Il contesto napoletano della fine del ‘700 è particolarmente ricco di fermenti sociali e l’arte ne segue con puntualità lo svolgimento

Nel 1734, Carlo di Borbone, avendo militarmente ragione sugli Austriaci, poteva insediarsi a Napoli e dava avvio ad una stagione di rinnovamento politico, sociale e culturale.

Giova ricordare che erano quelli gli anni in cui, in ambito artistico, aveva molto seguito la personalità del Solimena che giungeva, però, al culmine della sua parabola (sarebbe morto nel ’47) ed apriva la strada ad una concezione dell’arte che avrebbe potuto muovere all’incontro col nuovo avanzante del Classicismo, senza avere il contraccolpo del brusco passaggio da una visione rigogliosamente rococo a questa nuova insorgente temperie.

F. Solimena, Cacciata di Eliodoro dal tempio, affresco Napoli Gesù Nuovo

La figura del Solimena, infatti, in tutto l’arco della sua vita, ha accompagnato i momenti più significativi di transito della pittura napoletana, già quando, da giovane, ha affrontato l’abbandono del Naturalismo (sia pure nella misura della lettura guariniana), per poi abbracciare un più esaltante empito barocco, ritrovandosi a convergere su forme quasi neopretiane negli anni di dopo la scomparsa del Giordano, per giungere alla sua stagione di sintesi composita che caratterizza gli anni della sua ultima produzione.

F. De Mura, Allegoria

L’eredità del Solimena è dura da gestire: ci si prova il De Mura, ad esempio, che provvede a suggerire una formula che vorremmo definire di flautato classicismo svolto secondo modulazione di cromatismi addolciti e di ariosità compositive.

Fiorisce, intanto l’Accademia, che viene fondata nel 1752, alla cui guida verrà poi chiamato il Bonito, che provvederà, durante tutto il tempo della sua direzione, a dettare un indirizzo di sobria composizione delle varie prospettive di indirizzo che l’arte del tempo va proponendo tra una sensibilità di esuberanza creativa (Falciatore, Fischetti) una più compiuta consapevolezza d’equilibrio (Diano, Bardellino) ed una istanza classicistica (Mengs).

F. Fischetti, Sala dell’estate, Caserta, Reggia

Non mancava, peraltro, una forte domanda devozionistica, che, dietro spinta di una forte istanza d’impegno religioso (Sant’Alfonso, San Giovanni Giuseppe della Croce, San Francesco De Geronimo) andava influenzando significativamente l’ambiente napoletano come può ben osservarsi attraverso la osservazione del rapporto che legava, ad esempio, Paolo De Maio, appunto, con Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.

A contrariis, rispetto a tutto ciò, occorrerà aver conto della personalità di un artista come Gaspare Traversi che significativamente andava proponendo una azione creativa che  allineava, di fatto, la cultura figurativa napoletana alla ricerca più avanzata europea.

In qualche modo, la cultura figurativa del Traversi sembrerebbe trovare sponda nella pratica stessa del Bonito, anche se, in quest’ultimo, indiscutibilmente agiscono ragioni – che noi suggeriremmo di definire di ‘opportunità’ – che non consentono all’artista di spingersi in profondità su quella via di analisi critica della realtà ambientale come aveva suggerito che dovesse farsi il Traversi.

G. Bonito; C. Angelini, Autoritratti

Ovviamente, c’era anche dell’altro: c’era, ad esempio, la cultura di più significativa coscienza classicistica che avrebbe trovato in Vanvitelli un protagonista di sicuro valore, egli che intende, però, il classicismo non come sterile intervento di ordine quasi ‘archeologico’, ma come compostezza, piuttosto, capace di cogliere il pieno significato della cultura napoletana che aveva saputo dare esempi di straordinaria vitalità, da ultimo, con alcuni grandi protagonisti della scena architettonica settecentesca, variamente articolati lungo il secolo, come il Sanfelice, il Vaccaro, il Fuga.

G. Traversi, Concerto

Il cantiere della Reggia di Caserta è uno straordinario incubatore di idee, ma è anche il luogo che consente di misurare una certa distanza tra la politica culturale ‘ufficiale’ e quella, invece, praticata da una committenza non meno colta, ma indisponibile a prestarsi al gioco di una rimodellazione radicale del gusto e che desse il benservito ad una lunga tradizione che muoveva già dalla stagione barocca e che s’era alimentata delle sensibilità vaccariane, dello stesso Giacomo del Po e financo del più accomodato ‘moderatismo’ di Paolo De Matteis.

C’è un artista, in ispecie, che ben interpreta le istanze di una committenza che è quella della seconda metà del ‘700 e, poi di fine secolo e di trapasso all’ ‘800; ed è Angelo Mozzillo, che riempie non solo Napoli, ma in particolar modo la sua provincia, di una straordinaria messe di tele e di decorazioni ad affresco, variamente sparse in chiese, conventi, case nobiliari e borghesi.

  1. Mozzillo, Affreschi Congrega del Rosario, Caivano

Si affaccia, intanto, il periodo delle grandi riforme sociali e della paura della rivoluzione, una ‘paura’ che si impadronisce della corte stessa napoletana con Maria Carolina che, dopo la fine della sorella a Parigi, teme per se stessa e preme sulle decisioni di governo dello stato perché quella che poteva apparire una sorta di disponibilità riformista si traducesse in un révirement di indisponibilità conformista.

Si tenga conto, in proposito della testimonianza fornita da una pittrice di corte come fu Elisabetta Vigée Le Brun, che ben conosceva i fatti della Corte napoletana e si tenga conto anche di quello che interpretò di tutta questa vicenda la coscienza popolare partenopea consegnandolo al motivo de La serpe a Carulina, che stigmatizza l’involuzione della regina napoletana, non esitando a darle platealmente l’appellativo di ‘zoccola’.

Sulla base di tutto ciò si costruiscono le premesse della prospettiva restauratrice che sarà quella che si impone all’indomani del ritorno a Napoli dei Borbone dopo la parentesi della Repubblica del ’99.

Ora, anche in campo artistico, le cose sono radicalmente cambiate e si affaccia la nuova istanza classicistica che viene interpretata da autori come, ad esempio, il Tischbein, che assume la direzione dell’Accademia, o come Costanzo Angelini e Pietro Saja nei quali, però, occorre dire, si affacciano già prime premonizioni di quella sensibilità di ordine ‘storicistico’ che vedrà indirizzarsi le ragioni ‘classicistiche’ verso una ibridazione ‘romantica’, come si potrà verificare in autori come il Celestino, il Guerra o il Maldarelli, con i quali, però, l’ ‘800 è già entrato pienamente in scena ed ha lasciato alle spalle la stagione di transizione di quei decenni tra Rivoluzione francese e temperie napoleonica che hanno segnato un punto di non ritorno nella storia.

Ma anche nell’arte.

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