La storia di un poliziotto realmente esistito

Prima di proseguire ci sarebbe da precisare, fin da subito, che ci soffermeremo molto di più sulla vita, reale, di Frank Serpico, rispetto a quanto è stato riportato nel film, che per sommi capi, è stata gran parte rispettata, senza troppe licenze poetiche; a parte l’episodio cruciale che vi abbiamo indicato nella prima parte e con il quale, per alcuni versi, si decise di aprire il film dedicato a lui.

Dunque, una volta preso parte alla spedizione della Guerra di Corea, Serpico, una volta rientrato negli Stati Uniti, dal 1956, provvede, diciamo così, alla propria formazione: tra il lavoro, parziale, di detective privato, e gli studi, molto probabilmente, di giurisprudenza. Terminato tale percorso, nel 1959, come indicato anche nel film diretto da Sidney Lumet, si arruola in polizia diventato, a tutti gli effetti, uno dei nuovi agenti di polizia della Grande Mela.

Il distretto a cui venne assegnato era l’ottantunesimo e fin da subito si rese conto dell’amara realtà dei fatti: ossia della troppa negligenza e corruzione, in alcune dinamiche, tra quelli che dovevano essere, comunque, i suoi colleghi e no, purtroppo, i suoi nemici.

Il suo girovagare tra un distretto e l’altro ha inizio, esattamente, a partire dal 1961, quando lavora presso al Bureau of Criminal Identification. Una tappa, per ogni poliziotto che si rispetti e che comunque ambiva a far carriera, ritenuta erroneamente obbligata se le intenzioni, comuni a tutti coloro che indossavano l’uniforme, per diventare detective. La mansione di Serpico, comune a tutti quelli che prestavano servizio in quella divisione, era quella di prendere e registrare le impronte digitali dei vari sospettati o criminali incalliti.

Ma non si ferma qui, proprio a causa del non riuscire a sopportare tutto quello schifo cui era costretto a vedere, nel corso di tutta la sua carriera, si ritroverà a girare per quasi tutti i distretti della città, trovandosi sempre nella stessa situazione. Chiederà molte volte aiuto, pensando a come denunciare una situazione molto grave. Contatterà addirittura i pezzi grossi e non solo quelli del dipartimento, ma anche al di fuori del corpo di polizia, come il primo cittadino dell’epoca: John Lindsay.

Ma niente, non riesce ad attirare l’attenzione come sperava fino a quando, tornato da un viaggio in Europa, all’aeroporto viene controllato in maniera non proprio consona, da quel momento in poi decide di rivolgersi alla stampa, al New York Times. In tutto questo tempo, in tutta questa storia, Serpico comunque non era solo. Venne appoggiato da un suo amico e collega, nonché poliziotto anche lui, di nome: David Durk, che nel film è interpretato dall’attore Tony Roberts.

Ma ciò che stava iniziando a far esplodere il poliziotto italoamericano fu anche un altro episodio che, nel film, viene riportato per filo e per segno. Colui che gli indicherà una strada che avrebbe dovuto essere più facile, più semplice, più tranquilla in merito all’ambiente di lavoro era il comandante di polizia Cornelius J. Behan. Quest’ultimo gli consigliò caldamente e con un’espressione che non avrebbe dovuta lasciare alcun tipo di strascico polemico, per non dire, equivoco anche; ovvero: una totale pulizia e trasparenza di recarsi nel distretto numero…. Purtroppo, Serpico si ritroverà in una situazione ben peggiore rispetto a quella vissuta in precedenza.

A questo punto torniamo, quasi, al punto di partenza: su quel dettaglio che non solo ha aperto la nostra analisi, ma anche il film del 1973. Quaranta anni più tardi l’uscita del biopic sul poliziotto italoamericano, lo stesso diretto interessato affermò, in sostanza e durante un’intervista rilasciata dieci anni fa, che le dita della sua mano destra non rimasero mai incastrate nella porta. Frank Serpico, quella sera del 3 febbraio del 1971, impegnato in un’operazione antidroga, riuscì a premere il grilletto contro lo spacciatore.

Purtroppo, il malvivente fu più fortunato nel centrare il bersaglio, nel senso che il poliziotto venne colpito al volto. Solamente per un ulteriore colpo di fortuna la ferita non si rivelò mortale. Serpico lasciò il corpo di polizia il giugno dell’anno successivo, dopo che dalla notte stessa del 3 febbraio del 1973 rimarrà per sempre sordo e portando con sé i postumi di quel brutto incidente.

Appunto, incidente. Per molto tempo si è sempre fatta strada l’ipotesi che quella sera alcuni agenti in supporto di Serpico non agirono volontariamente, in modo da chiudergli la bocca per sempre. Sarebbe stato troppo se ci fosse stata la mano diretta di qualche agente di polizia, così si cercò un modo indiretto che, ripetiamo, per fortuna, non si concretizzò.

Qualche mese più tardi, lo stesso agente di polizia testimoniò di fronte alla Commissione Knapp, istituita per far luce su quanto stava accadendo all’interno dei vari distretti. Serpico affermò, in quella circostanza, di aver più volte denunciato la situazione in cui versavano i vari distretti della città, ma inutilmente. La stessa Commissione, al termine delle indagini, provvide a condannati molti agenti, ovviamente per corruzione, continuando l’opera di pulizia all’interno dei dipartimenti con una serie di iniziative.

Una volta lasciata la polizia Serpico girovagò per l’Europa. Lo fece soprattutto per riprendersi dalle ferite di quella maledetta notte. Solamente agli inizi degli anni 80 ritornò in patria dove, riconosciuto il proprio valore, venne invitato, in giro per l’America a parlare nelle scuole e nelle università per ogni tipo di convegno o conferenze su quanto fosse in verità accaduto.

Anni dopo, ancora, ottenne la cittadinanza svizzera e anche quella italiana ed oggi, Frank Serpico, è ancora tra noi, ottantasettenne, e chissà quanti rimpianti si sta portando dentro di sé?

All’inizio di questo mini-speciale abbiamo introdotto la sua storia definendola come un film. Perché, in fondo, parliamoci chiaro, essere poliziotto ed esserlo fino a questo punto nessuno, ma proprio nessuno se lo aspettava. Che il vero Frank Serpico sia entrato di diritto nella leggenda, nella storia, anche della polizia di tutto il mondo, è ormai un dato di fatto. Per certi veri la sua parabola, anche un po’ fortunosa proprio per essere sopravvissuto, ci fa domandare ancora oggi se uno come lui sì realmente esistito? La risposta è sì. Quindi, mai come in questo caso la realtà supera la fantasia e di gran lunga oseremo aggiungere.

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