Nella notte tra il 4 e 5 giugno del 1968 venne assassinato il Senatore degli Stati Uniti Bob Kennedy

Era la notte tra il 4 ed il 5 giugno del 1968. La tragedia si svolse all’Hotel Ambassador della città degli angeli, nello Stato della California. Tutto era pronto per festeggiare, tutto era pronto per cantare una vittoria che in molti avevano intuito che sarebbe arrivata in quel rush finale delle primarie del Partito Democratico, per Presidenziali americane di quello stesso anno. La folla, presente nella sala da ballo dello storico hotel, urlava gioiosa tre lettere che rappresentavano un acronimo di un nome e soprattutto di un cognome; l’acronimo che indicava un candidato come Presidente degli Stati Uniti che tutti quanti volevano.

Tre lettere che volevano indicare un solo nome che sarebbe tornato dopo ben cinque anni dall’ultima volta che un Kennedy aveva occupato la poltrona più importante della nazione. Le consonanti ripetute a squarcia gola erano: RFK e colui che si apprestava ad ottenere, in via definitiva, la nomination presidenziale non era più da tempo indicato solo come il fratello del defunto Presidente John Kennedy, non era più il Ministro della Giustizia sotto la presidenza medesima del fratello, non era neanche più un Senatore degli Stati Uniti d’America, anche se comunque ricopriva ancora quella carica dal 3 giugno del 1965.

No, per tutti quella sera, in quella maledetta notte di inizio giugno, Robert Francis Kennedy era già il Nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Niente e nessuno lo avrebbe fermato o almeno così si pensava. Un breve discorso di vittoria, con accanto a sua moglie Ethel, il Senatore Kennedy, a seguire, salutò la folla festante per il suo trionfo con il gesto con due dita della mano alzate in segno di ‘vittoria’, com’era solito fare Winston Churchill, per poi passarsi la mano sul suo lungo ciuffo di capelli.

Pochi secondi e il Senatore scomparve per poi avviarsi verso un ingresso che portava alle cucine. Quel momento di vittoria, con tanto di discorso, venne ripreso dalle telecamere. Tutta l’America stava guardando, convinta che sarebbe arrivato giorno del cambiamento. Invece, no. Non fu così. Dopo il 22 novembre del 1963 a Dallas ci fu un’altra disgrazia.

Dopo aver attraversato uno stretto corridoio ed essere arrivato nelle cucine diversi colpi di pistola lo ferirono a morte; la sparatoria coinvolse anche altre persone che, per fortuna, sopravvissero. Bobby Kennedy, come così affettuosamente veniva chiamato, venne assassinato nelle cucine dell’Hotel Ambassador da parte di un fanatico che, secondo quanto ammise, aveva delle simpatie per la Palestina dopo che lo stesso Senatore aveva espresso simpatia per Israele. Un pazzo isolato, dunque. Un uomo solitario che si fece beffa di tutto il sistema di protezione dello stesso Senatore, almeno questa è la versione ufficiale.

Shiran Shiran, era questo il nome dell’attentatore, di nazionalità iraniana, che pose fine al sogno di vedere un’America più giusta, più compassionevole e più attenta ad alcune problematiche sociali. La chiamavano ‘L’altra America’ quella sorta di rivoluzione che, a differenza dei tempi del fratello alla Casa Bianca, non iniziò mai veramente.

Fu solo presentata attraverso tutti quei discorsi fatti molto prima della sua candidatura ufficiale a correre per la presidenza degli Stati Uniti e dopo a quello stesso annuncio, datato 16 marzo 1968. Comunque, Robert Francis Kennedy non divenne mai Presidente. Quell’obbiettivo lo sfiorò solamente, in concreto. Eppure, di lui ce ne ricordiamo come fosse stato il capo indiscusso della nazione a stelle e a strisce.

Ce ne ricordiamo di lui non tanto per un qualcosa che poteva essere, ma per un qualcosa che doveva essere. Come se tutti noi avessimo la percezione che certe cose, impossibili, si potevano realizzare. Come se tutti sapessimo che sarebbe andata, di sicuro, in un certo modo.

