Ragionare di David e suggerirne non solo l’attualità del messaggio, ma anche la profondità del sentire può apparire anacronistico, ma, in realtà, nelle ragioni intellettuali e morali di questo artista sette-ottocentesco, controverso ed irriducibile in un parametro valutativo, si annidano le ragioni profonde della nostra modernità e trova giustificazione la definizione che noi vorremmo suggerire per la sua pittura di un primo esempio di ‘filosofia visiva’

Immaginiamo, per un momento, questo pittore, Jacques Louis David, relativamente giovane, che quasi appunta nella sua memoria i gesti, le espressioni, le posture di quanti convenivano nella ‘Sala della Pallacorda’ per giurare a se stessi che avrebbero cambiato la Francia e che avrebbero cambiato anche il mondo. 

E lo cambiarono: eccome, se lo cambiarono. Non, forse, però, come avrebbe immaginato, dapprima, di volerlo ‘cambiare’, quel giovane artista, che contribuì significativamente, con la sua azione politica, ma, forse, ancor più, col suo gesto artistico, a sovvertire le ragioni di ‘quel mondo’, di quel mondo che ci si immaginava di veder cadere a pezzi, e che si frantumava sotto l’incalzare della ghigliottina che mieteva teste come si miete il grano e che, poi, invece, man mano, rimodellò se stesso, inaugurando nuove forme di aristocrazia segnate non più dai blasoni nobiliari e dalle esasperazioni formali ‘rocaille’, ma dalle attempate grisaglie di una borghesia che fondava il suo nuovo ‘blasone’ sui titoli bancari e non più sulle ‘armi’ dinastiche.

  1. Canova, Paolina Borghese

David, al centro di queste cose, disegna con assoluta pregnanza espressiva e con tempismo assolutamente puntuale, lo svolgersi degli anni che cambiarono il mondo e che, appunto, dalla ‘Pallacorda’, passando per l’assassinio di Marat, giunsero fino all’Incoronazione di Napoleone.

Di tutti questi eventi David seppe rendere più che la ‘raffigurazione’, la ‘rappresentazione’ esemplare, interpretando, in tal modo, quel sentire ‘classicistico’ che ispirava i tempi di un Settecento stanco delle sue ‘bizzarrie’ rocaille e versato, piuttosto, ad un richiamo della immagine alla saldezza di un’impostazione d’assetto e di  tenuta compositiva.

J.L.David, L’assassinio di Marat

Erano i canoni classicistici degni, forse, piuttosto dei ‘Tirannicidi’, che non delle premure quasi neoellenistiche figurative che avrebbero ispirato, ad esempio, il Canova della ‘Paolina Borghese’, a fornire, di questa stessa temperie rivoluzionario-napoleonica, non certo l’immagine ‘in presa diretta’, come David, ma quella di disincantata verifica della inguaribile vocazione del ‘potere’ a rinnovare sempre se stesso, quasi anticipando il dettato del Lampedusa che ‘tutto cambia affinché nulla cambi’. 

J.L.David, L’incoronazione di Napoleone

David, invece, no; a differenza del Canova, segue con generosità gli eventi e si convince che l’evoluzione dei tempi sia effettivamente tale da richiedere, di necessità, che la successione giacobino-girondina non possa confluire in altro che nella ventata napoleonica, dove gli eventi del 18 brumaio non apparvero come – per ciò che furono, in realtà – un colpo di stato violento e prevaricatorio, ma come la logica evoluzione d’uno stato di cose che ‘necessariamente’ imponeva ciò che Gioacchino Murat, in quella occasione, lapidariamente definì col dire di sbatterla fuori tutta quella gentaglia (che erano, tutto sommato, però, per quanto effettivamente confusi e politicamente arruffati, i rappresentanti del popolo e della rivoluzione).

Qualcosa di simile per i nostri tempi presenti, malati di trasformismo e del peggiore opportunismo, privi di idee e senza legame alcuno tra politica e morale?

J.L.David, Ritratto di Stanislaw Potocki a cavallo

Ma ritorniamo a David: egli segue queste vicende e, dopo essere stato tra i fautori della ‘liberazione’ da Maria Antonietta, ad esempio, comprende che il nuovo che ispira la storia è di ben altra natura. Ma anche Napoleone comprende che questo artista è quello che più intensamente può essere colui che possa rappresentare il rivolgimento dei tempi. Apprezzerà, insomma, nella pittura di David, Napoleone, le doti del ‘trasformista’, o quelle dell’interprete delle ragioni della storia, colui che sa lanciare il cuore al di là dell’ostacolo, facendo del pragmatismo il modello della nuova virtù ‘borghese’ e non il tratto esecrabile d’una concezione apparentemente vetero-moralistica?

Ecco l’attualità di David, la attualità di una figura che sembra collocarsi ‘al di là del bene e del male’, in una condizione psicologica e morale ove la disposizione soggettiva alla coerenza ed alla tenuta delle idee, alla tenuta di ‘una’ idea, non debba fare da ostacolo alla capacità di trasformare assetti e condizioni secondo una disponibilità d’accomodamento che non deve suonare come un opportunistico riposizionamento ideologico, ma come una scelta ‘responsabile’ di adesione alla realtà effettuale, rifiutando ciò che ancora nel nostro presente, ad esempio, Hannah Arendt avrebbe denunciato come la ‘banalità del male’. 

C’è coscienza di tutto ciò in David? o non si propone, piuttosto, la sua figura come quella di una personalità cui non può essere applicato il giudizio di ‘immoralità’, poiché sarebbe confuso e derubricato in un  generico richiamo ad inattuali anacronismi ‘moralistici’?

La grandezza di David consiste proprio nell’aver indicato che, nella concezione dei ‘nuovi’ tempi dell’opportunismo borghese, la frontiera tra bene e male non esiste, anticipando Nietzche, ma anche lo stesso McLuhan, andando a definire che il contenuto non è dato dallo spessore delle idee, non consiste certo nel ‘messaggio’, ma nel ‘mezzo’.

Ed ecco, allora, la sua pittura: perfetta, ineffabile, densa di pathos quanto pur non ne ha, forse, la stessa sensualissima Paolina Borghese di Canova, che, probabilmente, dovrà cedere il passo a quella ieraticità senza tempo che, chiudendo e riassumendo l’intera stagione di un Settecento consegnato al passato, nello Stanislaw Potocki a cavallo di David, addita come, forse, i soggiorni italiani e l’incontro con la storia in presa diretta che aveva potuto scorgere questo nostro artista nelle rovine antiche della regione napoletana, gli avevano insegnato che la pittura dovesse essere il luogo in cui le idee assumono il profilo di immagini riconoscibili al di là delle parole. come, appunto può additare una filosofia visiva.

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