Le sue lotte sociali conquistarono tutta l’America

Il film di cui abbiamo parlato sabato scorso, dell’anno 2006 e intitolato semplicemente ‘Bobby’, ricostruisce sì quella maledetta giornata e nottata ma non esalta, molto probabilmente, ciò che fu l’onda emotiva che ne derivò da quella tragica morte. Si sofferma sulle reazioni del momento, ma non su quello che accadde successivamente. L’assassinio di Robert Kennedy fu un evento ancor più traumatico, forse, di quello avvenuto per John Kennedy e Martin Luther King di qualche di qualche anno e mese prima. Ciò lo diciamo non tanto per una preferenza tra questo o quell’altro personaggio storico. Al contrario. Semmai, lo evidenziamo per un qualcosa che accadde due giorni dopo alla scomparsa, ufficiale, del Senatore Kennedy.

Era l’8 giugno del 1968. Giorno dell’estremo saluto. Giorno in cui gli Stati Uniti d’America dissero addio alla vera ed unica speranza di poter vedere mutare le cose al suo interno. La salma del Senatore venne trasportata, dopo l’annuncio dell’ufficiale del decesso, da Los Angeles a New York.

Lì, nella storica cattedrale di St. Patrick si tenne la cerimonia funebre, ma qualcosa di spontaneo di commovente avvenne dopo. La bara sarebbe dovuta partire, poi, in direzione di Washington. Si decise di effettuare un viaggio in treno. Le cronache del tempo riportano che quel treno, dalla Grande Mela alla Capitale, ci impiegava quattro ore di viaggio. Ne dovette impiegare ben otto e per un semplice motivo.

Ai lati della ferrovia si erano fermate tante persone. Gente di ogni estrazione sociale ed etnia, in attesa del feretro di Bobby Kennedy. Questi vari momenti, queste piccole scene vennero documentate da un fotografo, Paul Fusco, all’interno del treno che scattò diverse istantanee e alcune di esse sono veramente storiche e che toccano direttamente la sensibilità di ognuno di noi.

Ogni persona, vecchia o giovane che fosse, si era sentita rappresentata in qualche modo non solo dai discorsi di Bob Kennedy, ma anche dalle battaglie portate avanti. Dalle lotte sociali che aveva intrapreso. Lui, che apparteneva ad una delle famiglie più ricche degli Stati Uniti d’America aveva capito i bisogni non solo della classe media ma anche degli ultimi, ovvero dei poveri.

Generalmente quando ci si trova di fronte un personaggio storico di tale caratura ci si sofferma, come giusto che sia, sui suoi primi anni di vita e su ciò che lo ha spinto a fare alcune scelte. Chiunque di noi conosce, sia nel bene che nel male, la storia in generale dei Kennedy e della loro parabola tanto affascinante quanto tragica. Chiunque conosce almeno un po’ le dinamiche che spinsero prima John e poi Robert a candidarsi per la Casa Bianca. In verità avrebbe dovuto essere il fratello più grande, Joe. Si, quello che portava lo stesso nome del capofamiglia.

Joseph Patrick Kennedy, Jr morì durante il secondo conflitto mondiale così spettò a John tentare la sorte. Sappiamo poi cosa successe il 22 novembre del 1963 che, a sua volta, spinse Robert Kennedy ad immolarsi per la causa. Senza soffermarci troppo sullo spirito di avventura dei Kennedy, gli stessi cercavano sempre e comunque di arrivare primi grazie alla loro più sfrenata ambizione, ma in quel caso quella campagna elettorale del 1968, quelle primarie del Partito Democratico, avevano il sapore di chi si stava andando a riprendere ciò che gli era stato tolto cinque anni prima, dovendo convincere i cittadini dei cinquanta stati che non c’era nulla di opportunista in quella candidatura.

Nella parte precedente abbiamo parlato di rivoluzione e mai come in questo caso l’uso di questa parola non è improprio. Gli Stati Uniti d’America, sia nel bene che nel male, hanno sempre dato l’immagine di un Paese forte e che può cambiare qualsiasi situazione, anche dall’interno; anche se c’erano alla base forti dinamiche che si erano sedimentate nel tempo e che avevano provocato forti tensioni sociali proprio all’inizio degli anni ‘60

Si pensi a Hoffa, come citato in precedenza; si pensi alla Mafia e ai boss come Sam Giancana e Carlos Marcello; si pensi al problema razziale e alle dure proteste dei neri mitigate dal pacifismo di Martin Luther King. Si pensi addirittura alla maledetta guerra del Viet-Nam, in cui perirono molte giovani vite americane. Tutte queste questioni, a distanza di ben 55 anni, sono ancora tema di dibattito nel tentativo di scoprire sono meno da indicare come vero e proprio movente della sua tragica uccisione.

