Tra ultime notizie e rapido riepilogo della situazione

E’ dal 1° Febbraio scorso che la situazione in Birmania continua a peggiorare. Il numero delle vittime continua a crescere. I dati ufficiali non sono per niente confortanti. 510 è il numero ufficiale dei morti, ma si teme che molto probabilmente la cifra possa essere ancora più alta. Tutto il mondo, dunque, è inorridito per quanto accade in Myanmar, dopo che il colpo di stato militare ha di fatto cancellato tutti i progressi avuti con la transizione democratica durata solamente dieci anni.

Progressi inaugurati, ufficialmente, con l’entrata in vigore della costituzione del 2008 in cui veniva sancita una democratizzazione disciplinata. Il primo segnale importante fu la liberazione due anni dopo della figlia dell’eroe nazionale, Aung San, Aung San Suu Kyi. Infatti quest’ultima venne liberata dopo ben 15 anni di arresti domiciliari nella sua abitazione di Yangon. Era il 13 novembre del 2010. Mentre suo padre, appunto, invece era riuscito a distaccare la stessa Birmania dalla Gran Bretagna nel 1991.

Un anno dopo la liberazione di Aung San Suu Kyi, ed esattamente dieci anni fa, l’ex generale divenuto in seguito uomo politico, Thein Sein, divenne Presidente della Birmania e, coadiuvato da un gruppo di suoi collaboratori ex-militari, incominciò ad avviare alcune riforme politiche e sociali nel Paese. Come il rilascio degli stessi prigionieri politici e l’abolizione della censura.

Bisogna precisare che, oltretutto, nel 2010, pochi giorni prima della liberazione di Suu Kyi furono indette delle prime elezioni con lo scopo di concretizzare, ancor di più, tale processo di democratizzazione. Elezioni che la Lnd, Lega nazionale per la democrazia, non prese parte. La Lnd è un partito politico nato nel lontano 27 settembre del 1988, il cui leader è la stessa figlia di Aung San. Durante quelle elezioni, che non si svolgevano da diverso tempo, comandavano ancora i militari.

Nel 2012 Suu Kyi riescì a farsi eleggere come membro del parlamento e tre anni più tardi ottiene una vittoria schiacciante nelle prime vere elezioni democratiche nel Paese. Era l’8 novembre del 2015. Eppure nel 2016, a causa di una clausola prevista nella Costituzione, la medesima viene esclusa della Presidenza per accontentarsi di diventare Ministro degli Esteri.

Sempre nello stesso ottiene l’incarico di Consigliere di Stato, creato apposta per lei, e di fatto, finalmente, raggiunge l’obiettivo di rappresentare il potere esecutivo. Ma i problemi iniziano proprio in quello stesso anno per lei. Difatti è costretta a rispondere agli attacchi alla frontiera, subiti a causa dei Rohingya. Per questo motivo viene duramente criticata, addirittura, anche dalle Ong; le quali non la riconoscono più come icona democratica. Questo succede tra il 2016, appunto, ed il 2019.

L’anno successivo, molto probabilmente, c’è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tra le tante promesse elettorali c’era quella di modificare la stessa Costituzione del 2008 in cui, purtroppo, venivano sanciti ed ampliati, ancora una volta, i poteri militari, fino ad arrivare alla situazione fuori controllo del 1° febbraio 2021.

Le rivolte della popolazione non ha fermato, in questi due mesi, l’esercito che si è reso protagonista di ogni tipo di violenza e di arresti. E proprio delle persone prese dall’autorità militare si sono, addirittura, perse le tracce.

Di fronte a questa escalation, gli Stati Uniti hanno annunciato l’immediata sospensione dell’accordo commerciale ed investimento che venne concluso nel 2013, con la Birmania, fino a quando non verrà ristabilito un governo democraticamente eletto. Anche la Cina, finalmente, sembra essersi accorta della tragica situazione. Mentre la Francia ha denunciato l’indiscriminata violenza omicida del regime, chiedendo il rilascio di tutti i prigionieri politici. Compresa Aung San Suu Kyi, ancora in isolamento.

Il Regno Unito, da parte sua invece, ha chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si svolgerà domani a porte chiuse, con la speranza che nel Paese possa tornare alla normalità nel più breve tempo possibile.
   

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