A Natale sulle tavole dei napoletani, tra le tante pietanze classiche delle feste, non possono e non devono mancare i 5 dolci della tradizione. Nel corso degli anni venivano preparati in ogni casa, in quelle dei nobili ed in quelle dei più umili. Ancora oggi le pasticcerie producono questi dolci, forse nelle case un po’ di meno ma è bene ricordarli e fare un po’ di storia per le nuove generazioni.

“I susamielli “ a forma di S

La nascita di questi dolci risale, secondo alcuni, al periodo greco. Erano biscotti che si preparavano in onore dei Misteri Eleusini, Demetra e Core. Dai suoi ingredienti: sesamo e miele sembra derivi il loro nome “sesamon e miele”. Ma la tradizione napoletana vuole che siano stati realizzati per la prima volta nel convento delle monache di Santa Maria della Sapienza, nel centro storico di Napoli, e chiamati “sapienze”. Alcuni storici fanno risalire invece questo dolce al Convento di Santa Maria della Sapienza a Sorrento, che nel periodo natalizio ne producevano in gran quantità. “Sapienze”, quindi, deriva dal nome del convento.  

A seconda a chi venivano donati, si differenziavano, principalmente per gli ingredienti in: “i susamielli dello zampognaro”, “i susamielli del buon cammino”, ed i susamielli nobili” . I primi, più poveri ed anche i meno costosi, venivano preparati con farina grezza e bucce di agrumi, ed offerti agli zampognari quando passavano nelle case ad annunciare l’arrivo del Natale. I secondi donati ai frati ed al clero e ripieni di marmellata di amarene. Gli ultimi, che ancora oggi sono conosciuti anche come “sapienze” venivano preparati prima della festa dell’Immacolata e venivano offerti nelle case dei nobili agli ospiti per tutto il periodo delle feste accompagnati con marsala o vino dolce. Oggi “i Susamielli” o “le sapienze” continuano ad essere gustati nella notte di Natale, alla fine del cenone, e durante tutto il periodo delle feste natalizie.

I “Raffiuoli” o “ raffioli”

Secondo una leggenda il “raffiuolo” sarebbe nato da un’idea delle solite monache. Intorno al Settecento le monache del convento benedettino di S. Gregorio Armeno a Napoli, ispirandosi ad un piatto della tradizione nordica, ravioli di pasta fresca imbottiti, crearono un dolce: “i Raffiuoli o ravioli dolci”. La denominazione sembra derivare proprio dal termine raviolo. Si tratta di un dolce realizzato con due dischi ovali sovrapposti  di una pasta quasi simile al  pan di spagna. All’interno una crema di ricotta e zucchero con gocce di cioccolata. Sul disco che fa da copertura un piccolo rombo di zucchero colorato di verde e ricoperto il tutto da una glassa bianca.  Le principali versioni di questo dolce sono due. Una semplice ed un’altra con la farcitura tipica delle cassate. Nel corso degli anni si sono diffuse molte varianti: con cioccolato, con crema ecc.

“Gli struffoli”

Tra questi 5, ed anche tra tutti i dolci napoletani, gli “struffoli” sono i più conosciuti. Anche la loro origine si perde nella notte dei tempi. Si dice che siano stati portati nel golfo di Napoli dai greci e da qui, secondo alcuni, la derivazione del loro nome: “strongoulos pristos”- arrotondato e tagliato. Altri fanno risalire l’origine del nome alla presenza dello strutto nell’impasto,  altri al gesto che si fa quando si arrotola la pasta a cilindro per poi tagliarla. Anche se la loro provenienza è incerta sono conosciuti in diverse  regioni con altri nomi ed in grandezza diverse.

Ci sono gli “Struffoli alla romana”, la “cicerchiata” come vengono chiamati in Abruzzo. In altri luoghi sono chiamati “castagnole”. Nel Palermitano perdono una “s” e sono denominati “strufoli”. Ma i veri struffoli napoletani comunque devono essere di piccole dimensioni in modo tale che il miele entri in contatto con una superficie maggiore di pasta rendendoli deliziosi e dolcissimi al palato. Devono formare una montagnola, ovviamente dopo il passaggio con il miele, ed ancora caldi. Guarniti con i famosi ”diavolilli”, con cedro e arancia candida e per chi vuole restare nella tradizione con la famosa “cucuzzata” cioè zucca candita.

“I Roccocò”

Anche i famosi roccocò napoletani sono stati inventati in un convento. Nel medioevo la moglie del Re Roberto d’Angiò, Sancha D’Aragona istituì un convento per poter accogliere e salvare donne dedite alla prostituzione. In questo convento, che si trovava nella zona della Maddalena a Napoli e che oggi non esiste più, le monache inventarono i “roccocò” dolci tipici natalizi. Il nome, forse, deriva da “roccaille” per la loro forma che somiglia ad una conchiglia o forse per la loro consistenza rocciosa. La caratteristica appunto dei veri roccocò è la consistenza. Devono essere duri, “tuost”, e non morbidi come si trovano oggi. Il roccocò per poterlo mangiare bisognava inzupparlo in un vino liquoroso, quello più usato era il marsala, proprio per ammorbidire la sua consistenza evitando quindi danni alla dentatura. 

“I Mostacciuoli”

Occupano un posto speciale nel mondo della pasticceria napoletana. Sono biscotti speziati tagliati a forma di rombo e coperti di glassa al cioccolato preparati dal giorno dell’Immacolata e presenti sulle tavole dei napoletani per tutto il periodo natalizio. Anch’essi di origini remote. Già Catone ed altri autori di epoca romana, nominavano “i mustacei” come dei dolci a base di farina, mosto ed anice che favorivano la digestione. In epoca medioevale si parla dei “mostazoli” una sorta di biscotti a base di mosto cotto.

Nel ‘500 Bartolomeo Scappi nella sua opera cita i “piccoli pasticci secchi” che possono essere serviti in apertura di pranzi. Molte sono state le varianti che si sono avute nel corso dei secoli ed ogni regione ha elaborato una propria ricetta. Quelli che più sono rimasti fedeli alla tradizione antica sono quelli abruzzesi a base sempre di farina, miele e mosto ben cotto. In Puglia invece utilizzano al post del mosto di vino un cotto di fichi. I noti “mustazzola” ragusani sono invece preparati come quelli antichi con farina, vino cotto miele fuso e mandorle tritate.

FOTO DI SAFRA

I dolci sono stati realizzati dalla Pasticceria “Voglia di dolcezze”: Via Trento, 16 – Pagani

Di SaFra

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