Seconda parte della prima serie di appuntamenti con Retrospettiva in Musica

Sabato scorso, giorno del 80esimo compleanno, ci eravamo soffermati sulla sua canzone simbolo: 4 marzo 1943. Come promesso, oggi, riprendiamo nel raccontarvi la sua storia, il suo percorso esistenziale che lo ha portato ad essere in vita, prima, e dopo la morte, poi, uno dei più importanti punti di riferimento musicale per le nuove generazioni.

Appare importante, però, considerare che per alcuni il suo percorso professionale si potrebbe racchiudere in quattro periodi: il jazz e le partecipazioni sanremesi, la collaborazione con Robert Roversi, in cui realizzerà tre album davvero particolari, la maturità artistica e fase pop con gli ultimi anni prima dell’improvvisa scomparsa avvenuta nel 2012. Quattro fasi da cui non si può prescindere e che in questa serie speciale di articoli saranno ricordate attraverso aneddoti della sua esistenza e delle canzoni, le tante canzoni con le quali ha accompagnato la vita di tutti quanti noi.

Eppure, cari lettori, vi sveliamo un particolare: per parlare di lui non sapevamo da dove iniziare a raccontarlo? Da quale momento ben preciso? Alla fine, come avrete notato, è sembrato giusto farlo proprio dal titolo di uno dei suoi brani più famosi e personali e è anche il titolo di questo speciale interamente dedicato a lui. Anche se iniziare dall’infanzia, non propriamente trascorsa nella città di Bologna ma in quella di Treviso in un collegio, non sarebbe stato un errore.

Sua madre lo iscrisse al Collegio Vescovile Pio X dove incominciò a prendere parte a qualche recita. Quando tornò nella sua stessa città natia da adolescente, Lucio Dalla, si avvicinò alla musica e in particolar modo a quello del jazz. Ciò avviene per un semplice motivo: Jole Melotti, questo il nome di sua madre, all’età di dieci anni gli regalò un clarinetto. Suo padre, invece, Giuseppe Dalla morì quando lui aveva solamente sette anni, come abbiamo precisato nello scorso appuntamento.

Per questa sua devastante perdita, il cantautore durante una delle tante interviste rilasciate disse queste parole: ‘Avevo sette anni. Provai la sensazione struggente di una perdita che mi consentiva di dire a me stesso con pietà e tenerezza: da oggi sei solo come un cane. Così ho imparato a fare della mia vita un modello di solitudine: cioè a cercarmela, a organizzarmela, a viverla, questa mia solitudine, come un momento di benessere profondo, necessario per una corretta lettura dell’esistenza.’ Parole abbastanza chiare e forti, sulle quali è inutile andare a ricamare.

Tornando alla sua passione del jazz, questo particolare genere musicale lo porterà ad esibirsi nei vari complessi che cercavano di farsi strada in quegli anni. Lui, rispetto agli altri, impara e migliora da solo. Da autodidatta, insomma; tant’è vero che in uno dei tanti gruppi musicali viene fatto entrare riesce, molto probabilmente anche in maniera del tutto involontaria, a far abbandonare i sogni di gloria musicali ad un futuro regista italiano, Pupi Avati, secondo quanto svelato dal diretto interessato anni più tardi. Nelle band in cui ha suonato si annoverano la Rheno Dixieland Band e i Flippers. Con quest’ultima lo si riconduce al suo esordio ufficiale attraverso i festival musicali a cui prendeva parte. Era l’anno 1962.

Quattro anni più tardi c’è un ulteriore esordio, quello altrettanto ufficiale relativo al primo album da solista dopo essersi fatto le ossa con varie esperienze, come il Cantagiro, dopo aver lasciato la band dei Flippers. Il titolo, evocativo per l’epoca, era ‘1999’. Un disco composto di quattordici tracce imperniato dal triplice genere musicale beat, rhythm and blues e rock psichedelico. Si potrebbe dire un album sperimentale, ma con Lucio Dalla è stato sempre così: a ogni pubblicazione, quasi annuale, con il quale ha sempre intrattenuto il pubblico fino alla sua morte.

I brani di questa sua prima raccolta d’inediti non sono diventati, nell’immediato, dei suoi cavalli di battaglia, eppure passeranno alla storia come le sue prime vere composizioni ufficiali di una fortunata e irripetibile carriera: Intro; Quando ero soldato; Lei; I got you; L’ora di piangere; L.S.D.; Mondo di uomini; 1999; Tutto il male del mondo; Paff… bum; La paura; Io non ci sarò; Le cose che vuoi; Finale.

Di queste quattordici canzoni, quattro erano inserite in un 45 giri precedenti. A produrre questo suo primo long play ci pensò Sergio Bardotti, direttore artistico dell’Arc. ‘1999’, per quanto riguarda le vendite, fu praticamente un fiasco assoluto e non venne ripubblicato fino al 1989, solamente come mera rarità. Ma in quell’anno Lucio Dalla era già diventato la stella indiscussa della musica italiana.

Nella sua prima raccolta d’inediti, comunque, si possono annoverare quelle che al giorno d’oggi si potrebbero considerare delle vere e proprie chicche assolute. Due brani che confermano l’interesse che aveva lo stesso Lucio Dalla per il rhythm’n’blues; entrambi del Padrino del Soul: James Brown.

Il primo era proprio I got you, intonata con un finto inglese; il secondo, invece, è la cover della celeberrima ‘It’s a Man’s Man’s Man’s World. Il testo venne scritto dallo stesso Bardotti con Luigi Tenco e corrisponde alla canzone ‘Mondo di uomini’. Alla realizzazione dei testi di altre canzoni parteciperà anche Gino Paoli.

Dopo il 1966, per Lucio Dalla, in chiave realizzazione e pubblicazione di nuovi dischi, ci fu una lunghissima pausa fino al 1970. Ovviamente, siamo ancora agli esordi e il meglio deve ancora arrivare, la pagina più bella della storia della nostra musica deve essere ancora scritta e che proseguirà la settimana prossima, sempre di mercoledì.

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