Il ‘Convicinio di Orta’ segna un’esperienza di intensa vitalità artistica che ha attraversato la stagione non breve, dalla fine degli anni Ottanta fin quasi ai nostri giorni, fornendo una testimonianza di forti convincimenti contenutistici e di grandi legami di affetti umani

La figura del critico d’arte, che dovrebbe sempre coincidere anche con quella dello storico dell’arte, si trova, talvolta, a svolgere il compito non di mero analista dei dati della storia (poco importa se antica o contemporanea) ma anche quello di ‘compagno di strada’ degli artisti e, non poche volte, di ‘teorico’, di loro guida, cioè, e di suggeritore dell’indirizzo del modo di porsi nel contesto ambientale e nella prospettiva della profilatura dell’abbrivio creativo.

Ricorderemo, appena di passata, come Bonito Oliva sia stato l’ispiratore del movimento della ‘Transavanguardia’, Barilli di quello dei ‘Nuovi-Nuovi’, un po’ d’anni prima, Celant di quello dell’ ‘Arte Povera’ e, prima ancora, Venturi del Gruppo degli ‘Otto’, Arcangeli di quello dei ‘Nuovi Naturalisti’, per giungere, ancor a ritroso nel tempo, alla personalità di Persico che troviamo alla radice di movimenti come i ‘Sei di Torino’ o quello stesso del ‘Chiarismo’ a Milano.

Il critico, insomma, spesso, descrivendo la processualità storica di cose di cui ha avuto non poca parte nella loro stessa ideazione e promozione, non può non ovviare al fatto che la figura dello storico coincida anche con quella del testimone.

È, certamente, questa, qualcosa che non appare gradevole sul piano del buon gusto – parlare, in fondo di sé stessi – ma non è nemmeno facilmente evitabile se di un processo, al cui interno si è svolto un ruolo, si intende fornire una descrizione non solo piena ed avvertita, ma anche pro veritate.

Forti di tale ‘precedente’, ci permettiamo di parlare del Convicinio di Orta, che è stato – ma potremmo anche dire, è, tuttora, visto che non ne è stata mai decretata né riconosciuta la fine – un organismo artistico al cui interno abbiamo avuto personalmente qualche parte non proprio secondaria e che ha visto svilupparsi la sua azione di intervento nel periodo almeno del ventennio che intercorre tra gli anni ’90 del ‘900 e tutto il tempo, ed un po’ oltre, degli anni ’10 del 2000.

Sono molti i nomi delle personalità che hanno concorso a rendere possibile questa grande avventura, cui fummo personalmente convinti di dare questo appellativo di ‘Convicinio’, rapportandoci intenzionalmente alla definizione della realtà storica antica materana, che, con tale nome, addita gli aggregati di chiese rupestri caratterizzati dalla conformazione di assetti evidentemente irregolari, ma non meno significativamente incentrati nel ben definito intendimento di procedere a sviluppare un progetto di comunità.

E proprio alla logica ‘comunitaria’ – di decisa ispirazione olivettiana – intendemmo, infatti, indirizzare il nostro disegno di conferire una profilatura innanzitutto ‘morale’ ad un progetto culturale che si prefiggeva di iscriversi nel mondo delle arti figurative – in ciò che si chiama comunemente ‘sistema dell’arte’ – non ispirati da intendimenti economicamente orientati, ma governati, piuttosto, dalla volontà ben ferma e determinata di aggiungere un tassello, possibilmente significativo, a quella processualità produttiva che aveva segnato tutti gli anni cosiddetti dell’ ‘Arte nel Sociale’ (il decennio dei ’70), in cui l’artista – autodefinitosi ‘operatore estetico nel Sociale’ – aveva provveduto a lanciare una idea importante: che l’arte dovesse essere promotrice di ‘partecipazione sociale’.