Gli stessi moventi che avrebbero innescato anche l’altro attentato, quello di Dallas, del 22 novembre del 1963. Coincidenze? Forse no o forse sì. Sta di fatto che le battaglie che John Kennedy portava avanti erano le stesse che Bob affrontava prima nella commissione parlamentare, poi come Ministro della Giustizia e poi ancora come Senatore degli Stati Uniti.

È vero, ci stiamo girando intorno e non vogliamo entrare nel merito di questa o quella dinamica in particolare. Rispondere che la storia è risaputa, non avrebbe senso. Senza dimenticare che verranno affrontati nuovamente fra pochi mesi in occasione dei sessanta anni dall’attentato di Dallas.

Ciò nonostante, non si può non fare a meno di parlarne. Di cercare di analizzare un po’ tutte le dinamiche, senza dimenticare che forse c’è ancora qualche altra cosa che, in questi lunghi cinquantacinque anni, non sarebbe mai emersa. Ovviamente le nostre sono solamente ipotesi senza alcun fondamento, perché tutto il resto appartiene alla storia che già un po’ si conosce e di quell’altro po’, rimasto tra i segreti più oscuri, che chissà semmai emergerà nei prossimi anni.

Di quello che conosciamo, di quanto è stato sempre stato riportato in tutti questi anni attraverso documentari, film e libri, è che Bob Kennedy aiutò molto suo fratello alla Casa Bianca. Lo aiutò, in primis, durante i tesissimi giorni della Crisi dei Missili di Cuba, in cui consigliò a John di soffermarsi su uno dei due messaggi che i sovietici inviarono agli americani: quello relativo ad un possibile dialogo. Mossa che portò ad evitare il Terzo Conflitto Mondiale.

Se questa mossa fu giusta, non lo fu invece, come già ricordato in precedenza, la partecipazione alla cosiddetta caccia alle streghe. In quel periodo s’innescò una reazione a catena di accuse verso alte personalità del cinema, le cui carriere vennero addirittura distrutte anche solo per un banale sospetto di portare avanti attività antiamericane.

Non fu solamente l’unica sua macchia, se da un lato combatté la mafia e quindi anche la corruzione andando contro, sempre già ricordato, a Jimmy Hoffa, i rapporti che la sua stessa famiglia ebbe con cosa nostra non furono mai del tutto chiariti. Secondo la leggenda, Bob scoprì solamente in un secondo momento che il padre, Joe, aveva reali contatti con i boss italoamericani. La criminalità organizzata, comunque, non fu l’unico tallone d’Achille.

Secondo alcune voci, Bobby Kennedy, ebbe diverse relazioni extraconiugali, tra cui l’attrice Marilyn Monroe. Altra nota dolente: fu proprio lui a convincere suo fratello John, già pressato dai suoi stessi consiglieri militari, di entrare nel pantano della Guerra in Viet-Nam. Errore di cui se ne pentì amaramente qualche anno più tardi, sempre insieme al fratello prima che venne assassinato a Dallas.

E sulla questione razziale? Ci sarebbe tanto da dire, ci sarebbe veramente tanto da ricordare: come quando fece scortare la prima matricola afroamericana, James Meredith, all’università di soli bianchi nello Stato del Mississippi. Era il 29 settembre del 1962.

Per non dimenticare che si recò di persona, quasi in silenzio, senza quel clamore che di solito lo accompagnava, ai funerali dell’attivista afroamericano Medgar Evers, assassinato davanti casa sua la notte dell’11 giugno del 1963 e di cui, fra qualche giorno, ricorderemo anche tale anniversario e la cui vicenda ha anche ispirato il famoso film con Alec Baldwin, James Woods e Whoopi Goldberg. Fino ad arrivare a tutte le volte che pagò la cauzione a Martin Luther King. Continua…

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