22 novembre 1963: Il giorno che cambiò gli Stati Uniti d’America e la storia

Ma ad appoggiare il Reverendo afroamericano non c’era solamente Bob Kennedy. John, per una buona prima parte della sua amministrazione, nei confronti della comunità nera, sempre secondo quanto ci riportano le cronache dell’epoca, agiva in modo un po’ ambiguo: da un lato permetteva ai neri di ottenere il denaro per acquistare case, dall’altro nominava, presso la Corte Suprema, giudici che erano fortemente contrari all’integrazione.

Nonostante tutto, la posizione del Presidente Kennedy, sul tema razziale, divenne chiaro proprio durante l’estate del 1963. Sono due i momenti clou: l’11 giugno e il 28 di agosto. La prima data viene ricordata per l’assassinio di Medgar Evers mentre lo stesso Kennedy stava parlando alla nazione, con un discorso ritenuto ancora oggi uno dei migliori della permanenza alla Casa Bianca; per quanto concerne la seconda data, il giorno 28 agosto 1963, è legato indissolubilmente al leggendario discorso ‘I Have Drem’ di Martin Luther King.

Leggenda vuole che il Presidente, dopo aver ascoltato le parole del futuro Premio Nobel per la Pace, lo accolse alla Casa Bianca, nell’immediato, con la stessa espressione pronunciata dal Pastore Protestante davanti alla statua di Lincoln. Ma non fu solo questo a condannare a morte Jfk. Si pensi alla compagna militare in Vietnam, la quale divenne, senza appello, disastrosa. Ma anche qui è bene precisare.

Nel toccare il tasto del conflitto in territorio asiatico, molti sono portati a credere, quasi erroneamente, che la responsabilità fu del Presidente Kennedy. Attenzione, abbiamo scritto ‘quasi’. Perché questa scelta? Per un semplice motivo. Da un certo punto di vista, John Kennedy fu colui che iniziò quel conflitto con l’intenzione, qualche mese più tardi, di togliere gli Stati Uniti d’America da quella che, purtroppo, si sarebbe rivelata una trappola mortale.

Non a caso, Kennedy, non inviò tutto l’esercito o parte dell’esercito ma i cosiddetti consiglieri militari. All’inizio del 1963 erano, in totale, ben dodici mila. Per puro caso, quando stava pensando di ritirarsi dal Vietnam venne ucciso a Dallas. Solo una coincidenza? Forse o forse ci sarebbe ancora dell’altro riguardo a questa vicenda. Una volta che John Kennedy venne tolto di mezzo, precisamente nell’anno successivo, il conflitto entrò nella fase di escalation sotto la presidenza di Lyndon Johnson.

Quest’ultimo, Johnson, nonostante fosse il Vice di Jfk, non guardava di buon occhio tutta la dinastia dei Kennedy, eppure venne scelto per una ragione di mera opportunità e, allo stesso tempo, scaltra ma rischiosa. Lyndon era molto influente all’interno del Congresso ma, allo stesso tempo, non era pienamente d’accordo con il giovane Presidente. Ciò significava che tutti i progetti legislativi, per poter essere approvati con una certa facilità e rapidità, c’era bisogno di qualcuno che indirizzasse il parlamento statunitense nella direzione giusta.

Per questo, dunque, tale scelta si potrebbe essere rivelata rischiosa ma, a distanza di lunghi sessanta anni, non sappiamo ancora fino a che punto lo sia stava veramente. Pochi mesi dopo l’attentato, durante un’intervista l’ex First Lady, Jacqueline Bouvier Kennedy, affermò che forse a far uccidere il marito fu proprio il nuovo Presidente originario proprio dello Stato del Texas.

È vero non basta, perché ci dovrebbe essere dell’altro. Qualcosa che porti un collegamento più congruo con la morte di Jfk; di certo, comunque, le parole della vedova di John Kennedy non sono da prendere alla leggera. Come non sono da prendere alla leggera neanche gli atteggiamenti, assunti nella sua lunghissima carriera, da parte dell’allora numero dell’Fbi John Edgar Hoover. Quest’ultimo, nel corso degli anni, escogitò un modo infallibile per mantenersi al vertice dell’agenzia investigativa nazionale. Era quello di tenere in scacco ogni candidato alla presidenza con foto compromettenti.

John Kennedy, dal canto suo, era un vero e proprio latin lover, un curriculum che comportava ad un’infinita serie di tradimenti nei confronti di Jackie Kennedy. Tra le tante relazioni extraconiugali che le cronache dell’epoca gli hanno attribuito c’è quella più famosa di tutte: quella con l’attrice Marylin Monroe, con la quale si sfiorò addirittura lo scandalo per degli auguri di compleanno un po’ troppo calorosi, per non dire sensuali. Quindi neanche lui era uno stinco di santo ed è sempre bene precisarlo. Nonostante ciò, John Kennedy veniva ricattato per questo motivo ma, in tutto e per tutto, continuava ad andare per la sua strada.

La stessa strada con continuava a perseguire anche durante quei tesissimi tredici giorni di ottobre, in cui il mondo sembrava sull’orlo di esplodere a causa di una guerra nucleare, come già anticipato nell’articolo di ieri. Tutto ebbe inizio quando si scoprì che i sovietici, a Cuba, installarono dei missili, nucleari appunto, in direzione della costa della Florida.

Molti dello staff presidenziale cercarono, invano si deve dire, di convincere John Kennedy di sferrare un massiccio attacco contro l’isola comunista. Jfk non ci cascò e iniziò la sua operazione di diplomazia che portò ad evitare lo scontro frontale tra le due superpotenze dell’epoca. Non solo, tentò anche d’instaurare delle prove di dialogo tra lui e lo stesso leader sovietico.

Ecco, per esempio, quest’ultimo dettaglio è stato sempre considerato come un possibile movente e non tanto per la dinamica ufficiale dell’attentato e, soprattutto, nei confronti di chi uccise John Kennedy. Ma per una qualcosa, forse, che lo stesso Presidente dichiarò durante la campagna elettorale del 1960.

Precisamente, durante quei primi dibattiti politici che fecero storia per esser stati visti attraverso il televisore. John Kennedy criticò, senza mezzi termini, il troppo lasciar fare della Cia, della troppa libertà che la stessa agenzia di spionaggio e difesa americana deteneva. Molti colpi di stato, in quel periodo, furono promossi proprio dalla Cia. Uno di questi venne preso di mira da Kennedy nell’affaire Cuba.

L’allora candidato per le presidenziali americane per il partito democratico, dopo che Fidel Castro rovesciò la dittatura di Batista, disse: a Cuba non abbiamo reso un buon servizio. Eppure, John Kennedy cercò in tutti i modi di assassinare il dittatore cubano. Che lo stesso fece altrettanto con il Presidente americano riuscendoci alla fine?

Può darsi, ma entrando sempre di più nella questione entriamo, finalmente, alla Dealey Plaza per poterci, poi, collegare con quest’ultimo punto nell’ultima parte di questo speciale.

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