Vincenzo Irolli è personalità di artista, che ha inteso non piegare mai la schiena di fronte alle mode o alle istanze d’avanguardia.

Definire in relazione a ciò,  pertanto, controversa, o anche ‘scomoda’, la sua figura d’artista  può aiutare a comprendere perché sia potuto avvenire che questo pittore napoletano abbia finito con l’assumere il ruolo di corifeo del tradizionalismo, prestandosi a diventare facile bersaglio di una critica – spesso, ma non necessariamente sempre – prevenuta, che scorgeva nelle sue delibazioni produttive una sorta di deriva creativa, che poteva giovare a vellicare i gusti di una borghesia di più facile palato.

Oggi, alla distanza di tempo, la stroncatura critica che gli riservò, ad esempio, Paolo Ricci, può essere giudicata eccessiva, pur dovendo riconoscere che effettivamente questo artista intese avere un atteggiamento, in qualche momento, di consapevole irrisione nei confronti, ad esempio, delle Avanguardie e non meno delle stesse dinamiche ‘sarfattiano-novecentiste’. Ciò che certamente, però, non può dirsi di lui è voler sostenere che sia stato un pittore di poca qualità.

Nasce a Napoli nel 1860 e in più occasioni si merita il plauso di Domenico Morelli, distinguendosi, presto, per una vena pittorica di vivace impatto compositivo e di decisa profilatura timbrica.

Ciò non basta a fare di lui, però, un espressionista tout-court, giacché la sua vena creativa si dirige a suggerire una formula di stampo post-realista e post-verista, disponibilmente incline ad analizzare gli aspetti della vita sociale, non soffermandosi, almeno apparentemente, a fornirne una esplicita denuncia, e limitandosi a produrre una descrizione delle cose colloquiale e bonaria, che, proprio per tale ragione, si è prestata ad essere interpretata come una sorta di compiaciuta deriva.

Fuori d’Italia e lontano da Napoli ha ricevuto maggior consenso, ed a Napoli è sempre stato considerato un ‘tradizionalista’, anche quando si è dovuto necessariamente riconoscere il valore di una sua peculiare originalità, osservando come egli sappia maneggiare la materia pittorica con straordinaria sensibilità ed efficacia comunicativa.

Che si tratti, ad esempio, di pittura di figura – ed egli sa eccellere, ad esempio, nell’ambito della ritrattistica – sia che si tratti di descrizione ambientale, il suo impegno figurativo non si adagia a fornire una visione limitativa e parziale, ma riesce ad incidere nella realtà viva delle condizioni contestuali, fornendone una rappresentazione che si fa documentazione preziosa e profonda, se si riesce a stabilire la giusta angolazione prospettica nell’analisi di una pittura che, consapevolmente, sceglie di non adeguarsi alle mode e di percorrere, invece, una via di ricerca che solo apparentemente può sembrare essere orientata secondo un indirizzo di slittamento dal piano storico a quello della cronaca.

Di fatto, la materia sfibrata del ductus e la costruzione veloce ed abbruciata delle immagini, i vividi contrasti cromatici e la profilatura di un assetto compositivo di taglio particolarmente efficace consentono alla pittura di Irolli di guadagnare un abbrivio figurativo che è in linea – potremmo anche dire – con la visione cinematografica dell’uso ‘narrativo’ dell’immagine.

Pensiamo, ad esempio, ad opere come ‘Donna alla finestra’, ma anche come ‘Donna di cucina’, in cui l’immagine della scena si propone con un intento di netta proposta narrativa, come il fotogramma di una pellicola predittivamente indicativa delle sensibilità ‘neorealiste’, che sarebbero giunte al successo solo negli anni del secondo dopoguerra. Si tenga conto che il pittore scompare nel 1949.

Questa prospettiva di lettura dell’opera di Irolli non è certamente quella che giustifica il successo di cui la sua opera è stata fatta oggetto a suo tempo; e qui ha ragione la critica che sottolinea quanto, invece, Irolli sia stato apprezzato soprattutto da un pubblico borghese di più semplici gusti, così da poter consentirci, forse, di poter affermare che la fortuna critica del pittore è stata compromessa piuttosto che dalla qualità della sua opera, dal taglio di gusto del pubblico che gli ha garantito il successo.

