Decimo appuntamento con il mondo chiarista

Emergono, oltre quello milanese-lombardo, che può definirsi il nucleo centrale ed identitario della vocazione ‘chiarista’, anche altre compagini d’artisti, o personalità isolate, che si fanno variamente portatrici di una istanza che, a questo punto, dobbiamo necessariamente definire ‘categorialmente’ ‘chiarista’.

La storiografia, come abbiamo già messo in evidenza, è intervenuta prontamente a riconoscere l’ampiezza dilatativa del fenomeno ‘chiarista’. Meritano additamento, innanzitutto, la cosiddetta ‘Scuola di Burano’, con la figura guida di Semeghini e quella di ‘ponte’ di Vellani Marchi; va poi apprezzato anche un ‘Chiarismo’ emiliano animato, tra gli altri, da Goliardo Padova cremonese (1909-1979), Renato Vernizzi nativo di Parma (1904-1972), Oscar Sorgato modenese (1902-1941), Tino Pelloni mode- nese (1895-1981), Augusto Zoboli modenese (1894-1993).

Emergono, oltre quello milanese-lombardo, che può definirsi il nucleo centrale ed identitario della vocazione ‘chiarista’, anche altre compagini d’artisti, o personalità isolate, che si fanno variamente portatrici di una istanza che, a questo punto, dobbiamo necessariamente definire ‘categorialmente’ ‘chiarista’.

La storiografia, come abbiamo già messo in evidenza, è intervenuta prontamente a riconoscere l’ampiezza dilatativa del fenomeno ‘chiarista’. Meritano additamento, innanzitutto, la cosiddetta ‘Scuola di Burano’, con la figura guida di Semeghini e quella di ‘ponte’ di Vellani Marchi; va poi apprezzato anche un ‘Chiarismo’ emiliano animato, tra gli altri, da Goliardo Padova cremonese (1909-1979), Renato Vernizzi nativo di Parma (1904-1972), Oscar Sorgato modenese (1902-1941), Tino Pelloni modenese (1895-1981), Augusto Zoboli modenese (1894-1993).

Né meno interessante può essere giudicata la personalità di Leonardo Spreafico, monzese (1907-1974), che ci trasporta in un contesto sì di proprietà di accenti lombardi, ma in qualche modo anche ibridato di altre sensibilità. Egli è artista che ha guardato all’Alciati, ma anche a Semeghini, provvedendo a produrre una “fucina seicentesca [in cui] bruciavano luci e fumi impressionisti”, come opportunamente sosteneva Alfonso Gatto nel 1956, successivamente echeggiato da Raffaele De Grada che faceva riferimento a Cassinari o a Morlotti, considerando un corso maggiore dell’arte lombarda che dai Tosi, dai Gola, dai Mosé Bianchi giunge prima ai chiari- sti e poi a Cassinari e Morlotti.

Una pittura ‘di frontiera’, insomma, potremmo anche definirla così, questa di Spreafico, ma che vale a testimoniare della pervasività di una temperie creativa e delle opportunità cui poteva dischiudere gli orizzonti una visione non acquietata ed omologante.

Osserviamo di questo artista un interessante dipinto, Il Brembo a Ponte San Pietro, in cui una pittura sfaldata e corposa dà vita ad una sensazione d’atmosfera che coniuga, appunto, un’antica disponibilità ‘naturalistica’ lombarda, con una sensibilità più moderna, portatrice di una sensibilità più fragile ed attuale.

Aggiungeremo a quella di Spreafico, la personalità di Guido Pajetta (1898-1987), anch’egli monzese, che si distingue per i modi sintetici di una verve saettante quasi di ispirazione neo-fauve e che vive l’esperienza ‘chiarista’ degli anni centrali del decennio dei ’30 nell’alveo dei rapporti con Lilloni e Del Bon; ed una nota riserviamo anche al ligure Libero Verzetti (1906-1989), che produce una pittura di garbato aspetto tonale, modulata secondo una scansione di asciutte spigolature cromatiche, che definiscono una intrigante e soffusa impermanenza luministica. (Veduta paesaggistica).

