All’insegna di una prospettiva di ‘lirismo critico’

Può essere importante ribadire, a questo punto, che il contributo creati- vo di Tommaso Macera vale anche come ottimo viatico per accompagnare il processo di lento attraversamento d’anni che si sviluppa dal periodo che precede la Seconda guerra mondiale a quello del secondo cinquantennio del ’900, introducendo il tema degli sviluppi che assume nel Mezzogiorno d’Italia questa modalità creativa di stampo ‘chiarista’ opportunamente in- tesa nella prospettiva di ‘lirismo critico’.

Detto questo, osserveremo innanzitutto, come, nel Mezzogiorno d’Italia, negli anni tra le due guerre mondiali, la temperie ‘novecentista’ abbia agito su un terreno abbastanza insidioso, dal momento che il ‘verbo’ sarfattiano ha dovuto confrontarsi con un’istanza ‘naturalistica’, avvertita, piuttosto che come un richiamo ‘stilistico’ alle sensibilità di marca complessivamente ‘veristica’ ottocentesche, come una configurazione ‘categoriale’ appartenente, invece, potremmo dire, ‘geneticamente’, alla identità meridionale, già dai tempi della pittura antica di età pompeiana.

Può essere possibile avere documentazione di tutto ciò addirittura nella stessa produzione che dovrebbe essere di più stretta osservanza ‘novecentista’, come in quella prossima alle ragioni del regime, promossa nelle fila del Sindacato, ed esemplata sull’attività di personalità come Lionello Balestrieri, Pietro Barillà, Franco Girosi, Giovanni Brancaccio ed altri. Questi autori sfuggono, in realtà, ad una obbedienza paradigmatica di stringente ossequio ‘novecentista’ ed avvertono attiva, piuttosto, l’istanza – definiamola pure sorgiva e ancestrale – di un rapporto con la natura che intende rendersi libero e svincolato da urgenze costrittive.

Scavalcando, quindi, tutto il portato della temperie palizziana, sembra riprendere vigore, negli anni stessi tra le due guerre mondiali, quell’istanza ‘di macchia’ che avevano inaugurato i pittori della ‘Scuola di Resina’,

o ‘Repubblica di Portici’, che, con Rossano in testa, avevano dato vita ad una pittura ‘di macchia’, ariosa, fatta di larghi orizzonti e caratterizzata da un linearismo suggerito non da profilature disegnative, ma da accostamenti di campiture cromatiche planari.

Proponiamo un confronto – avendo conto dei molti anni che separano queste opere ed i loro autori – tra due vedute paesaggistiche, una di Federico Rossano (1835-1912) (Paesaggio), l’altra di Attilio Pratella (1856- 1949) (Capri)48, che possono giungere esemplari per cogliere in radice il significato più profondo della tesi che intendiamo dimostrare, e che, cioè, una parte almeno, della pittura napoletana, ma anche meridionale, nella prima metà del ‘900, non segue le indicazioni sarfattiane, ma sviluppa, piuttosto, le potenzialità luministiche e compositive che erano appartenenti ad una propria storia particolarmente significativa ed importante.

Su questa via troveremo ancora altre opportunità di riferimento esemplaristico fornite, tra gli altri, ad esempio, da alcuni tratti della pittura di Leon Giuseppe Buono (1888-1976), come possiamo osservare in un suo dipinto passato per il Mercato antiquariale, Estate a Licola, che mostra evidenti i tratti di una pittura che si rapporta a ben altre radici esemplaristiche, che non a quelle della mera tradizione veristica palizziana, e che a noi sembra ragionevole individuare nell’onda lunga della lezione ‘porticese’49.

Queste poche opere, appena additate, pur nel numero limitato degli esempi che abbiamo prodotto, possono valere a testimoniare di una persistenza, nella pittura napoletana del primo cinquantennio del ‘900, di un’i- stanza luministica e cromatica che viene da lontano e che, coniugandosi con un bisogno di ispirazione ‘naturalistica’, anche se non propriamente ‘veristica’, produce il risultato di animare una pittura fatta di luce e di impermanenze figurative, che non rinunciano ad un approfondimento del dettato ‘raffigurativo’, pur avvertendo, in tralice, l’istanza di dirigere la propria azione d’intervento pittorico più verso la ‘rappresentazione’ delle cose che non verso la loro restituzione pedissequamente ‘raffigurativa’. Si lascia, quindi, così, come vedremo ancor meglio esemplato in qualche di- pinto ‘non finito’ d’anni più tardi e d’altro autore, che sia il colore a creare la struttura dell’immagine, immergendola in un bagno di luce lattiginosa e facendo a meno del supporto disegnativo.

Di una ‘rappresentazione’ delle cose, piuttosto che di una loro pedissequa restituzione figurativa ci offre testimonianza, ad esempio, la pittura di Italo Lombardi, artista napoletano, che nel pieno del ventennio fascista, nel 1932, espone in una mostra del ‘GUF’, l’organismo associativo della Gioventù Universitaria Fascista, un’interessantissima opera dal titolo di Cabine50, che appare di straordinario rilievo per la libertà compositiva di asciutta essenzialità. Tale dipinto, costruito secondo uno scalarsi di piani che sono dettati da una prescrizione di fine sostanza tonale, suggerisce la sua struttura compositiva in funzione del dispiegamento del gioco delle luci che si propongono immateriali e oseremmo dire ‘farinose’ in un’aura che idealmente collocheremmo tra le impermanenze luministiche dei pallori lagunari e quelle fantasmatiche di alcuni aspetti dell’‘American Scene’.

Nella stessa occasione espositiva trovava ospitalità anche un dipinto dal titolo di Mattino ad Ischia, del pittore napoletano Domenico Bologna (1909) artista che sa costruire vivide campiture di luce, che rispondono ad un’istanza di ordine scenografico, cosa questa che costituisce, peraltro, ulteriore profilatura d’impegno professionale della sua personale ricerca creativa.

Della possibilità di lettura di questa ‘linea’ figurativa in chiave ‘categorialmente’ ‘chiarista’ non dovrebbe esserci alcun dubbio, soprattutto se consideriamo la prospettiva allargata che ci sembra dischiudersi per la temperie chiarista, spingendo fino in fondo il dettato dell’intendimento ‘filosofico’ che ne propone Persico di condizione creativa rispondente ad un’istanza che noi scegliamo di definire sinteticamente con la locuzione di ‘lirismo critico’.

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