Un piccolo grande racconto con più di un messaggio rivolto ai lettori

“In questo libricino sullo spirito ho cercato di evocare lo spirito di un’idea che non metta i miei lettori di mal animo con sé stessi, fra di loro, con la stagione e con me. possa esso aleggiare gradevolmente nelle loro case e che nessuno desideri scacciarlo. Il loro fedele amico e servitore…” e fermiamoci qui, non andiamo oltre ancora. Queste parole sono state scritte da un autore, da uno scrittore, passato alla storia della letteratura mondiale, non solo per un piccolo e grande manoscritto, ma anche per aver inventato anche e soprattutto un’espressione di auguri che, tutti quanti noi in questo periodo, iniziamo a scambiarci.

Ma come sempre, quando si tratta di approfondire o anche di ricordare semplicemente un qualcuno o qualcosa, andiamo con ordine, precisando che in questo speciale si celebra i centottanta anni di uno dei racconti, romanzi, novelle, storie più famosi della letteratura medesima. Certo, sarebbe più giusto identificarlo come una semplice racconto, perché in fondo si tratta di questo.

Una semplicità, sicuramente, che neanche lo stesso scrittore non avrebbe mai e poi mai pensato che raggiungesse tutti i lettori del mondo e anche della nostra epoca. La trama, nella sua essenza, è a dir poco facile da raccontare: un uomo ricco, anziano e tirchio, passa i suoi giorni a non trattare come pari i suoi simili e a non festeggiare il Natale.

Il suo socio in affari, morto da qualche tempo, tornerà come fantasma avvertendolo della visita di tra spiriti di tre differenti Natali. Uno del Natale passato, quello del Natale Presente e dei Natali futuri. Con lo spirito del passato rivivrà alcuni momenti della sua vita proprio durante il giorno di Natale; con quello del presente, vivrà i momenti che si sta perdendo in famiglia e con quello del futuro scoprirà cosa gli aspetta e, molto probabilmente, non solo a lui. Non cose positive, dunque. Alla fine, rinsavirà, convertendosi e cambiando come uomo, augurando a tutti: Buon Natale.

Ovviamente avete capito di quale racconto stiamo parlando ed era inevitabile non farlo proprio ad una settimana dal Natale. Certo, cari lettori, ci farete notare che forse potevamo attendere fino al 25 di dicembre, ma la casa editrice che pubblicò questo piccolo grande capolavoro decise di farlo il 19 dicembre del 1843, ben 180 anni fa e chissà cosa direbbe il suo autore, Charles Dickens, di questo eterno successo che dura ancora oggi?

Forse non ci crederebbe neanche lui, eppure lo scrittore inglese riuscì comunque a godersi i frutti del suo lavoro dopo che, prima dello sviluppo del racconto e quindi della pubblicazione, non stava attraversando, proprio come autore, un buon periodo; come confermato dall’omonimo film del 2017, firmato da Bharat Nalluri, che racconta proprio le origini de ‘Il Canto di Natale’.

Che la storia della letteratura, sia quella antica che moderna, per non dire anche quella contemporanea, è contrassegnata, indissolubilmente, da opere che fungono da spartiacque come prima e un dopo, non c’è alcuna ombra di dubbio. E non c’è alcun bisogno, per certi versi, di scrivere un’opera dal linguaggio arzigogolato oltre che difficile. Alle volte bastano delle semplici parole, delle semplici espressioni scritte nel modo giusto e tutto diventa storia.

Per scrivere certe storie, di sicuro, si deve essere in possesso di un’innata o quantomeno sviluppata sensibilità tale da intuire, in tutto e per tutto, non solo il proprio disagio interiore, ma anche quello che ci circonda: quel disagio esteriore che riguarda tutta la comunità. Di contro, se qualcuno pensa che ‘Il Canto di Natale’ sia solo ed esclusivamente un racconto di fantasmi commette un gravissimo errore.

Nella sua essenza la storia, per non dire la trama, possiede un forte messaggio sociale, in cui venivano toccate tutte le tematiche sociali di quel tempo: quella dell’Inghilterra o, come meglio preferite, della Londra Vittoriana. Senza dimenticare, anche, determinati temi che toccavano l’animo dello stesso scrittore. In fondo, qualsiasi opera che un qualsiasi autore sviluppa possiede sempre qualcosa di personale. Basta conoscere un po’ della sua vita per scoprire che alcune piccole dinamiche sociali e di vita sono stati presenti anche durante il percorso esistenziale dello stesso Charles John Huffman Dickens, meglio conosciuto come Charles Dickens.

Nato il 7 febbraio del 1812, a Landport, presso Porthsmouth, il futuro autore del Canto di Natale ed inventore, in tutto e per tutto, degli auguri di Buon Natale, era figlio di Elizabeth Barrow e John Dickens, quest’ultimo impiegato all’ufficio stipendi della Marina Militare.

La vita di Charles, per i primi undici anni di vita, fu pressocché normale. All’età di tre anni si trasferì, con la famiglia, a Londra; mentre nel biennio seguente andò a vivere a Catham, nel Kent. Proprio in quella regione dell’Inghilterra, Charles incominciò ad avere la sua istruzione secondo i canoni protestanti che lo influenzarono per tutta la vita; contemporaneamente divenne anche un gran divoratore di libri.

Purtroppo, negli anni che vanno tra il 1923 ed il 1924 per lui e per la sua stessa famiglia iniziarono i problemi, quelli seri, quelli economici. Il periodo nero lo inaugurò suo padre, il quale si fece arrestare per debiti contratti nel tempo, venendo rinchiuso nel carcere di Marshalsea, nella zona di Camden Town; si, perché nel febbraio del 1923, impoveritisi, i Dickens tornarono nuovamente nella capitale britannica. Ma non finì qui, purtroppo.

Nel febbraio dell’anno successivo, il padre di Charles, John, uscì di prigione, ma il futuro autore de ‘Il Canto di Natale’, nel frattempo, fu costretto a mettersi a lavorare, per dieci ore al giorno, in una fabbrica di lucido da scarpe il cui proprietario era il coinquilino dei Dickens, James Lamert. Charles lavorò fino al 1825, quando poi poté finalmente iscriversi alla Wellington House Academy.

Allo stesso tempo, il padre, una volta uscito di prigione, dopo un anno ottiene una cospicua pensione grazie all’eredità della madre, che era morta nell’aprile del 1824. Charles, così, tornò a casa di John. James Lamert, dal canto suo, insistette per riportare il piccolo Dickens. Ma lo stesso John, s’impuntò, riuscendo a far iscrivere presso l’istituto già menzionato. Ma il campo della letteratura, nella vita di Charles Dickens, non era ancora realtà, ma lo diventò molto presto e per uno strano gioco del destino.

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