Rimane molto sfaccettato, peraltro, il processo valutativo in ordine alle altre connessioni che possono essere prese in considerazione e che segna- no, comunque, una testimonianza di prossimità contestuale ed ambientale della ricerca propriamente ‘chiarista’ milanese col clima creativo animato dalla pittura di artisti come Arturo Tosi (1871-1956) o Raffaele De Grada (1885-1957), che fanno da apripista, in qualche modo, nel disarticolare una prospettiva ancora tutta ottocentesca, introducendo sensibilità indubbiamente aggiornate.

“Detto questo – soggiunge, però, la Pontiggia, che potrebbe apparire dubbiosa sulla opportunità di ‘chiudere’, comunque, in una sfera più ristretta il percorso ‘chiarista’ – bisogna anche dire che, proprio a partire dal 1939, un gruppo, intorno alla galleria dell’Annunciata, bene o male si forma. Lo compongono, appunto, Del Bon, De Rocchi, De Amicis, Lilloni e Spilimbergo”26.

Questa osservazione della Pontiggia sembrerebbe poter disarticolare tutto il ragionamento fin qui svolto, e restringere, quindi, senza concessioni, la rosa ‘chiarista’, che, però, il catalogo della mostra svoltasi tra Milano e Mantova nel 1986 provvede invece ad estendere alle personalità di Renato Birolli (1909-1959), Aligi Sassu (1912-2000), Luigi Broggini del Varesotto (1908-1983), Giuseppe Facciotto del Mantovano (1904-1945), Oreste Marini del Mantovano (1909-1992), Renato Vernizzi di Parma (1904-1972), Maddalena Nodari del Mantovano (1915-2004), Carlo Malerba del circondario di Pavia (1896-1954), Ezio Mutti del Mantovano (1906-1987), Goliardo Padova cremonese (1909-1979), Giulio Perina del Veronese (1907-1985), Ermanno Pittigliani del Mantovano (1907-1979), Giuseppe Lucchini del Mantovano (1907-2001), Aldo Bergonzoni di Mantova (1899-1976).

Per giustificare e comprendere, allora, la praticabilità di un intervento critico che si volge ad allargare l’orizzonte delle dinamiche ‘chiariste’, può essere utile aver presente che agiscono in questo clima culturale, che sarà definito ‘chiarista’, non solo le sensibilità luministiche di ascendenza ottocentesca lombarda, e ‘tonale’ veneziana, ma, altresì, i richiami a quella che è stata la grande matrice del rinnovamento pittorico di Cezanne, richiami interpretati, magari, in chiave in qualche modo ‘dilavata’, come si manifesta negli evidenti echi che si possono osservare, ad esempio, nello stesso Birolli (Composizione, 1937).

Sottolineiamo, in proposito, in ampliamento di riflessione critico-storiografica, che non deve essere avvenuto senza ragione che i nomi di tutte queste personalità, che abbiamo enumerato un po’ prima, siano state indicate una ad una nella copertina stessa del volume nel titolo di Il Chiarismo lombardo, quasi a sottolineare una precisa volontà degli autori (Margonari e Modesti) di incorporazione di tutte queste figure nel novero di una temperie ‘chiarista’ ecumenicamente allargata.

L’orizzonte, quindi si estende e prende corpo la consistenza dei vari apporti delle ragioni settentrionali d’area padano-veneta. C’è da osservare, in proposito e meglio precisando, che il rilievo del contributo veneto non solo non appare revocabile in dubbio, ma si rivela addirittura decisivo nel contesto di una pittura ‘chiarista’, se già solo si considera la vocazione storica di questa terra ad una sensibilità coloristica di netta marca tonale.

E sottolineeremo ancora, e forse non abbastanza, oltre quello, ovvio, di Semeghini, almeno i nomi di Carlo Dalla Zorza di Venezia (1903-1977), Leo Masinelli (1902-1983), Fioravante Seibezzi di Venezia (1906-1975), Mario Disertori di Trento (1895-1980); e può essere messo ancor meglio in evidenza, in aggiunta, il rapporto che si crea tra questa realtà veneta e le sensibilità emiliane, come ben dimostra, tra l’altro, il caso della richiamata personalità di Vellani Marchi, che approda, insieme con Zoboli, a Burano, nel 1920, dopo aver fatto amicizia, l’anno prima, con Pio Semeghini.

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