La ‘poesia visiva’ è una zona di confine tra arte e letteratura. Praticata fin dalla antichità, si presenta, oggi, con un volto nuovo, anche grazie al contributo fornito dal Concettualismo, che rielabora alcune sensibilità ‘verbo-visive’, che manifestano, peraltro, assonanze latamente astrattive.
Dalla antichità più profonda e, poi, soprattutto a partire dalla età ellenistica, si afferma la pratica del calligramma che consiste in un componimento poetico in cui le singole lettere e le parole sono disposte secondo un ordine particolare che crea la raffigurazione di qualcosa, di qualcosa, in particolare, che abbia una relazione diretta con i versi della poesia.
Non a caso, successivamente, a tali particolari prestazioni poetiche è stato anche attribuito l’appellativo di ‘poesia visiva’ o di ‘poesia visuale’, secondo che, a dettare il significato complessivo dell’integrazione tra parola ed immagine sia l’insieme delle lettere che costruisce l’immagine o, al contrario, l’immagine che generi una prestanza significazionale verbale.
Nell’età classica, a dire il vero, prevaleva principalmente la formulazione ‘poetico-visiva’, come ci viene testimoniato dai componimenti pervenutici dall’antichità, quando il genere veniva chiamato dai Greci col nome di ‘Technopaegnia’ e dai Romani ‘Carmina figurata’.
Simia di Rodi viene ritenuto l’inventore del genere e di lui abbiamo un componimento in particolare, ‘L’uovo’, che si presta, tra l’altro, anche ad una lettura cinestetica tendente, sostanzialmente a far pervenire il lettore progressivamente, dai bordi, fino al centro dell’immagine dell’uovo.
Tra gli altri autori, ricorderemo anche Teocrito e Porfirio, non senza additare, tuttavia, che il genere avrebbe avuto un suo sviluppo anche durante il Medioevo (da Rabano Mauro agli affreschi della cripta del Duomo di Anagni), attraversando, poi, l’età rinascimentale e barocca, per giungere fino al ‘900, quando sarebbe diventato patrimonio delle Avanguardie storiche, principalmente ad opera di Guillaume Apollinaire (Il pleut).
Una prospettiva d’approccio di carattere semantico alla poesia visiva può lasciare ritenere che l’intento primario del poeta sia quello di costruire una corrispondenza logica tra l’immagine della cosa ed il nome della cosa, andando a costruire, sulla base di tale intento, un percorso creativo che è quello che si esplicita attraverso ciò che potremmo additare come l’aspetto ‘narrativo’ del componimento al cui interno sono conservati i contenuti della comunicazione.
Alla luce di ciò è possible intendere senz’altro una prima misura comunicativa del testo ‘poetico-visivo’, ma tale approccio di lettura certamente diventa insufficiente a spiegare i ‘sensi’ più profondi che questa ‘forma’ poetica si prefigge di guadagnare.
Sarà importante, pertanto, andare ad osservare come sia soprattutto un intento di alto valore ‘partecipativo’ ciò che l’autore di componimenti ‘verbo-visivi’ si prefigge di indicare quando, ad esempio, propone la misura poetico-visiva come il campo di esplicazione non necessariamente di ordine meramente mimetico, ma più significativamente ‘astrattivo’, andando a costruire delle corrispondenze anche di ordine ‘geometrico’ come avverrà, ad esempio, negli stessi componimenti di Simia (il già citato ‘Uovo’, ma anche le ‘Ali’). Qui, infatti, l’assetto logico-razionale dell’immagine – andando a recuperare le proprietà della strutturazione geometrica, che presiede l’ordine delle cose – procede, con un metodo d’intervento, che è quello propriamente ‘analitico’, a fornire, in pratica, un quadro ermeneutico della realtà fenomenica osservata attraverso altre opportunità di considerazione.
D’altronde, non è un caso che un pensatore come Giordano Bruno abbia potuto immaginare la configurazione geometrica come un assetto di straordinario valore per poter affidare alla associazione ‘verbo-visiva’ il messaggio sapienziale delle sue considerazioni non solo logiche, ma anche più empiricamente mnemotecniche.
Sarebbe poi venuta la stagione delle Avanguardie storiche di primo ‘900: ed abbiamo già citato la personalità di Apollinaire: e, successivamente, soprattutto negli anni della seconda metà del ‘900, sia la prospettiva creativa della poesia visiva che, non meno, quella ormai più nettamente configurabile della poesia visuale, avrebbero guadagnato netto successo proponendosi, in Italia, soprattutto le due ‘scuole’ napoletana e genovese, con l’affermazione, tra gli altri, di Stelio Maria Martini, Camillo Capolongo e Luciano Caruso a Napoli e di Corrado D’Ottavi e Martino Oberto a Genova, avendo anche conto di personalità come quella di Eugenio Miccini a Firenze e quella di Arrigo Lora Totino col quale si apre la sperimentazione propriamente detta della ‘Poesia Concreta’, con la quale il ‘significato’ si ottiene solo come processo di ricomposizione di un contesto di lettere e segni tipografici e visivi o anche sonori che si produce attraverso la riformulazione dei riferimenti semantici e delle pienezze contenutistiche di fonti evidentemente dotate di pregnanze ‘significanti’ assolutamente aliene.
All’interno di tali processualità creative che si vivificano nel secolo del ‘900 non solo in relazione al portato di una tradizione plurimillenaria, ma anche per effetto dell’azione concomitante della sensibilità ‘concettuale’ di ascendenza duchampiana, si affermerà anche un’altra opportunità creativa che è quella del cosiddetto ‘libro d’artista’, tema quest’ultimo, su cui confidiamo di poter presto ritornare.