Presentata a Napoli una rassegna di opere ispirate alla grande stagione di ‘FLUXUS’

In queste stesse pagine abbiamo già introdotto, tempo fa, il tema delle dinamiche creative modellate dalla pratica creativa di Fluxus, osservando la libertà inventiva della sua proposta e la capacità che ha avuto di segnare di una fresca ventata di rinnovamento il clima dei primi decenni del secondo cinquantennio del ‘900. Oggi, alla distanza di sessant’anni da quello che ne fu dato come il ‘manifesto’ del Movimento, una mostra, prodotta a Napoli ad iniziativa di Gennaro Ippolito e di Giovanna Donnarumma, si interroga su tale anniversario e lo fa con una esposizione inaugurata negli spazi di ‘Officina Creativa’, che sempre più accortamente va proponendosi come luogo in cui non solo poter ‘vedere’ l’arte, ma in cui poter immergersi nelle sue ragioni profonde.

FLUXUS celebrato ad ‘Officina Creativa’                                                 

Ippolito e Donnarumma coinvolgono l’artista, invitandolo a scavare nel profondo della sua coscienza, fino ad enuclearne una definizione di puntuali consistenze contenutistiche, così da ribadire il concetto che la proposta creativa non deve mai rattrappirsi nella mera delibazione formale, ma espandersi, piuttosto, in una condizione espressiva di ‘visione: del mondo.

Tra le opere in mostra, presentate in questa rassegna prodotta dai due galleristi napoletani, spiccano almeno due lavori su cui vorremmo lasciare planare la nostra attenzione.

Sono opere, apparentemente molto distanti tra loro, eppure, incredibilmente prossime; ed appartengono rispettivamente a Marianna Battipaglia ed a Bruno D’Angelo.

L’opera di Marianna Battipaglia

La prima delle due, di ordine materico, densamente materico, suggerisce al fruitore di strappare dei lembi, segnati da apposita striscetta per lasciar emergere alla vista il contenuto di uno strato sottostante. Scompare, in tal modo, mano a mano, l’intera superficie del dipinto e se ne profila una nuova che si offre alla vista disvelata dai progressivi interventi di strappo che si producono come solchi lineari via-via scavati nella prima superficie dell’opera.

Trionfa la materia, ma vi trionfa secondo una processualità linearistica che ha anche dei tratti di netta implicazione cronotopica e cinestetica fino a lasciarsi avvertire come soluzione propositiva di netta iscrivibilità nel novero astracturista, abbracciato, però, nel caso di Marianna, nella specie rivelativa dell’addensamento corpuscolare materico.

L’opera di Bruno D’Angelo

Sul versante opposto, troviamo, invece, l’opera di Bruno D’Angelo, che definisce anch’essa i termini di una consistenza linearistico-cronotopico-cinestetica, ma non muovendo dalla consistenza dell’addensamento corpuscolare materico, ma da una profilatura progettuale all’apparenza anodina e disincantata quale potrebbe superficialmente apparire la costruzione di un’opera al cui interno la carica materica viene garantita non certo dall’addensamento degli spessori e delle rugosità, ma dal comporsi di quelle ragioni eidetiche di ordine rigorosamente ed asciuttamente geometrico che si rivelano fondazione e premessa della costituzione sia materiale che materica della nostra esperienza corrente.

Queste due opere si completano a vicenda, costituiscono il circuito virtuoso entro il quale si consuma e definisce una prassi creativa che, non semplicemente nel darsi occasionale del tributo celebrativo a Fluxus, pensato da questa mostra, trova le sue ragioni, ma nel proprio essere profondo ed avvertito, in quel luogo della coscienza umana ove le qualità psicologiche e morali ‘fanno la differenza’.

E, nel caso di Marianna e di Bruno, ci sentiamo in dovere di additare i loro percorsi, così diversi e così paralleli.

Così convincentemente esemplari.

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