La partecipazione ai suoi funerali fu commovente

Per molti, il fatto che Bob Kennedy interveniva ogni volta per liberare da un ingiusto arresto o da un’ingiusta detenzione il Premio Nobel per la Pace Martin Luther King, era il frutto di eventi mai avvenuti; quindi, di una mera leggenda. Invece, era tutto vero. Il Senatore dello Stato di New York prese di petto più volte la spinosa questione razziale, dando una grossa mano non solo al Reverendo della Chiesa di Ebenezer, ma anche a tutti gli altri leader afroamericani che si mobilitavano contro la segregazione razziale negli Stati del Sud degli Stati Uniti.

Come già ricordato, Bobby prese parte ai funerali di Medgar Evers e cinque anni più tardi, durante la sua campagna elettorale ormai ufficializzata, riuscì ad evitare, dopo esser stato ragguagliato della morte di Martin Luther King, che la comunità nera della città di Indianapolis infiammasse la città, come stava avvenendo altrove in quelle stesse tragiche ore.

Il suo discorso, le sue parole, una volta sceso dall’aereo, furono talmente convincenti che le persone, uscite di casa per manifestare tutto il loro disappunto, per non dire tutta la loro rabbia per la morte del dottor King, cambiarono idea e in quella città, rispetto agli altri centri abitati della nazione non accadde nulla. Era la notte del 4 e 5 aprile del 1968.

In lui, la gente comune vedeva l’ultima vera speranza di cambiamento. In lui vedevano qualcuno che era vicino alle persone, molto di più di quello che si poteva immaginare. Soprattutto anche per un motivo: il suo modo di porsi era, per certi versi, molto credibile e non solo per opportunismo.

L’aver perso il fratello a Dallas e le tante disgrazie a cui la sua famiglia era andata in contro metteva, lo stesso Bobby Kennedy, in una posizione di uomo che riusciva a comprendere, su tutto, la sofferenza altrui. Non a caso tra i tanti discorsi che pronunciò durante la sua carriera ce ne fu uno in cui usò il termine compassione. Per la precisione: dobbiamo essere un paese compassionevole. Questa stessa parola venne usata molte volte dallo stesso Senatore. Ma non fu solo questo discorso ci sarebbe da ricordare.

Non solo quello che fermò la folla inferocita ad Indianapolis, non solo quello in cui esternò tale frase. Ci sarebbe da ricordare quello sul prodotto interno lordo della nazione americana, quello relativo ai rapporti tra gli stessi Stati Uniti d’America e le dittature comuniste e come l’America doveva rapportarsi ad esse per vincere tale battaglia.

Ancora: di come dovevano essere fruttate le ricchezze dell’America affinché potesse essere, a tutti gli effetti, un vero e proprio esempio da seguire. La sensazione, entrando forse in un discorso meramente politico che sociale e d’altronde oggi è anche inevitabile, era quello di migliorare lo stesso sistema capitalistico. Le sue idee erano talmente rivoluzionarie che molto probabilmente spaventarono i conservatori di entrambi gli schieramenti politici. Non solo quelli appartenenti al partito avversario, i Repubblicani, ma anche quelli del suo stesso schieramento, i Democratici.

Attraverso queste dinamiche si materializzarono i vari moventi indicati nella parte precedente e i cui sospetti, per quanto riguarda i mandanti del suo assassinio, ricadrebbero sulle stesse personalità anche per la morte del Presidente John Fitzgerald Kennedy. I nomi sarebbero tre: il Presidente Lyndon Johnson, Vicepresidente durante il periodo di John Kennedy; il Presidente Richard Nixon, sconfitto da John Kennedy nelle elezioni del 1960 e il capo dell’Fbi John Edgar Hoover. In modo particolare, quest’ultimo e sempre secondo le cronache dell’epoca, mal sopportava entrambi i fratelli.

Per quanto riguarda gli altri due, Johnson non convinse subito Bob, tant’è che cercò di dissuadere il fratello nel nominarlo come seconda carica della Nazione e Nixon, il quale, otto anni più tardi si sarebbe ritrovato a scontrarsi, per la Casa Bianca, proprio contro un altro Kennedy. Coincidenza? E non è tutto. La parola coincidenza deve essere estesa alla grana relativa al conflitto in Viet-Nam.

