Quando parliamo di Artico e Polo Nord, pensiamo ad un luogo deserto, immenso e sconosciuto. Il ghiaccio che ricopre ogni cosa e, a parte gli orsi polari e pochi altri animali, difficilmente pensiamo a diverse forme di vita. La regione artica è abitata, invece, da almeno sette popolazioni indigene, transfrontaliere e custodi di antiche e profonde tradizioni e culture. 

Popolazioni millenarie, che sopravvivono a condizioni climatiche estreme ma che, oggi, paradossalmente, sono seriamente minacciate dal progressivo innalzamento delle temperature globali. E proprio dallo scioglimenti di quei ghiacci che le hanno protette per secoli.

Ogni anno l’ONU redige il “World Happiness Report”, una valutazione della felicità dei diversi paesi del mondo, basandosi su parametri di reddito, aspettativa di vita, sostegno sociale, libertà, fiducia e generosità. Ogni anno si conferma la storica tendenza che vede ben sei, tra i primi nove paesi con il più alto tasso di felicità al mondo, situati nella zona Artica. Sono Finlandia, Danimarca, Norvegia, Islanda, Svezia e Canada.

Ma un identico report, quello stilato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sul tasso dei suicidi nel mondo, riporta esattamente gli stessi paesi nelle prime posizioni.

Le percentuali dei suicidi in Norvegia, Russia, Canada, Danimarca, Finlandia e Svezia risultano doppie rispetto a paesi come, per esempio, Italia e Grecia.

Nonostante il diffuso livello di benessere, il 12.3% della popolazione di quelle regioni riporta bassi livelli di soddisfazione di vita. Le fasce di popolazione più vulnerabili sono i giovani (18-23 anni) e gli over 80. Il 14% dei giovani e il 16% degli anziani riportano livelli di infelicità e sofferenza psicologica molto alti. In particolare, in Danimarca, il 18% dei giovani ha problemi psichici e, in Norvegia, questi sono aumentati del 40% in 4 anni.

Negli ultimi periodi è stato, poi, osservato anche un aumento delle cattive condizioni di salute mentale. Tra i giovani, in generale, viene evidenziato soprattutto il rifiuto di contatti sociali.

La tematica è connessa fortemente alla religione e, più in generale, alla spiritualità. Le persone più religiose sono anche le più felici. In tutti i paesi nordici, le persone credenti risultano più felici anche quando non hanno migliori livelli di reddito, rispetto agli atei o alle persone “moderatamente” religiose.

In ciò si innesta la difficile transizione al mondo contemporaneo. Le popolazioni nordiche indigene vivono un rapporto simbiotico con la natura, caratterizzato dallo sciamanésimo. Un complesso di credenze e pratiche rituali, imperniate sulla figura dello sciamano. Questo è una sorta di capo carismatico investito di responsabilità collettiva, mediatore con gli spiriti e terapeuta. La sua funzione principale è quella di assicurare la ‘fortuna’ nella caccia, in base all’idea che gli esseri naturali di cui si nutre l’uomo (selvaggina, pesci e piante) siano dotati anch’essi di una componente spirituale.

Le realtà indigene poggiavano, quindi, su un rapporto spirituale armonico e complementare con l’Universo, che la civiltà moderna ha rotto. Oggi esiste un rapporto dicotomico tra Uomo e Natura, in cui il primo domina la seconda. L’interruzione delle antiche tradizioni di vita e la diffusione dell’alcolismo hanno reso ancora più vulnerabili queste popolazioni.

Emblematico è il caso degli Inuit groenlandesi, che annoverano il più alto tasso di suicidi al mondo. Il governo danese ha, infatti, introdotto pratiche commerciali a forte impatto, minando la tradizionale economia dei piccoli villaggi locali, basata sulla caccia e il commercio collettivo di carne e pelli.

Il riscaldamento globale, poi, fenomeno accentuato nell’Artico probabilmente più di quanto si pensi, sta aprendo la Groenlandia agli interessi di business globali.

Libere dai ghiacci, quelle terre sono la nuova frontiera per l’estrazione degli idrocarburi, ma anche delle cosiddette “Terre Rare”, di cui i cinesi hanno sviluppato una propria formula di lavorazione. Sono questi elementi sempre più richiesti nelle applicazioni della tecnologia, dagli schermi dei cellulari, alle batterie elettriche, fino alla componentistica missilistica di precisione.

Tali attività comportano importanti ricadute ambientali. Le “Terre Rare”, per esempio, non devono il proprio aggettivo ad una effettiva scarsità, bensì ad una loro bassa concentrazione nel materiale estratto. Ciò porta ad un utilizzo maggiore di energia e di agenti chimici inquinanti necessari per l’estrazione.

Il fatto che la Groenlandia abbia una bassissima densità di popolazione e che sia geograficamente “fuori mano” agevola il processo di delocalizzazione delle attività industriali inquinanti dal Primo al Terzo Mondo, dove ricade appunto anche la terra degli Inuit. La verginità ambientale di questi luoghi potrebbe essere sacrificata per assicurare la transizione ecologica dei Paesi più evoluti e della Cina.

La colonizzazione sta portando la maggioranza delle comunità autoctone ad abbandonare del tutto, o in parte, il proprio stile di vita originale. Anche se oggi alcune popolazioni stanno cercando di recuperare usanze e tradizioni, la civiltà degli allevatori di renne, dei cacciatori di mammiferi marini e dell’uomo in armonia con l’ambiente rischia di scomparire per sempre.

Il male oscuro dell’Artico non distingue né età né classe sociale. I programmi statali di prevenzione al suicidio puntano all’inclusione e allo sviluppo del senso della comunità.

Un esempio virtuoso è quello di Brevig Mission.

In alcune città dell’Alaska, fino a qualche anno fa, il numero di suicidi era pari a quello delle nascite.

Il male non era però del tutto oscuro. Gli studi e le ricerche conducevano sempre verso un denominatore comune: la noia (boredom, in americano). E dove psicologi, sociologi e terapeuti governativi hanno fallito, un giovane nativo, Robert Tokeinna, di 28 anni, ha trovato un antidoto. La danza.

Danze rigorosamente Inupiat, quelle secolari, per ritrovare lo spirito e l’essenza intrinseca di questi popoli. Da 4 anni, Robert riesce a far danzare i giovani e meno giovani di Brevig Mission. E, per il momento, la lunga scia di suicidi sembra essersi fermata. Perché la danza è anche aggregazione, senso di appartenenza e socialità.

Tuttavia, le ancora alte percentuali del fenomeno dei suicidi testimoniano che l’armonia interiore di questi popoli, secolarmente abituati a vivere in simbiosi con la Natura, è stata rotta.

Purtroppo, anche lo scioglimento dei ghiacci che rendono appetibili e sfruttabili economicamente questi territori, non più innevati, non potranno che aggravare queste tragiche situazioni.

Un pensiero su “LE CITTA’ ARTICHE: UNA SFIDA DIVERSA”
  1. Grazie Andrea, molte cose non le conoscevo ed il numero dei suicidi una cosa impressionante, è proprio vero che l’uomo si adopera un maniera determinata alla sua distruzione, spero in un ravvedimento rapido per salvare il destino delle prossime generazioni. Ancora grazie. Renzo

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