Eh si…. un altro dolce, dicevamo il 12 dicembre 2021 (v. articolo in FreeTopix Magazine), sta spodestando, se non lo ha già fatto da tempo, sua maestà “la sfogliatella” da Regina dei dolci napoletani.E’ “La pastiera napoletana”. Dolce pasquale per tradizione che si è proposto ed imposto, oltre che per la sua bontà, anche per la sua peculiare caratteristica di poterlo conservare per diversi giorni, cosa non possibile per la “Regina spodestata”. Dolce di indiscutibile bontà e capace di mettere di buonumore chi lo assaggia. Famoso l’aneddoto del “Re bomba”, Ferdinando II di Borbone che offrì una fettina di pastiera alla moglie, Maria Teresa D’Asburgo, donna poco incline alla socialità ed alla vita di corte e che non sorrideva mai. Nell’assaggiare il dolce sul suo volto apparve un sorriso. Ferdinando che aveva uno spiccato senso dell’umorismo disse:

Chistu dolce te piace eh? E mò c’ ‘o saccio      
ordino al cuoco che a partir d’adesso,
stà pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere ha dda passà n’at’ anno
!

Traduzione: Ti piace questo dolce? Ed ora che lo so, ordinerò al cuoco che da ora questa pastiera si farà un po’ più spesso. Non solo a Pasqua, ché altrimenti è un danno, perché per farti ridere dovrò aspettare un altro anno!

Sembra che il Re Borbone profetizzasse il futuro della pastiera.  Infatti negli ultimi decenni “la pastiera “, grazie anche alla reperibilità dei suoi ingredienti, piano piano, senza sgomitare, ha trovato posto nelle vetrine delle pasticcerie, nei bar e nei ristoranti e… nelle case tutto l’anno.  Le origini si fanno risalire, come per quasi tutti “i piatti nobili”, al periodo romano e preromano.

Un’antica leggenda fa risalire la sua origine al culto della sirena Partenope. Si racconta che gli abitanti dei villaggi sorti intorno al golfo di Napoli inviarono sette bellissime fanciulle, ognuna con una cesta, con i prodotti tipici della loro terra. Lo scopo era quello di ringraziarla per aver scelto il loro golfo come sua dimora ed anche per la sua bellissima voce. Sembra che la sirena, commossa, inavvertitamente mischiasse i prodotti dando così origine ad un dolce.

Un’altra leggenda, forse un po’ più suggestiva racconta che la sua origine derivi direttamente dal mare. Le mogli dei pescatori per ingraziarsi il mare in tempesta affinché consentisse il rientro dei loro uomini sani e salvi deposero sulla spiaggia , come dono , 7 ceste piene dei prodotti di quelle terre. Durante la notte un’onda più violente delle oltre mescolò il tutto e l’indomani il mare, ormai calmo, restituì non solo i pescatori sani e salvi alle donne in trepida attesa ma anche uno squisitissimo dolce. I prodotti della terra che venivano offerti.

In entrambi i casi, erano gli stessi che gli antichi offrivano alle divinità durante le celebrazioni dei loro riti pagani per festeggiare l’arrivo della primavera: farina, simbolo  di ricchezza ; ricotta simbolo di abbondanza ; uova, simbolo di fertilità; il grano cotto nel latte a simboleggiare la fusione del regno vegetale con quello animale;   le zagare a simboleggiare il profumo della terra campana; lo zucchero , simbolo di dolcezza ed infine le spezie come omaggio di tutti i popoli.

Lasciando da parte le leggende questo dolce verosimilmente deve le sue origini alla fantasia ed alla maestria delle suore benedettine del convento di San Gregorio Armeno di Napoli. Le monache si adoperavano spesso nel creare dolci, anche con una certa simbologia, allo scopo di donarli alle famiglie della ricca borghesia partenopea che contribuivano al loro sostentamento.

Esse pensarono ad un dolce per il periodo pasquale che rappresentasse morte e resurrezione di  Cristo. Crearono con gli ingredienti a loro disposizione e comuni ad altri dolci napoletani “la pastiera”. Si racconta che durante la Settimana Santa nel convento di San Gregorio Armeno si preparassero  una grande quantità di “pastiere” da donare alle famiglie dei loro benefattori e che il profumo che emanava questo dolce,  durante la preparazione e nel mentre venivano portate nei palazzi, si diffondeva in tutta la strada di San Gregorio Armeno e nei vicoli  circostanti ed inebriavano i sensi degli abitanti che potevano, allora, solo fantasticare su questo dolce celestiale.

Testimonianze letterarie a riprova che questo dolce era già diffusissimo nel XVI secolo  le ritroviamo nell’opera di G. Battista Basile “Lo cunto de li cunti” che in una delle novelle nomina la pastiera “ E, venuto lo juorno destinato, oh bene mio : che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle”. Che il Basile si riferisse davvero alla pastiera lo sancisce B. Croce, nel 1925, nel suo commentario all’opera. 

Altra testimonianza la troviamo nell’opera di Vincenzo Corrado, cuoco della corte borbonica,  che fornisce ne “ Il cuoco galante” la ricetta completa e la descrizione di come si realizza “la torta di frumento” :  ” Ammollito bene il frumento in acqua, cotto in brodo e freddato, si mescolerà con panna di latte, gialli di uova, giulebbe (acqua di rose), cedro pesto, e sciolto con acqua di fiori d’aranci, con senso di ambra e d’acqua di cannella; si metterà nella cassa di pasta, la quale si coprirà con altra pasta a strisce, e si farà cuocere.”

Fino a qualche decennio fa si gustavano quasi sempre “pastiere” fatte in casa. Con forno a legna o con forni elettrici, in ogni quartiere, in ogni casa, nelle città e nelle campagne della Campania, nella Settimana Santa si faceva questo dolce. C’era anche l’usanza di offrire al vicino, ai parenti, agli amici una pastiera. Si arrivava a casa del parente con un vassoio improvvisato di cartone o nello stesso  “ruoto della pastiera”, ovviamente con la preghiera di restituirlo “sa mi serve per il prossimo anno”.

Quasi sempre se ne riceveva un’altra in cambio, più piccola o più grande non aveva importanza. Era importante invece che si portasse in dono una “pastiera”. Ognuno, nel rispetto degli ingredienti base, con “modestia” ma fieri della propria realizzazione suggeriva che con i suoi piccoli accorgimenti la sua pastiera era perfetta. “Ho messo a bagno il grano un pò di giorni fa ed ho usato la ricotta romana, sai è più asciutta, ed i canditi li ho fatti in casa”; un altro “no guarda io ho usato il grano precotto sai è più comodo ed i canditi li ho comprati già belli e fatti, sono più profumati”.

Importante era farla il Giovedì Santo, secondo alcuni il Venerdì Santo, e mangiarla la Domenica di Pasqua, se ne fosse rimasta al massimo il lunedì in Albis. Sette devono essere le strisce.  Secondo alcuni perché riprendono la pianta del centro storico: 3 decumani e quattro cardini. Altri sostengono che le sette strisce stanno ad indicare i sette ingredienti. Ma più buona o meno buona, sette strisce o sei, canditi o no, quella che si recava in dono non era solo un dolce squisito era innanzi tutto la condivisione di una festa, il mantenere buone relazioni con gli altri, mantenere vivo il rapporto sociale. “La pastiera napoletana” è il dolce che non solo fa “sorridere” ma porta con la sua squisitezza, con i suoi profumi un messaggio subliminale: Pace.

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Di SaFra

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