Come ricordato in precedenza il maledetto conflitto in Asia venne iniziato per un semplice motivo: evitare che il comunismo avanzasse in quell’area del mondo, tentando di liberare le popolazioni vessate dalla dittatura rossa. In principio, dunque, furono proprio i fratelli Kennedy ad iniziarla, andando in aiuto, peraltro, dell’esercito francese il quale era già impegnato in quell’area geografica.

Il primo a rendersi conto del madornale errore fu John il quale, dopo qualche tempo venne assassinato a Dallas. Anche Martin Luther King, qualche anno più tardi, espresse la volontà di battersi contro la guerra in Viet-Nam, annunciando al mondo che ci sarebbe stata una seconda marcia contro il conflitto a Washington. Il Premio Nobel per la pace venne assassinato il 4 aprile del 1968. Coincidenza, ecco a cosa ci riferiamo: anche Bobby Kennedy, durante la corsa alla Casa Bianca, annunciò la sua intenzione di far terminar la guerra ed è inutile ripetere cosa successe e ribadendo: coincidenza?

Per alcuni, però, il motivo sarebbe stato un altro, ancor più radicato nel problema razziale. Semmai Bobby sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti d’America avrebbe offerto la poltrona di Vicepresidente proprio a Martin Luther King. Certo, da un lato questo spiegherebbe l’attentato compiuto ai danni del Reverendo nato ad Atlanta ma non a quello di Bobby Kennedy, anche perché Martin Luther King era già morto da due mesi esatti.

Molto probabilmente i motivi dovevano essere ben altri e sono, almeno ufficialmente, quelli menzionati in precedenza. Motivi che forse non verranno mai svelati e per quanto si è detto fino adesso si spiega, nella sua essenza, quella commovente partecipazione di persone comune ai bordi della ferrovia in attesa di quel treno che da New York portò la salma del Senatore a Washington, esattamente nel cimitero di Arlington, quello degli eroi di guerra. Quello in cui è seppellito suo fratello John, anch’egli eroe di guerra.

Una partecipazione documentata, nella sua essenza, da una miriade di fotografie, come già detto in precedenza. Il treno, della Central Penn, partì intorno all’una pomeridiane di New York e arrivò quando l’oscurità era già ormai calata da un bel po’, intorno alle 9 di sera. Forse, la presenza di tutte quelle persone dimostra ancor di più la tragedia che si respirò in quelle ore e nei giorni successivi.

Quello su cui non ci siamo soffermati è che Bob Kennedy, quella stessa tragica sera, aveva quasi ottenuto la nomination per correre alla Casa Bianca. Mancava solamente l’ultimo appuntamento che ci sarebbe stato di lì a poco con la Convention di Chicago. La verità è che, ormai, si era capito che aveva vinto lui. Il suo avversario, Eugene McCarthy non avrebbe avuto più alcuna speranza di tentare vincere le primarie del 1968, ma di questo ve ne parleremo nella storia relativa alle primarie americane la settimana prossima.

A distanza di 55 lunghi anni ciò rimane dell’uomo e del mito, per non dire anche la leggenda, di Robert Francis Kennedy, è il suo impegno legato a delle battaglie che se da un lato hanno fatto giurisprudenza, dall’altro hanno scritto, forse, una delle più belle pagine principali della storia americana, senza mai tralasciare quell’alone di mistero riguardo ad alcuni possibili scheletri nell’armadio.

Ciò che non è ancora chiaro, dettaglio non di poco conto, sia il motivo che spinse Bob Kennedy a non attraversare la sala da ballo, in mezzo alla gente, per passare direttamente attraverso le cucine? Un cambiamento di programma o fu proprio una sua volontà?

Come non è ancora chiaro il coinvolgimento dell’attentatore l’iraniano Shiran Shiran il quale, dopo aver sparato al Senatore, ha sempre affermato di non ricordarsi nulla, gettando sempre di più un’ulteriore ombra di mistero non solo sulla morte di Bob Kennedy ma anche su Martin Luther King e, prima di tutto, sullo stesso Presidente Kennedy. Tre morti eccellenti per un solo mandante? Chissà…

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