Penultimo appuntamento con la serie di articoli dedicata al Paesaggio

Può essere utile, secondo noi, per trovare un ulteriore riscontro logico e storico alla tesi di una validità intrinseca della proposta produttiva che si articola lungo il gradiente del genere paesaggistico nel corso del ‘900, prendere in esame anche un altro versante di quanto la storiografia ci consegna e, cioè, una produzione passata spesso colpevolmente sotto silenzio e che si rivela, ad un’indagine più attenta e serena, come una proposta creativa di grande qualità.

Figure più note e meno note al grande pubblico si rivelano portatrici di una capacità innovativa di grande qualità, ed appare tanto più meritorio il loro impegno, quanto più la loro determinazione creativa sceglie di non ‘appiattirsi’ sulle logiche di un avanguardismo ad ogni costo.

Ecco, allora, che, nella convinzione pratica di non poter fornire una disamina esaustiva di tutto quanto meriterebbe, a giusto titolo, una messa in evidenza, ci determiniamo a compiere una scelta sicuramente ‘corsara’ per fornire al paziente lettore un panorama di carattere ‘campionario’ delle realtà produttive variamente in campo, nel corso del ‘900, sottolineando però, che scelta ‘corsara’ non è sinonimo di scelta ‘partigiana’ e, peggio ancora, di orientamento critico tendenzioso o preconcetto.

Come viatico nell’attraversamento della stagione del trapasso di secolo dal XIX al XX, scegliamo di proporre qualche immagine paesaggistica ad acquerello di un artista napoletano, Giuseppe Pinto (Napoli 1860-1936) che fornisce un suggerimento d’indagine sul tema che travalica quanto giungeva consegnato ai decenni di fine secolo dell’Ottocento, sia come prosecuzione del portato ‘posillipista’, sia come dilatazione dell’abbrivio della ‘Scuola di Resina’, sia, come implicazioni d’ordine impressionista, sia, infine, come ulteriori declinazioni di stampo ‘naturalistico’ d’un orientamento di puro indirizzo ‘verista’.

Giuseppe Pinto, che sa farsi anticipatore, in altri suoi momenti creativi, della stessa temperie futurista, attraverso una disponibilità d’indagine geometrizzante, si rende artefice, in campo paesaggistico, di una ricerca che premia lo sfaldamento dell’immagine, mirando a coniugare una tecnica vedutistica di stampo ancora apparentemente settecentesco, con un’esigenza compositiva sicuramente intrigantemente aggiornata e significativamente versata in direzione espressionistica.

Se prendiamo in esame, ad esempio, la produzione settecentesca di un incisore come Giuseppe Vasi (1710 – 1782), mettendone a confronto con l’acquerello di Paesaggio con ponti di Giuseppe Pinto una tavola come quella di Porta Salaria del 1747, possiamo osservare come permangano, nella pratica creativa di Pinto, alcuni dati compositivi che accomunano i profili dell’impostazione costruttiva dell’immagine alla linea metodologica dell’artista settecentesco.

Ma è nel ductus, che la differenziazione e lo scarto d’epoca si lascia profondamente avvertire, nella vibratilità di carattere ‘espressionistico’ che distingue l’impressa segnica di Pinto facendone un artista versatile e profondamente aggiornato.

È tanto più si rivela significativo, a nostro giudizio, questo confronto a distanza che abbiamo voluto introdurre, giacché esso sceglie con puntuale istanza problematica di affrontare il tema dell’esigenza di rinnovamento figurativo muovendo non dalla cosiddetta ‘pittura di cavalletto’, ma da una dimensione apparentemente più dimessa, quella in cui la pratica artistica cosiddetta ‘alta’ si confronta con le prammatiche d’una creatività giudicata – improvvidamente, evidentemente – ‘minore’ ed ‘artigianale’ quale è quella della ceramica, di cui l’acquerello tardottocentesco i Giuseppe Pinto del Paesaggio con ponti costituisce un bozzetto, o quella dell’incisione, come avviene nel caso della Porta Salaria del Vasi.

Propriamente ottocentesco, rispondente ad una disposizione creativa che eredita le sensibilità del vedutismo britannico settecentesco, ma nella fertile reinterpretazione di un calligrafismo minuto e perspicace, quale era quello stesso che animato, ad esempio, la creatività di Giacinto Gigante, vorremmo additare qualche prova di Incompiuto paesaggistico della fine del secolo XIX, certamente opera d’ignoto autore inglese, attraverso cui si può osservare – proprio per la peculiarità di prima e parziale stesura d’abbozzo – l’interazione disegnativo cromatica cui l’artista si abbandona, nel tentativo di produrre una pittura d’atmosfera e d’ambiente.

Ed una pittura d’atmosfera è anche quella che caratterizza un dipinto del 1922 di Rosa Arnold, rara pittrice probabilmente di origine americana, un Paesaggio in cui la luce definisce i volumi e scandisce gli equilibri delle parti, proponendo un’ineffabile conciliazione di tocchi impressionistici con un’esigenza di compostezza d’assetti che si direbbe di marca ‘valoplastica’.

Databile intorno al decennio degli anni ’20, possiamo osservare – anche in questo caso, in un dipinto di autore ignoto, probabilmente, però, di scuola francese – un Paesaggio montano, che propone la rappresentazione d’una vallata attraversata da un fiume con uno sfondo d’alberi che variamente si dispongono su un gradiente di piani prospettici.

Il dipinto, cromaticamente impostato nell’ordine di un rigoroso e convincente tonalismo, si propone come interessante punto di equilibrio tra ragioni che sono proprie delle logiche impressionistiche ed istanze che appartengono ad una composizione consapevolmente aggiornata sull’esigenza di una robusta resa dei volumi.

Possiamo osservare, a questo punto, come – avendo scelto di prendere in esame dei territori di frontiera, ove gli scambi e gli sconfinamenti sono quanto ci si può logicamente aspettare – ci siamo trovati ad imbatterci in una creatività artistica di grande vibratilità artistica, nutrita di consapevolezze profonde, i saperi ben radicati e della volontà di prodursi – da parte dei vari artisti – in ricerche oneste e tutt’altro che disponibili all’avventurismo senza ragioni.

Quando, poste tali premesse, il nostro sguardo s’allunga verso gli anni Quaranta, potremo osservare che le modalità d’intervento che abbiamo fin qui messo in luce, non decadono nel nulla, trovando esse, anzi ancor altro alimento da una consapevolezza ancor più matura e dalla coscienza degli artisti di vivere un momento storico molto particolare.

Proponiamo, in tale prospettiva, alcune opere di paesaggio: sono opere di artisti italiani che ritraggono sostanzialmente paesaggi italiani i segnatamente meridionali; qualcuno è di netta profilatura urbana, e ci offrono una partecipata testimonianza della trasformazione in atto nel paese. Ci soffermiamo, innanzitutto, su un dipinto, anche in questo caso, d’ignoto autore, che si colloca nell’arco di tempo di trapasso dal decennio del ’20 ai ’30 e presenta un Paesaggio fluviale con chiesetta e ponte.

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