In una delle tante iconiche sequenze di “Nuovo Cinema paradiso” di Giuseppe Tornatore la macchina da presa carrella morbida sugli spettatori soddisfatti che, sprofondati nelle poltrone della sala, si lasciano ipnotizzare dal film fumando una sigaretta. Nel 1988, epoca in cui il Peppuccio nazionale girava il suo film da Oscar, fumare a cinema non era più consentito da più di dieci anni grazie alla legge emanata nel 1975 che proibiva il fumo sui mezzi pubblici e in alcuni locali pubblici, tra cui appunto cinema e ospedali; norma rafforzata poi da una legge successiva che estese il divieto anche a ristoranti bar e discoteche.

Il grande schermo avvolto da una nube di fumo spessa come la nebbia attraversata da Titanic prima del naufragio è, perciò, un’immagine del passato entrata nella memoria collettiva col fascino proprio delle sue contraddizioni. I danni del fumo sono noti a tutti e non ha senso elencarli ancora, ma negare che le sigarette sul grande schermo abbiano contribuito a rendere immortale alcuni dei personaggi entrati nell’immaginario del pubblico di tutto il mondo è innegabile.

Marlene Dietrich, per più di mezzo secolo, sul grande schermo ha elegantemente stretto una sigaretta tra le dita ed è anche a quella sua “nevrosi” – come la definì lei stessa in tarda età – che la sua voce aveva quei contorni rochi sensuali ed inimitabili che l’hanno trasformata in una leggenda di Hollywood. Nei film in bianco e nero della vecchia Hollywood, quelli per intenderci dove gli uomini si cambiavano per cena e le donne avevano sempre i capelli pettinati ad onde e lunghe vesti fluttuanti, la sigaretta era un accessorio come la gardenia all’occhiello o i guanti e il cappellino.

Fumava Humhrey Bogart in “Casablanca”; fumava Joan Crawford in “Donne” dell’indimenticato ed indimenticabile George Cukor regista di alcune tra le commedie più belle di sempre; fumavano James Stewart e Kathrine Hepburn in “Scandalo a Filadelfia”, sempre di Cukor doppio premio Oscar 1941. E’ con una sigaretta che Cary Grant si presenta a Eve Marie Saint sul treno di “Intrigo internazionale” ed è con una sigaretta tra le labbra che Elia Kazan immortale Marlon Brando in “Fronte del Porto” e Nicolas Ray consacra  James Dean in “Gioventù bruciata”.

La storia del cinema non sarebbe la stessa cosa senza le “bionde”, a dispetto di qualsiasi battaglia i fautori del politically correct ad oltranza conducano da anni, arrivando persino a chiedere di cancellare da alcune delle sequenze più famose le odiate sigarette. Un’operazione di repulisti che serve non a combattere la legittima battaglia contro il fumo, ma solo a tentare di ridisegnare la storia, anche quella cinematografica, a proprio piacimento. Nei film che fanno parte della storia del cinema quasi tutti fumano, perché nella realtà che quelli mettono in scena il fumo ne era parte integrante ed eliminarlo significa alterare la realtà.

Girare oggi un film ambientato negli anni 40 senza che nessuno fumi equivale a creare un falso storico, senza fascino oltre che senza realismo. Perché, checché se ne dica, anche a costo di essere politicamente scorretti, resta vera la massima del geniale Oscar Wilde “le cose migliori della vita o sono illegali, o immorali o fanno ingrassare”.

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