La cantante romagnola attira l’attenzione con una cover tutta da scoprire

Lo ammettiamo: è da un bel po’ di tempo che non scrivevamo qualcosa su questa particolare rubrica, inaugurata quasi nel pieno dell’estate. Uno spazio dedicato ai talenti emergenti e che hanno tutto il diritto di farsi conoscere. È vero, ci capita sempre con la musica, perché il talento non è solamente legato al mondo delle sette note, ma su questo sicuramente provvederemo al momento opportuno.

Dopo il ‘fashion rock’ di Raffi, il messaggio sociale di Lucy Manthia, oggi vi portiamo nello swing di Anna Ghetti, emiliana di nascita e nata il 3 aprile del 1998. Si sta facendo notare con una cover davvero particolare, quella di ‘Baciami piccina’, una delle tante canzoni storiche del panorama musicale italiano. Siamo riusciti ad incontrarla, seppur telefonicamente, e, gentilmente, si è concessa alle nostre domande.

La prima, ovviamente, era naturale che ricadeva proprio sul singolo che sta lanciando da qualche settimana: “Non abbiamo voluto rischiare troppo inizialmente, perché già di base contrabbasso e voce particolare. Quindi abbiam detto aspetta un attimo: abituiamo prima la gente a qualcosa di familiare e poi buttiamo delle robe un po’ più particolari. Quello di base sono pezzi che non moriranno mai che sono talmente eterni, sono bellissimi”.

E su questo ha totalmente ragione, come biasimarla; in fondo, per farsi conoscere è bene anche rischiare su pezzi famosi, che hanno scritto la storia della musica italiana, per farsi appunto conoscere, notare; assumendosi la responsabilità, oltretutto, della riproposizione di un brano storico. Ma questa cover, nonostante tutto, non rappresenta un caso isolato, nel senso che è fortemente legata ad un progetto discografico di prossima uscita.

“Allora con questo progetto si, perché in realtà non è il primo disco che ho fatto, i precedenti sono stati con una band e con un’orchestra jazz. Però con questo progetto si”. Aggiungiamo noi, sempre in base a quanto ci ha detto, che la pubblicazione del disco è quasi natalizia, d’altronde siamo nel periodo, quasi; come anche la diffusione di un altro singolo che verrà pubblicato domani 10 novembre, sempre legato alla sua raccolta d’inediti, con tanto di tournée incorporata ancora da organizzare nella sua essenza.

Il suo percorso musicale, comunque, potrebbe esser stato scelto dal destino, il quale molte volte ci mette del suo, e mai, come questa volta, il senso dell’espressione è tutta positiva. Infatti, Anna Ghetti, in verità, è figlia d’arte e su suo padre ci dice:

“Appunto mio padre” che si chiama Paolo Ghetti, sassofonista, per lei “è l’altra metà di questo progetto e lui è un contrabbassista jazz e che fa questo lavoro molto più tempo di me, sono trenta anni che lo fa e quindi lui è uno che ha fatto tanta gavetta adesso si può un po’ rilassare finalmente. È un grande. Inizialmente, perché lui sa quanto sia dura fare questo lavoro in generale, poi dipende dai punti di vista, anche questo tipo di genere, ovviamente ripeto sono punti di vista, ma lui è sempre sul pezzo con me. Perché lui mi ha detto, visto che esprimevo il desiderio di volerlo fare come lavoro, lui diceva: ma tu sei sicura, lo sai che è difficile. Non è uno che mi ha detto fai questo lavoro perché ci sono io che lo faccio”.

Ma non ci basta, le chiediamo ancora qualcosa di lei. Soprattutto quando, effettivamente, aveva deciso di fare la cantante:

“Probabilmente in quinto superiore perché mi ricordo, a quell’età lì, forse avevo diciassette diciotto anni iniziavo a fare le prime serate, che erano serate un po’ trash, negli alberghi. Adesso fortunatamente non accettò più. però ricordo che facevo le superiori, la sera andavo a suonare e la mattina dopo a scuola. Ero stanca ma felice. Quando poi ho iniziato a guadagnare mi sono detto aspetta ma allora si può campare con la musica. Però lo dovevo vivere prima”.

Per quanto riguarda, invece, i suoi cantanti preferiti: “Tony Bennett, Fabio Concato gli voglio un sacco di bene, mi piace tantissimo; Luigi Tenco, anche se non era un cantante, semmai più un cantautore”.

L’ultima domanda appare scontata ma non lo è. L’intento è quello di comprendere come vede il suo percorso musicale nel prossimo futuro: “Jazz, swing, la pachanga e poi in verità, non c’entra niente però, in verità qualcosa può centrare, il reggae. Di tanto in tanto cambierò genere musicale”.

E noi su questo gli crediamo sulla parola, il mutare genere non è sinonimo di qualcosa che non va, semmai vuol dire aprirsi nuove strade anche e soprattutto per una maturità professionale; senza nulla togliere alla sua voglia di promuovere il proprio talento con lo swing.

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