In fondo, lo disse anche ad un suo discorso: Alcune persone vedono le cose così come sono state e si chiedono perché. Io sogno cose che non sono state mai e dico: perché no? Un po’ come un’altra espressione, un’altra frase, usata da suo fratello John qualche anno prima: Sono un idealista senza illusione.

Fu la prima volta che il popolo americano, composto da tante etnie differenti, e non solo, possedeva la percezione di non essere, almeno per una volta, idealista senza alcune illusioni e che le cose impossibili potessero diventare a tutti gli effetti realtà. D’altronde la storia riporta diverse battaglie attuate dallo stesso Robert Kennedy in nome dei diritti civili e in nome di una società più sana, per non dire più equa. Per molto tempo alcune scelte in politica estera, in tema economici e in tema dei diritti civili l’appannaggio ere sempre stata rivolta al fratello John.

Con il tempo si è scoperto che molte delle vittorie di Jfk erano dovuto proprio grazie al Kennedy nato il 20 novembre del 1925. Quello che, molto probabilmente, non sarebbe stato destinato a diventare primo cittadino della nazione ma che, dalla sua, possedeva una grandissima capacità di organizzazione. Fu questo il merito che permise di guadagnare a Bobby Kennedy la poltrona, dal 1961 al 1963, del Ministero della Giustizia.

Un merito che si guadagnò sul campo quando organizzò, in poco tempo, la campagna elettorale del fratello. Molti potrebbero credere che chissà quale programmazione ci fosse alle spalle. Quanti piani studiati a tavolino prima di mettere in atto questa o quella mossa. Invece, no. La realtà è sempre stata ben diversa. Il tutto, la maggior parte delle volte, era frutto dell’improvvisazione originata da un istinto fuori dal comune.

Anche in quel caso, come per il fratello, Bobby Kennedy venne tacciato come incompetente, da un lato, ed inesperto, dall’altro. Il suo modo di essere e come si è rapportato verso i problemi della società americana, il modo in cui li ha presi di petto nel tentativo di risolverli, era già, nei fatti, una vera e propria rivoluzione. Come spesso succede, all’inizio nessuno ci credeva ma poi con il tempo tutto, veramente tutto, cambiò.

Ciò non vuol dire affatto che lo stesso Bob Kennedy non sia esente da colpe più o meno gravi o che non abbia mai avuto uno scheletro nell’armadio. Era comunque un essere umano, che ha avuto la capacità di diventare mito vivente per poi diventare leggenda con la sua stessa tragica scomparsa nella notte appena citata.

 Si pensi alle prime battaglie svolte durante la commissione McCarthy contro le attività cosiddette antiamericane, indicate con l’espressione ‘La caccia alle streghe’, in cui si cercava di scovare comunisti ovunque. Una delle tante pagine oscure della storia americana che, nonostante volesse comunque fronteggiare il nemico, la scelta venne attuata in modo del tutto sbagliato.

Per poi virare contro il sindacalista Jimmy Hoffa, il potente capo dei Teamsters, ovvero il sindacato dei camionisti. Tra Hoffa e Kennedy la battaglia non fu solo campale ma non escludeva neanche minacce che partivano sempre dal primo e mai dal secondo. In quella sfida, per un breve periodo di tempo, ne entrò a far parte anche John Kennedy. Ma ripetiamo, solamente per poco tempo.

Ciò che abbiamo ricordato sono solamente due dei tanti scontri che lo stesso Robert Kennedy ha avuto con i diversi personaggi e le stesse istituzioni durante la sua carriera politica. Scontri che, molto probabilmente, raggiunsero il loro culmine, tutte in una sola volta, quella maledetta notte all’hotel Ambassador di Los Angeles.

Quando il Senatore Kennedy fu colpito prima di perdere i sensi riuscì a dire alcune parole che ancora adesso facciamo fatica a credere che le abbia pronunciate veramente: gli altri stanno tutti bene. Una frase che dimostra la totale preoccupazione per qualcosa che avvertiva che gli sarebbe capitato, sperando che non si fosse fatto male nessuno. Un momento storico ricostruito, almeno in parte, nel film di Emilio Estevez ‘Bobby’, di cui vi abbiamo parlato sabato scorso. Continua…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *