La moda è cambiamento continuo, non lascia molto spazio all’individualità ed ha come denominatore comune l’“essere al passo con i tempi”, far parte di un gruppo “alla moda”. Un caso a parte è il glamour dei jeans, che possono essere strappati, rammendati e utilizzati per ogni occasioni informali e non solo.

Nel corso del tempo questo capo di abbigliamento ha subito delle variazioni. A partire del 1850 il termine jeans viene utilizzato per designare non il tessuto ma un modello di pantaloni. Nel 1860 Levi Strauss per adeguarsi alle richieste dei cercatori d’oro, rinforza le tasche mediante borchie di rame e nel 1873 brevetta i suoi pantaloni che forniscono una vera e propria uniforme ai lavoratori dai mestieri pesanti. Capi di abbigliamento resistenti all’usura, Strauss utilizzò la tela di colore “marroncino” che normalmente si usava come copertura dei carri dei pionieri. Solo successivamente a
corto di tela si rivolse a suo fratello che gli spedì la tela “blue di Genova”. Da quel momento il jeans è diventato “blue jeans”.

Di seguito i cow-boys del Far West utilizzarono il tessuto per confezionare non solo i pantaloni ma anche delle robuste giacche e venne utilizzato anche per le uniformi militari. Negli anni ’30 i jeans giungono per la prima volta in Italia, indossati solo da pochi giovani che, a loro modo, contestano il regime del ventennio dando la preferenza ai
prodotti che giungono dall’America, considerata ancora la patria della libertà. Dopo la Seconda guerra mondiale c’è il boom dei blue jeans.

I divi di Hollywood, come Marlon Brando e James Dean, furono tra i primi a indossare i jeans. I ragazzi “ribelli” copiano i loro idoli, diventando un marchio di appartenenza. Ad un secolo o poco più dall’apparizione in America di Levi con le sue tende, i blue jeans hanno cambiato completamente “fattezze” al punto che i cercatori d’oro non sarebbero in grado di riconoscerli: ora sono aderenti come guanti, vita alta, vita bassa ma comunque sempre molto stretti. Negli anni ‘60 i jeans diventano la divisa dei giovani, simbolo delle ideologie rivoluzionario del ‘68 , contro il perbenismo
conservatore e borghese, segno dell’antimoda, il modello più utilizzato è il Levi’s 501.

Il jeans, diventa il primo capo globalizzato, mantenendo il primato ancora oggi, senza previsioni possibili di flessione in questo senso. Negli anni ’70 i jeans facevano già parte della “divisa” del contestatore soltanto quando erano anonimi
mentre se erano firmati, facevano “fascio”. All’abbigliamento differenziato per classi sociali, per età e per sesso, il jeans ha sostituito un capo unico assolutamente indifferenziato e omogeneo, cioè uguale per tutti. Trasversale e valido per tutte le classi sociali e tutte le età, è utilizzato con la stessa disinvoltura dalle star del cinema dal dirigente della multinazionale, dall’operaio; dal professore e dallo studente. Si è sostituito all’abbigliamento differenziato per sesso, quale capo sicuramente unisex.

Ma la storia del jeans continua con il suo ingresso nel mondo della moda; compare griffato, con qualche piccola variazione, poi diventa una presenza sempre più costante nelle collezioni, seguendo le idee degli stilisti. Con il tempo si sono moltiplicati i modelli: a campana, a tubo o sigaretta, attillato, a cavallo alto, a cavallo basso, con zip e con bottoni, così come sono cambiati i colori sfruttando tantissime tonalità.

Dagli anni ‘90 sono iniziate ad andare di moda le versioni vissute del jeans: delavè, bucati, strappati, arricchiti da pietre, secondo le fantasie degli stilisti. Lo ritroviamo contaminato da nuove tecnologie di lavaggi o dall’utilizzo di fibre costose, arricchito pietre e cristalli, lussuosamente ricamato. Quindi lo troviamo sui mercati con due significati diversi: come abbigliamento casual da lavoro e per il tempo libero; o come capo alla moda lussuoso e nicchia di mercato. Il jeans ha subito una netta trasformazione da indumento di lavoro o divisa a capo ricercato e per tutti i “gusti”.
Un indumento che va considerato oltre la moda e sul quale il sole non tramonterà mai.

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