Gli anni ’70 erano stati quelli del momento aureo di questa stagione del ‘Sociale’ che aveva trovato nella personalità di Enrico Crispolti il mentore più accreditato ed autorevole, nella ‘Biennale del ‘76’, il luogo di massima visibilità e nel Convegno del 1979 di ‘Autonomia critica dell’artista’ svoltosi a Bologna, l’atto ‘conclusivo’ di una stagione, ma non necessariamente, come eravamo noi ben convinti che non dovesse essere, anche di una profilatura di intervento. A Bologna eravamo personalmente presenti, ed anche qui, pertanto, la figura dello storico si associa a quella del testimone.

Così nasce, quindi, ad Orta di Atella, in area di Terra di Lavoro, il ‘Convicinio di Orta’, non come ripresa ‘nostalgica’ di un tempo ‘che era stato’, ma come affermazione del non esaurimento delle sue ragioni: quelle, in particolare, che – assumendo anche l’insegnamento di Duchamp – intendessero asseverare che il fruitore dell’opera dovesse essere, in qualche modo, anche colui che procedeva a co-creare l’opera stessa, affiancandosi all’artista’ o con un intervento fisico diretto o, più distaccatamente, con un intervento fruitivo attivo.

Intorno al progetto del ‘Convicinio di Orta’, lo dicevamo, si aggregarono moltissime figure e personalità, molte delle quali fornirono contributi significativi e pregevoli anche se limitati nella durata del tempo, mentre altri hanno avuto costanza e convincimento personale di lasciar perdurare nel tempo, e tuttora, una esperienza culturale in cui hanno identificato addirittura le proprie ragioni di vita: e qui diciamo, innanzitutto di Zaccaria Del Prete, di Domenico e Mario Falace (fratelli) e di Salvatore Piccirillo.

Di tali personalità occorre subito dire che il primo, Zaccaria Del Prete, raffinata personalità di intellettuale e di acuto intenditore di ragioni psicologiche ed alchemiche, sensibile indagatore delle intelligenze e delle passioni umane, è sempre stato colui che ha svolto il ruolo decisivo di anfitrione del ‘Convicinio’, consentendone la nascita e la vita col suo entusiasmo coinvolgente, ed avendo cura anche degli aspetti più minuti delle sue esigenze di sussistenza pratica e primaria.

Tutti gli altri sono delle personalità di artisti, che hanno sviluppato, nel corso del tempo, dei percorsi creativi individuali andando a produrre una felicissima esperienza di pratica espressionistica, come è avvenuto in Salvatore Piccirillo, o di evoluzione dall’Informale all’Iperfigurazione, come è avvenuto nei due fratelli Domenico e Mario Falace.

Il ‘Convicinio di Orta’, inoltre – lo abbiamo già detto – era nato con una propria vocazione ‘geneticamente’ partecipativa e, quindi, nel suo  lungo dispiegamento di attività produttiva, ha promosso ed organizzato anche numerosissime occasioni di dibattito e di studio, di ricerca e di ricognizione storiografica approdate ad eventi espositivi, e a pubblicazioni specifiche, prodotte nello spirito di una concezione ‘ecumenica’ dell’arte, in cui lo specifico disciplinare o stilistico non dovesse costituire ostacolo per l’interesse della promozione di approfondimenti di studio, resi materialmente possibili con la ospitalità di numerosissime personalità – spesso le più disparate – di artisti e di intellettuali.

Ricordare, oggi, l’esperienza del ‘Convicinio di Orta’, quando alcuni dei protagonisti di questa stagione, purtroppo, sono scomparsi per sempre, come Salvatore Piccirillo e Domenico Falace, significa non soltanto rendere un atto di omaggio alla loro memoria, ma ricordare anche di tutti quanti, insieme con loro, abbiamo partecipato a questa vicenda culturale che – abbiamo la pretesa di dire – ha lasciato qualche segno nella storia, come d’altronde, è significativamente documentato dall’ampia bibliografia sul ‘Convicinio’ e come anche autorevoli colleghi storici e critici hanno potuto attestare, a partire innanzitutto dalla generosità personale di Luigi Mozzillo, altro protagonista di questa stagione, che promosse, in quegli anni, la nascita di un periodico locale ‘Clanio’ di cui ci piace qui ricordare l’impegno culturale e civile.

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