Artisti regnicoli anticipatori della temperie cinquecentesca ma non più tardogotici

Tra Roma, Napoli e la Sicilia, meglio ancora, potremmo dire, tra istanze curiali romane e sensibilità regnicole napoletane, fiorisce, sostanzialmente nella seconda metà del XV secolo, una produzione creativa che non ha ancora la matura consapevolezza della pregnanza classicistica, che sarà poi quella del primo Cinquecento, ma non è più, nemmeno, di netta profilatura tardogotica.

Certo, anche all’interno della stessa produzione tardogotica si avvertono, talora, e nelle stesse regioni regnicole, delle premonizioni classicistiche, come è possibile verificare in alcune personalità spesso anonime, e come è possibile verificare in numerosi contesti decorativi campani e siciliani del pieno ‘400.

Qui vorremmo riferire, in particolare, di un affresco d’ignoto autore – ma che noi riconduciamo alla sfera di Giovanni da Gaeta, non escludendone addirittura la autografia – che è quello della Andata al Calvario del Refettorio del convento francescano di S. Francesco a Casanova di Carinola.

Ignoto, ambito Giovanni da Gaeta, Andata al Calvario, sec. XV, Casanova di Carinola, convento S. Francesco

Se, però, il clima culturale di Giovanni da Gaeta e delle altre personalità che a tale contesto possono ricondursi, è quello di una pratica, appunto, tardogotica, caratterizzata da accenti espressionistici di sicura allineabilità con le manifestazioni creative di area umbro-marchigiana (si pensi, a titolo di riferimento particolare, al clima che si respira in un centro come Offida) e di non minore allineabilità anche con le prove di viva pregnanza di ordine valenzano, di ben diverso tenore si presenta la pratica creativa di quella intrigante koiné lazio-regnicola che si impernia intorno a figure come Francesco Pagano, Francesco Cicino da Caiazzo, Tuccio d’Andria, Cristoforo Scacco, Tuccio di Gioffredo, Pietro Befulco, Cristoforo Faffeo, Pietro Ruzzolone,  Riccardo Quartararo, Francesco da Montereale ed altri.

F. Cicino da Caiazzo, Madonna con Bambino e Santi, Napoli, Museo di Capodimonte

Potrà essere utile inserire in questo contesto anche la personalità di Lorenzo da Viterbo e, vivamente convincente, anche quella di Antonio Aquili, meglio conosciuto come Antoniazzo Romano, scorgendo in quest’ultimo il punto di raccordo tra le istanze  regnicole e gli apporti centro e nord-italiani sintetizzati in una prospettiva  tipicamente romana e curiale, che si proponeva come alveo di raccolta di esperienze sostanzialmente omologhe, variamente provenienti da tutta la penisola, come poteva avvenire, ad esempio, con gli apporti di Pier Matteo d’Amelia o come Melozzo da Forlì, Fiorenzo di Lorenzo, Francesco da Tolentino ecc.

Antoniazzo Romano, Trittico, 1474 ca., Fondi, chiesa San Pietro

Ci si può chiedere perché questa pittura noi insistiamo a giudicarla tanto significativa e, aggiungiamo, colpevolmente ritenuta di minore interesse, sia rispetto alle formulazioni masaccesche, pierfrancescane ecc. sia rispetto alla stagione seguente leonardesca, raffaellesca e michelangiolesca.

La risposta all’interrogativo che abbiamo posto è nella formulazione stessa della domanda: questa pittura sconta di collocarsi tra due stagioni di primissimo rilievo, rimanendone schiacciata e soffocata.

Ed è ingiusto che ciò sia, dal momento che questa pittura mediana offre molto spesso spunti di grande intensità propositiva e si propone come una sorta di ‘basso continuo’ che progressivamente affina la declinazione di pregevolissime soluzioni creative capaci di presentarsi anche come riferimento di esemplarismo internazionale, come avviene quando, ad esempio, tre pittori di tale temperie, Francesco Pagano, Riccardo Quartararo e Paolo di San Leocadio, vengono chiamati dal cardinale Borgia  a dipingere a Valencia.

Francesco Pagano e Paolo di San Leocadio, Angeli, Valenza Cattedrale

La pittura di tutti questi artisti, che danno vita a questa particolare stagione, è, insomma, una pittura di nobile e controllato assetto compositivo, aliena da eccitazioni espressionistiche come da refluenze decorativistiche e sensibili al linearismo descrittivo ed analitico delle vibratilità tardogotiche.

La loro è una pittura che si misura con i volumi delle cose ed interpreta la consistenza spaziale con matura coscienza delle distribuzioni dei pesi.

Con tali artisti finisce la stagione medievale senza, però che questo avvenga in modo improvviso e traumatico lasciando spazio, pertanto ad una apertura di dialogo con quelle stesse sensibilità tardogotiche, alla Giovanni da Gaeta, per intenderci, con le quali si stabilisce una sorta di coesistenza fruttuosa, coesistenza di cui qualche frutto maturo può essere apprezzato, ad esempio, proprio in qualche dettaglio della  Andata al Calvario di Carinola, che appena un po’ prima abbiamo presentato, e che può essere considerata, se non un puntuale riferimento esemplaristico, certamente un ineludibile préalable cronologico della omologa Andata al Calvario di Santa Maria la Nova a Napoli.

Ignoto, Andata al Calvario, sec. XVI inizi, Napoli, S.Maria la Nova

Gioverà indicare che tale affresco si trova in un convento anch’esso francescano, come quello di Casanova  di Carinola, osservando, peraltro, che entrambi i conventi sono appartenenti alla ‘Osservanza’. L’opera viene variamente attribuita ai Fratelli Pietro ed Ippolito del Donzello (anch’essi autori appartenenti alla temperie che qui descriviamo) o allo stesso Andrea Sabatini da Salerno, col riferimento al  quale, evidentemente, si viene a chiudere il cerchio della liaison prerinascimentale-rinascimentale, che costituisce il punto di interesse storico, ma anche di ‘sfortuna’ critica, che accompagna questa, invece, bellissima stagione del secondo Quattrocento, che cerca una sua autonomia ed una sua ben marcata identità.

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