precisamente nel 1841, Dickens scrive di suo pugno una lettera rivolta ai suoi lettori in cui si dichiara, senza mezzi termini, di non avere responsabili dei debiti contratto da suo padre e che, in quel preciso momento della sua vita, lo stavano travolgendo. Fu proprio in quell’occasione che nacque la necessità di realizzare una storia, un romanzo, le cui vendite gli avrebbero potuto togliere le castagne dal fuoco.

Questo episodio della sua vita viene raccontato, come già anticipato in precedenza, nel film del 2017, di produzione britannica, interpretato da Dan Stevens, in cui si riportano le fasi che portarono alla realizzazione del suo più grande capolavoro: Il Canto di Natale. A distanza di questi lunghi cento ottanta anni cerchiamo di capire il perché di questo titolo, tralasciando, per un momento il percorso esistenziale dello stesso scrittore.

Non si può, però, aprire tale disamina senza ricordare le prime parole inaugurali di quello che è, di fatto, non tanto un romanzo, semmai un piccolo grande racconto; perché così deve essere inteso e ricordato o comunque sempre riconosciuto.

Marley era morto, tanto per cominciare. Non c’era dubbio su ciò: il suo atto di morte era firmato dal pastore, dal coadiutore, dall’uomo delle pompe funebri e dal capo dei piagnoni. L’aveva firmato anche Scrooge, ed il nome di Scrooge alla Borsa degli scambi valeva per qualunque cosa a cui egli decidesse di metter mano. Il vecchio Marley era morto come un chiodo di un uscio”.

Sembra, dunque, che tutto ruoterebbe attorno al socio di Scrooge, questo Marley che era morto qualche tempo prima. I due, Scrooge e Marley, erano soci in affari e nella loro vita avevano pensato solo ad una sola cosa: ad arricchirsi; fomentando, tra l’altro, il loro egoismo peggiore.

Non si conoscono i motivi per cui il personaggio di Marley ha agito in certo modo nella sua vita, ma il lettore, andando avanti nel racconto, scoprirà perché il cuore di Scrooge si sia così chiuso nel corso del tempo. Ci teniamo a precisare che in questo caso la parola ‘cuore’ non la stiamo usando in maniera impropria. No, perché è lo stesso Charles Dickens che ha ideato e sviluppato una delle storie più semplici che la storia stessa della letteratura ricordi, proprio con il cuore: il cui messaggio è arrivato fino a noi, nella nostra epoca, per un semplice motivo: è universale.

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