Una enorme villa di migliaia di metri quadri, decine di posti letto, solitamente una grande piscina immersa nel verde di un giardino: questa è la collab house, ovvero la “casa degli influencer”. Una sorta di “comune” rivisitata.

La prima “comune” al mondo, venne fondata dal pittore tedesco Karl Wilhelm Diefenbach, all’inizio del Novecento, insieme ad un gruppo di amici, sull’isola di Capri. Fu però la cultura hippy, negli anni Sessanta, a diffondere, in tutto il mondo, il concetto del “vivere insieme”, per condividere valori e stili di vita.

Nelle collab house i giovani talenti imparano a confrontarsi con il mondo e i suoi problemi, studiando, tra le altre cose, anche politica e finanza.

Tutto è iniziato pochi anni fa: 19 ragazzi, una villa, un social network e milioni di follower. A dicembre 2019, a Los Angeles, nasceva la “Hype House”, una vera e propria sede creativa che ospitava alcuni giovanissimi famosi tiktoker. Da lì, questa nuova forma di comunità è arrivata velocemente in Italia.

Le collab house sono quindi ville o mega appartamenti in cui i ragazzi passano il loro tempo, cercando l’ispirazione giusta per creare nuovi contenuti social. Stando a stretto contatto, i giovani creativi riescono a farsi venire idee più originali, entrando gli uni nei canali degli altri. Si fanno conoscere e moltiplicano così il numero dei follower. Dal punto di vista psicologico poi, la convivenza aiuta anche a gestire la fama che può arrivare improvvisa.

Da qualche mese, nonostante la pandemia, le collab house sono arrivate in Italia. Le due più famose sono la Defhouse, con un milione e 600 mila follower, e la Stardust House, che conta più di 800 mila follower.

Questo particolare fenomeno ha tuttavia origini lontane. Nasce esattamente negli Stati Uniti nel 2014. In quell’anno un gruppo di youtuber aveva dato vita a un esperimento simile. I membri del canale “Our Second Life” vivevano e lavoravano assieme nella loro casa. L’anno successivo, alcuni utenti di Vine – un’applicazione che permetteva di creare video – fecero lo stesso in un condominio di Hollywood. I tiktoker stanno, oggi, seguendo le orme dei loro precursori.

Le collab house non sono (solo) un parco giochi, ma luoghi in cui i ragazzi si incontrano, contaminano la community e aggregano nuovo pubblico. Tutti i partecipanti seguono un preciso schema di formazione. Le house propongono corsi di educazione finanziaria, di politica e di attualità. Insegnano ad abbattere la timidezza e ad utilizzare il metodo del confronto e della parola, per crescere culturalmente. Una realtà che permette di imparare, di conoscere altre culture, altre lingue, di formare interessi nuovi, spesso nemmeno considerati.

Oltre alla formazione artistica e culturale, i ragazzi imparano a rispettare orari, impegni e regole di convivenza, a partire dai turni per preparare i pasti.

Stardust House e Defhouse sono quindi i primi esempi italiani. Straordinari hub di creativi, con milioni di fan. Una realtà che rappresenta un unicum in Italia e, allo stesso tempo, è un punto di osservazione privilegiato da cui poter comprendere i cambiamenti e i trend di questi ultimi anni, che hanno visto aumentare tantissimo i numeri dei “marketing influencer”.

Alan Tonetti, fondatore di Stardust House, si è ispirato agli esempi USA per creare la sua casa dei tiktoker. Stardust House riunisce 20 giovani talenti ed è diventata una vera e propria industria. Arte, recitazione, musica e ballo sono le materie che si studiano da subito. Oltre naturalmente ad un corso intensivo di lingua inglese. Si tratta quindi di una vera e propria accademia.

Oltre alla selezione accurata dei talenti, una delle regole fondamentali per far funzionare una collab house è trovare la location giusta. La principale funzione della casa è infatti quella di essere un set di contenuti che mirano a milioni di visualizzazioni. Ogni dettaglio di design e qualsiasi stranezza dell’arredamento rendono i video più “instagrammabili”. La luce poi è un altro ingrediente fondamentale. Che sia naturale o meno, dalla luminosità può dipendere la riuscita di un video. Per questo motivo, nel kit di sopravvivenza di ogni tiktoker non può mancare, oltre allo smartphone (ovviamente di ultima generazione), un ring light, ovvero un cerchio luminoso, per produrre una luce uniforme sul soggetto, eliminando ogni imperfezione del volto.

Per diventare una star, aiuta sicuramente essere giovani, appartenere alla generazione Z, avere energia, una spiccata personalità, ma anche qualche caratteristica bizzarra, che serve a farsi notare e a distinguersi dalla massa.

Questa modalità di mostrarsi sta diventando lo specchio di una generazione influenzata dai reality show e abituata alla cura della propria immagine, in ogni dettaglio. Le collab house riflettono appieno questo trend.

Sono una sorta di Grande Fratello 2.0, dove la privacy scompare e il confine tra pubblico e privato si fa labile. Hobby e lavoro si sovrappongono fino a coincidere: viene monetizzato il tempo libero, per regalare ai propri follower brevi e fugaci attimi di intimità.

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