22 novembre 1963: Il giorno che cambiò gli Stati Uniti d’America e la storia

Sono trascorsi 60 lunghi anni da quel tragico 22 novembre del 1963. Sei lunghi decenni in cui la verità non è mai emersa o forse ci è stata spiattellata su un vassoio d’argento in mezzo a tante altre dicerie, ipotesi, finte o mezze verità. Eppure, nonostante tutto siamo ancora qui a chiederci: chi ha ucciso John Fitzgerald Kennedy? Una domanda da un milione di dollari e la cui risposta avrebbe, come logica, lo stesso valore. Fu Oswald a sparare dal sesto piano del deposito di libri della Dealey Plaza in quella metà giornata? Se fosse stato lui sarebbe stato veramente solo o oppure no? O i servizi segreti americani sapevano e l’avevano completamente lasciato fare per togliere da mezzo un Presidente semplicemente scomodo?

Come avete notato: dalla classica prima domanda ne sono scaturite altre tre. Ma pacificamente se ne possono trarre anche altre. Come, per esempio, quella relativa al numero degli spari: quanti colpi di fucile si contarono quel giorno? Tre, come ha sempre sostenuto la Commissione Warren, o quattro, come sostenne qualche testimone presente quel giorno o, ancora, sei come da una prima ricostruzione audio svolta ormai quaranta anni fa? Ma non finisce qui. Chi furono i mandanti?

Quasi subito all’attentato e nel corso degli anni sono sempre stati tre i nomi che hanno circolato con più insistenza o che, comunque, hanno sempre attirato l’attenzione per possibili moventi, diretti e indiretti, che avrebbero portato alla morte il Presidente Kennedy in quella mattina del 22 novembre del 1963, alle ore 12.30 antimeridiane dello Stato del Texas, nella città di Dallas.

Tre nomi anche se si dovrebbe indicarne un quarto, ma su questo punto ci arriveremo. I tre possibili sospettati sono: il capo dell’Fbi Edgar Hoover, il Vicepresidente all’epoca di Eisenhower Richard Nixon, e il Vicepresidente, proprio sotto John Kennedy, Lyndon Baines Johnson. In questi lunghi sessanta anni, è sempre un bene precisare il tempo che è trascorso, sono sempre stati questi tre pezzi grossi che avrebbero avuto o tratto vantaggio dalla morte del trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. E quanto riguarda il quarto sospettato? Come detto ci arriveremo presto in questo lungo speciale su questa giornata a dir poco epocale, dal punto di vista storico.

Prima, però, anche per una questione di mera opportunità relativa a questo particolare approfondimento, partendo dal presupposto che le nostre sono solamente ipotesi e nulla di più, è bene ricordare un po’ tutti i temi caldi che la stessa amministrazione Kennedy stava affrontando in quel turbolento periodo storico: quello degli anni ’60.

Più che temi caldi, per John Kennedy, erano delle vere e proprie rogne con la R maiuscola. Si pensi alla questione del Vietnam, alle proteste in favore per i diritti civili, alla volontà di fare l’accordo con i baroni dell’acciaio per poter permettere ai cittadini americani di rifiatare dal punto di vista fiscale, dalla volontà di voler far battere moneta al governo, togliendo tale potere alla Federal Reserve; per non dimenticare, anche e persino, la troppa libertà della Cia, con la volontà di silurare, nei fatti, il vertice dell’agenzia di spionaggio e di difesa esterna americana e forse anche qualche altra cosa che non ci dobbiamo assolutamente dimenticare.

Un qualcosa che era relativo proprio alla sua famiglia, a come la stessa avesse fatto fortuna con degli agganci non sempre poco puliti. Joseph Kennedy, il patriarca della famiglia più famosa d’America, oltre ad arricchirsi facendo gli affari con quello che all’epoca si chiamava cinematografo, aveva addirittura stretto alcuni contatti con pezzi importanti della mafia.

Non è un caso che Richard Nixon, avversario di John Kennedy nella notte elettorale dell’8 novembre del 1960, aveva sempre accusato il secondogenito di Joe per avergli rubato l’elezione con i voti di cosa nostra. Un’accusa forte, certo che si. Eppure, quello stesso duello si ripresentò otto anni più tardi quando Nixon si ritrovò contro un altro Kennedy, l’ex ministro della giustizia Robert Francis Kennedy.

Questo particolare lo abbiamo ricordato nel giugno scorso, per celebrare, purtroppo, i 55 anni di quest’altra tragica morte. Un caso, dunque? Che Richard non voleva rimanere fregato, e perdonateci il termine, una seconda volta era chiaro a tutti. Ma arrivare ad uccidere un suo diretto rivale alla Casa Bianca da un lato sembrerebbe un po’ troppo, ma dall’altro lato? In effetti, con Nixon siamo balzati subito a quello che dovrebbe essere considerato il terzo sospettato di questa vicenda oscura e, allo stesso tempo, misteriosa.

Ma non è solo questo: i possibili legami con la mafia erano, forse, un po’ più radicati di quanto si potrebbe addirittura pensare. Nel senso che lo stesso Joe Kennedy aveva, sì, le mani in pasto dappertutto, ma non si era mai sentito che potesse avere possibili legami con il Teamster. Il Teamster era un sindacato dei camionisti fondato e presieduto da Jimmy Hoffa, una personalità più che collusa con i mafiosi. Non a caso, scomparve misteriosamente nel 1975 e non venne mai più ritrovato.

Questo particolare è molto rilevante nella vicenda è per un semplice motivo: il fratello di John, Bobby come detto, era il Ministro della Giustizia, ma per anni aveva combattuto la corruzione esistente proprio tra la mafia e il Teamster attraverso le varie commissioni parlamentare a cui prese parte con suo fratello, prima che John venne eletto Presidente.

Le cronache dell’epoca ci riportano, persino, che entrambi i fratelli Kennedy fecero parte anche della Commissione McCarthy per indagare sulle attività antiamericane dà nei confronti di personalità di spicco. Quell’operazione venne definita ‘La caccia alle streghe’ e stroncò la carriera di molte persone accusate di essere dei comunisti.

Non solo, lo stesso Robert Francis Kennedy, durante il periodo al Ministero della Giustizia americano, intraprese un duello memorabile con le molte frange fanatiche di alcuni conservatori che, nel Profondo Sud degli Stati Uniti, vessavano continuamente la comunità afroamericana. Si dice, ma non è una leggenda, anzi è un dato di fatto che ogni volta alta personalità di quella stessa comunità veniva arrestato ingiustamente, lui si prodigava a farlo uscire nell’immediato. Un esempio su tutti, ormai entrato nella storia, è il celeberrimo caso del Reverendo Martin Luther King.

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