Oggi, forse, si può ragionare in termini di più pacata osservazione ed analisi dell’opera di questo maestro, valutandone sia la sensibilità espressiva, sia le ragioni compositive, sia le vibrazioni cromatiche. Un esempio illuminante può essere fornito dal suo dipinto de ‘Il Banchetto’, opera di notevoli ascendenze iconografiche e tipologiche (Cfr. nostro articolo in “FreeTopix Magazine” 5 maggio 2021) lavoro  limitativamente osservabile nella prospettiva di una corsiva descrittività ed invece denso di più intensi significati iconologici.

Ha inteso egli, peraltro, lasciarci una immagine di sé ben esemplata, ad esempio, nel più celebre, forse, dei suoi ‘Autoritratti’, ove vi appare come una figura ispirata ed apparentemente assente, protetta dalla sua tavolozza che sembra fargli da presidio di scudo, mentre egli si rappresenta inclinato, avendo sullo sfondo una tela intrigantemente raffigurata di rovescio.

Una sorta di modestia è ciò che, insomma, emerge in quest’opera, una modestia, potremmo dire, connaturata e propria: quella stessa che gli consiglia di presentare le sue immagini quasi di sbieco, suggerite, piuttosto che proposte con pronunciata evidenza, anche quando, come in alcuni lavori di impianto ritrattistico, alcune figure vi appaiono descritte nella pienezza solare di una personalità prorompente, come avviene, ad esempio, in un ‘Ritratto di giovanetta in abito rosso’, ove, però, a ben osservare l’opera, si può comprendere come la ricerca dell’equilibrio compositivo, del bilanciamento delle parti in una preziosissima sintesi di corrispondenze simmetriche finisca col far passare quasi in second’ordine quella immagine di gioviale vitalità che pur doveva, naturaliter, appartenere al soggetto effigiato.

E tale dipinto, peraltro, a dispetto della conclamata volontà di distanza del Nostro dalle atmosfere sarfattiano-novecentesche, mostra di introdurre, con discrezione, proprio a tale clima, al quale egli suggerisce, comunque, d’accostarsi, quasi preterintenzionalmente, secondo quanto testimoniano altre opere, esemplate da lavori come quello di  ‘Donna seduta di spalle al balcone’ o come quello – che stringentemente gli si rapporta e che ci piace, perciò, qui studiosamente richiamare – di ‘Donna seduta in poltrona di vimini’, opera passata, quest’ultima, recentemente per asta (foto da catalogo on-line Dorotheum, che si ringrazia, qui utilizzata attraverso la piattaforma Pinterest).

Alla stregua di tali considerazioni emerge, evidentemente, un dato critico che non può essere sottaciuto: la pregnanza di questa personalità di artista e la necessità di rendere ragione della sua profilatura storica, che si distingue per uno spessore non certo trascurabile, penalizzato, forse – come abbiamo cercato di sottolineare – dalle peculiarità di un gusto fruitivo – quello del suo tempo – che non aveva saputo comprendere il messaggio più profondo di Irolli, limitandosi ad apprezzarne l’apparenza più superficiale, finendo col confondere per mera approssimazione illustrativa un ragionamento narrativo che sapeva farsi portatore di ben altre e più profonde istanze contenutistiche.

La rivalutazione dell’artista, oggi, è segnata da un’accoglienza critica e di pubblico evidentemente più maturamente avvertita ed in grado di cogliere quelle sensibilità espressive che sembrano voler nascondersi sotto una immediatezza d’impatto che meritava, finalmente, una più addentrata adesione psicologica e culturale.

(La valutazione dell’artista prescinde da qualsiasi intento di promozione o di asseverazione dei lavori a lui assegnati, e questo contributo critico, pertanto, rientra nel novero di una semplice saggistica storiografica)

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