Il personaggio di Scrooge è una metafora che un po’ rappresenta tutti quanti noi

C’è un po’ di Scrooge in tutti noi. Iniziamo così questa terza ed ultima parte dello speciale interamente dedicato ai quasi due secoli de ‘Il Canto di Natale’ e in fondo è così: il personaggio iconico ideato da Dickens, è veramente un po’ in tutti quanti noi. D’altronde c’è sempre qualcosa nella vita che non va. Qualcosa che non gira come vorremmo e soprattutto qualcosa che ci fa star male.

Dickens, dal canto suo, purtroppo, ebbe il trauma, forse, non tanto dei debiti contratti dal padre, quanto il fatto di dover andare a lavorare nella fabbrica di lucido di scarpe. Una decisione, per molti versi, voluta a più ripresa dalla stessa madre e che, la stessa donna, non venne mai perdonata dallo scrittore fino a quando rimase in vita. Durante quel periodo, Dickens, subì, purtroppo, i maltrattamenti da parte del padrone della fabbrica.

Non sappiamo se, nella sua vita privata, Dickens avesse un po’ della stessa scontrosità attribuita al suo ricco, egoista e taccagno personaggio. Sta di fatto che, nella sua essenza, lo stesso Canto di Natale, era, per molti versi, una forte critica sociale; un racconto che illuminava l’animo umano, toccando vari temi sociali e tanto cari, anche se indiretti, allo stesso autore.

Generalmente Charles, considerando anche il ruolo che ricopriva, ovvero quello di giornalista, nei giudizi, nei suoi testi o comunque nei suoi scritti, si manteneva sempre in equilibrio. In quel 19 dicembre del 1843 la ‘musica’ sembrò mutare. Non a caso, anche l’illustratore, che aveva collaborato alla pubblicazione del racconto, era sempre stato un fervente anti-vittoriano, al contrario dello stesso Dickens.

Molto probabilmente l’autore, a causa proprio delle sue esperienze negative, a partire dall’infanzia, si sfogò nello scrivere questa sua opera, toccando anche alcuni nervi scoperti della stessa società inglese.

Il successo de ‘Il Canto di Natale’ fu elogiato dalla critica e persino da autori più famosi e quotati dello stesso Dickens. Per esempio, Robert Louis Stevenson, l’autore de ‘L’isola del tesoro’ affermò, in base ad una dichiarazione rilasciata qualche tempo più tardi, di aver dovuto sforzarsi di smettere di piangere dopo aver letto la storia di Scrooge. Precisamente, in quelle parole, lo stesso autore, faceva menzione anche ad un’altra grande opera dello scrittore e giornalista, sempre un altro racconto ambientato nel periodo natalizio.

Questo perché in Scrooge, per alcuni versi, ci riconosciamo tutti. Seppur il suo essere continuamente contrariato, ma non cattivo nella sua essenza, è un rappresentato, no solo per l’epoca, uno stato d’animo comune a chiunque. I tre fantasmi sono, senza troppi giri di parole, i tre grandissimi traumi che l’uomo medio incorre nella sua esistenza.

Quelli del passato, appunto. Che sono intese come ferite difficili in alcune dinamiche, e, allo stesso tempo, complicate da rimarginare. Quelle del presente, ovvero quelle che ci colpiscono condizionando, per sempre, la nostra esistenza ed il rapporto con gli altri. Per non dimenticare quelle del futuro, che ancora devono arrivare ma che saranno nostri semmai non riuscissimo, nel presente, a porre rimedio dentro noi stessi. Dentro al nostro animo, dentro al nostro cuore.

Perché ‘Il canto di Natale’ come titolo? Non ci siamo informati molto, dobbiamo ammetterlo. Semmai è una nostra idea che ci siamo fatti nel tempo e che ci permette di spiegare, a modo nostro, il senso di tale titolo. Non è un caso, leggendo attentamente il racconto che la storia è suddivisa non in capitoli, come la regola basilare vorrebbe, no. Ma in strofe, le quali potrebbero indicare, tranquillamente, le parti della storia stessa; semmai anche di una canzone.

Strofa, perché molto probabilmente, Dickens con questo racconto ha voluto scrivere o comunque realizzare un inno di speranza. Una lunga ‘canzone’, appunto, i cui versi sono prima malinconici, cupi e privi di ogni visione speranzosa per il futuro, per poi terminare un lunghissimo e caloroso abbraccio corale con quella che viene definita, per antonomasia, la sua vera invenzione: quel ‘Buon Natale’ che tutti quanti oggi ci scambiamo tra di noi.

Infatti, la leggenda narra che prima di questa tipica espressione la frase usata era ‘Lieto Natale’. Con il ‘Buon Natale’ cambia davvero tutto. Si tratta sempre di un augurio ma meno formale ma più caloroso. Un augurio che proviene dritto dal cuore. Non è un caso che il film del 2017 è propriamente intitolato: Dickens – L’uomo che inventò il Natale, nonostante se come festa, come celebrazione in sé, esistesse da 1843 lunghissimi anni.

Il canto di Natale rappresentò in quei tempi una vera e propria scossa sociale, permise a molti di osservare bene la realtà da cui venivano circondati. Il successo, quindi, non fu solo di critica, me persino di vendite. Le cronache dell’epoca ci riportano che già prima della Vigilia di Natale, sempre dello stesso anno, la casa editrice produsse e vendette ben seimila copie. Record assoluto, ovviamente per quei tempi.

E lo stesso Dickens? Dopo quel successo come se la passò? Divenne il più famoso di tutto il Regno Unito ma i problemi che lo attanagliavano furono di ben altra natura. Continuò a scrivere e quindi a pubblicare le sue storie, tra cui si ricorda di David Copperfield, Tempi difficili, Le campane, La bottega dell’Antiquario, Il patto con il fantasma, Storia di un bambino, Racconto di due città e tanti, tanti altri titoli. Compresi qualche altra storia natalizia.

Nonostante tutto questo, l’exploit raggiunto con ‘Il Canto di Natale’ non lo raggiungerà mai più. Nessuna opera che riuscì a pubblicare poté essere paragonata a quella in cui Scrooge è protagonista. Ad oggi si contano ben 34 adattamenti cinematografici che partono dal 1901 al 2022, per non parlare dei vari adattamenti sia televisivi e sia teatrali. Abbiamo detto della sua salute, che iniziò a peggiorare nel periodo in cui girava in lungo e in largo il mondo. Italia e Stati Uniti, tanto per citare due paesi.

La data esatta da tenere a mente fu quella del 1865, durante un incidente ferroviario. Stava tornando da Parigi in gran segreto, ovvero dalla donna che le stava facendo dimenticare la sua vera moglie. Tre anni più tardi il primo attacco di paralisi e due anni dopo, quando ormai non poteva più svolgere le letture pubbliche, il 9 giugno del 1870 lasciò un vuoto incolmabile e non solo nella letteratura.

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