Quinto appuntamento con la serie di articoli dedicata al Chiarismo

Torna certamente utile, nel tentare di accertare ancor meglio il significato di ciò che vorremmo ritenere il contributo fornito da Persico alla definizione di una profilatura non solo contenutistica, ma anche identitaria di quel gruppo di artisti che saranno poi definiti ‘chiaristi’, sviluppare il contenuto di pensiero che espone la prospettiva di Margonari, quando sostiene che “è molto probabile che Persico sollecitasse tra i suoi amici artisti una idea della persistenza postimpressionistica nella cultura italiana senza la deliberata intenzione di realizzare una vera e propria opposizione a Novecento bensì con l’intento di ‘svecchiare’ l’aspetto cupamente arcai- sta e postmetafisico a cui s’aprivano quasi tutti i pittori affermati”.

Persico, insomma, secondo Margonari, non intende forzare la mano agli artisti che incontra al suo arrivo a Milano: sollecita, piuttosto, le peculiarità distintive del loro indirizzo propositivo e cercherà di indirizzarne l’abbrivio secondo un orientamento che valorizzi le disposizioni antinovecentiste più nella direzione dello ‘svecchiamento’ delle prammatiche che non in quella della contrapposizione frontale al movimento sarfattiano.

La tesi di Margonari apre la via a numerose illazioni e fortifica la nostra convinzione valutativa di un Persico che provvede a fornire un’identità ad un manipolo di artisti che non avevano scelto, inizialmente, di impegnarsi convintamente in un processo unitario e riconoscibile. Osserveremo, in proposito, che lo studioso, non a caso, sostiene che “quanto alla codificazione di un gruppo propriamente inteso non la vollero né Persico né i suoi correlati. Si trattò soprattutto di coincidenze, di relazioni tessute già e preesistenti al momento storico del Chiarismo”.

Alla luce di tali considerazioni appare sempre più convincente la con- siderazione di una disponibilità che vollero darsi alcune personalità di artisti di procedere ad una sperimentazione creativa che trovava qualche momento di spiccata e felice occasionalità per poter coagularsi in una decisione di intervento produttivo, come quella adottata dell’utilizzo di un supporto su cui dipingere dal fondo bianco fresco.

Margonari ricorda, in proposito, che “le origini accidentali della maniera [chiarista] sono storiche: convenuto a Castiglione [dello Stiviere] avendo annunciato l’arrivo solo all’ultimo minuto, Del Bon trovò la tela che l’amico Marini aveva solertemente preparato, ancora fresca. Decisero di dipingere ugualmente mescolando i colori sul fondo fresco; trovò, con- cordemente agli amici, che il risultato si adattava particolarmente alle loro aspettative e decisero di ripetere l’espediente”.

Potrebbe perfino addirittura sostenersi che Persico, forse, non avrebbe adottato la definizione di ‘chiaristi’ per questi ‘suoi’ pittori. Argomenta, in proposito, Margonari: “La dizione ‘Chiarismo’… va impiegata con la consapevolezza che non definisce in alcun modo il contenuto ideologico della loro ricerca, né un gruppo, né una precisa morfologia espressiva… Bisogna, tuttavia, riconoscere la possibilità di raggruppare questo nucleo di artisti solo in virtù della comune propensione ad un cromatismo chiaro oltreché alla ricerca della spontaneità del segno, alla rapinosità della sensazione. Indubbiamente la chiarità è un contrassegno importante, ed è quello che attrasse l’attenzione dei giovani che avevano in uggia le ocre e le fuliggini novecentiste, e determinò una riscoperta del colore nella pittura italiana”.

Le cose sembrano rendersi più ragionevoli: alcuni pittori che ‘hanno in uggia le ocre ecc. di Novecento’ si indirizzano a riscoprire ‘il colore del- la pittura italiana’ ed avviano una ricerca produttiva orientata a schiarire la tavolozza. Coglie tali fermenti, tempestivamente, Edoardo Persico e comprende che quella modalità d’intervento può indirizzarsi a formare un nucleo di artisti che possano contrapporre alle ‘fuliggini’ di ‘Novecento’ (fuliggini non solo cromatiche, evidentemente) un suggerimento di moderata controtendenza, capace di costituirsi in una proposta convincente- mente significativa nel momento in cui si sarebbe potuto rendere possibile assumere quella che Margonari definisce ‘la ricerca della spontaneità del segno, la rapinosità della sensazione’, come fattore intrinseco di una tensione alla chiarezza che fosse espressione di una ‘innocenza’ espressiva da non confondere con una ‘ingenuità’ disavvertita.

In effetti avvenne, quindi, che “La maniera [del dipinger chiaro] finì però per affermarsi, giustificando infine l’epiteto [di ‘Chiarismo, avendo conto che] la dizione adottata non corrisponde al programma ideologico enunciato, il quale non consiste affatto nel dipinger con colori chiari”. Ed additeremo, inoltre, che le argomentazioni che Elena Pontiggia suggerisce sul ‘Chiarismo’ come “un’evoluzione dialettica, che giunge a un distacco dal classicismo sarfattiano insieme più radicale e meno schematico di quanto certe storie dell’arte abbiano voluto raccontarci”, valgono a confermare la considerazione del ‘Chiarismo’ stesso come una processualità che, in fondo, si distacca da ‘Novecento’, per gli aspetti apparentemente ‘formali’ della propria consistenza empirica, mentre la differenziazione più radicale consiste, di fatto, nell’assunzione di una ‘diversa’ coscienza, ciò che noi insistiamo a definire di ‘lirismo critico’, in cui si rivela il capolavoro prodotto da Persico di conferire consistenza contenutistica ad una processualità produttiva che attendeva la opportunità di valorizzare in identità stilisticamente robusta quel sentire nativo che si presentava nella forma di una latenza d’innocenza.

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