E se fosse sopravvissuto a quel giorno maledetto?

Dunque, non finì sulla sedia a rotelle; non ci fu una rivincita e nessun produttore cinematografico che andò a seguire la dimostrazione che si trasformò in una sfida, per poi accorgersi di lui. Niente di tutto questo o quantomeno un produttore era sempre presente, ma non proprio nella modalità che si vede nel film. Wlliam Dozier, produttore della serie ‘Green Hornet’ visionò alcuni filmati di Bruce Lee relativi proprio a quella dimostrazione datata 2 agosto del 1964. Appurando le incredibili doti atletiche del fuoriclasse cinese lo contattò per un’audizione. Una volta convinto, Bruce Lee divenne, per il pubblico americano, Kato, il collaboratore dell’eroe protagonista del telefilm.

Le cose andarono così e non come in ‘Dragon’. Soprattutto il padre di Bruce Lee non morì mai nel 1972, un anno prima dalla morte del figlio. Morì molti anni prima, esattamente nel 1965. La scena vista nel biopic, in cui con la moglie inizia a seguire mestamente la prima puntata della serie ‘Kung Fu’ da egli stesso ideato e dove riceve la telefonata in cui viene edotto della morte del genitore è totalmente romanzata.

Partendo dal presupposto che la serie interpretata, poi, da David Carradine fu proprio farina del suo sacco e che poi avrebbe dovuto essere lui il protagonista è completamente vera, non fu quello, comunque, il motivo per cui tornò a Hong Kong recitando i suoi tre film leggendari.

‘Dalla Cina con furore’, ‘Il furore della Cina colpisce ancora’ e ‘L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente’. Tre opere cinematografiche su un eroe cinese che si batteva contro i prepotenti difendendo i deboli. Tre film, girati tra il 1971 ed il 1972, e che sarebbero diventati, subito dopo alla sua misteriosa scomparsa, dei cult indimenticabili attirando, per la prima volta, l’attenzione del mondo del cinema che conta su una tipologia di spettacolo cinematografico ancora tutto da scoprire. L’anno successivo, purtroppo l’ultimo della sua vita, arrivò ‘I 3 dell’operazione Drago’. Ma è bene per un momento tornare indietro.

Torniamo a quando Bruce Lee è stato istruito nelle arti marziali da Ip Man. Per la precisione Bruce mosse i primi passi con il Wing Chun che è un derivato dal Kung Fu. Una disciplina che con il tempo, come abbiamo già detto in precedenza, sarà approfondita mediante altri stili di combattimento anche con quelle che, apparentemente, avevano poca attinenza con il suo stile appreso nel corso degli anni: il pugilato. Soprattutto ci fu una passione che aiutò lo stesso Lee nel migliorarsi sempre di più nella disciplina delle arti marziali, il ballo.

Sembra uno scherzo ma è così. Il ballo gli garantiva oltremodo quell’agilità che mostrava durante i suoi combattimenti. Semmai avete presente tutti e quattro i film che riuscì a realizzare prima della sua morte, potrete notare la vasta gamma di modalità di colpi con la quale superava qualsiasi tipologia di avversario. Il suo modo di lottare, ideato personalmente, mutuando da varie discipline lo chiamò Jeet kune do ed era in sostanza una filosofia applicata sulla sua particolare tipologia di arti marziali. Una disciplina ideata dopo aver vinto quella sfida per evitare di far chiudere la propria scuola attraverso il quale insegnava il suo modo di combattere.

Per quanto concerne il suo ritorno a Hong Kong non fu dunque dovuto, come abbiamo appurato, a causa della morte del morte del padre. Il motivo fu del tutto professionale. Dopo ‘Il calabrone verde’, Bruce Lee riuscì ad avere qualche piccolo ruolo nel cinema americano, ma la sfortuna di avere preso parte ad un telefilm che chiuse dopo una stagione si fece sentire, almeno fino a quel momento.

Su consiglio di qualche amico se ne ritornò ad Hong Kong dove iniziò a lavorare per il cinema asiatico. I tre film che vi abbiamo citato in precedenza sono stati indicati nell’ordine sbagliato: Il furore della Cina colpisce ancora, Dalla Cina con furore e L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente. L’inversione del primo e del secondo titolo, dal punto di vista cronologico, è dovuta essenzialmente dalla traduzione dei titoli stessi. Dei tre quello che rimane memorabile è quello in chi si sfida al Colosseo con Chuck Norris, ovviamente il riferimento è ‘L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente’.

Eppure, dal punto di vista della sceneggiatura e dello sviluppo stesso della trama ad essere superiori sono i primi due, considerando anche ‘I 3 dell’operazione Drago’ uscito poi postumo, rispetto a quello in cui c’è la scena ritenuta, ormai, una vera e propria pietra miliare del cinema delle arti marziali.

La sensazione è che con la sua morte sia stato solamente posticipato quel periodo cinematografico in cui tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo caratterizzato, con una serie di titoli prodotti in poco tempo, di film sulle arti marziali. Ciò che vogliamo dire è che se non fosse mai morto in quel 20 luglio di cinquanta lunghi anni fa, lo stesso Bruce Lee avrebbe anticipato e anche di molti anni quel periodo; mutando, quasi sicuramente, lo scenario del cinema anni ’70, ’80 e ’90.

Lui aveva anticipato i tempi di Jean Claude Van Damme, Don ‘The Dragon’ Wilson, Jeff Speakman, Sammo Hung, dello stesso Chuck Norris e Jackie Chan. Quest’ultimo considerato un po’ il suo vero ed unico erede. È anche naturale, dunque, chiedersi cosa effettivamente avrebbe potuto regalare al mondo del cinema, delle stesse arti marziali e anche ai suoi fans.

Come detto non ci siamo avventurati nel groviglio di teorie sulla sua scomparsa. Sarebbe stato anche troppo complicato analizzarle tutte e in poco spazio. Soffermarsi su questo o quel sospetto non ci avrebbe fatto parlare di lui, della sua memoria e di ciò che è stato in vita. Forse neanche ci siamo riusciti del tutto a ricordare precisamente alcuni momenti fondamentali della sua breve ma intensa esistenza. Su di lui, quasi sicuramente, non basterebbero altri dieci speciali; forse neanche un solo libro.

Ciò che rimane sono le sue gesta, la volontà ferrea di andare contro le secolari tradizioni delle arti marziali, di esser stato semplicemente rivoluzionario e chissà di quanto ne fosse consapevole. E di esser almeno noi consapevoli che uno così dopo di lui non apparirà più.

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