Cosa successe veramente in quel 4 aprile del 1968?

In quel preciso istante si stava rilassando quando venne chiamato da qualcuno per qualcosa in particolare e fu lì, alle 6 pomeridiane dello Stato del Tennessee, che venne colpito da un proiettile, calibro 30 e 06, proveniente da un fucile di precisione alla testa.

Prima di essere ucciso, secondo il biografo Taylor Branch, le ultime parole che King esternò furono rivolte al musicista Ben Branch relative ad un evento che si doveva tenere stesso quella sera: Ben, non dimenticare stasera di cantare ‘Take my hand, Precious Lord’, e soprattutto di cantarlo bene. A seguire lo sparo.

Nel cadere a terra, King, batté violentemente il capo. Ci fu la corsa disperata in ospedale, al St. Joseph, dove, dopo il tentativo di salvargli la vita, venne dichiarato morto ufficialmente alle 7.05 pomeridiane. Una volta che la notizia della sua morte si sparse per le strade d’America, la reazione degli afroamericani fu veemente e comprensibilmente violenta. La loro guida non c’era più.

È naturale che appare più facile a dirlo che a imporsi in certi momenti di pura drammaticità, dove la morte, specialmente di un uomo che aveva portato la speranza, rappresenti un durissimo colpo da digerire. Molte vetrine dei negozi, edifici e macchine furono dati alle fiamme. La comunità afroamericana, in quella maledetta sera del 4 aprile del 1968, era stanca di vedere gente che si batteva per essa cadere come birilli.

Ne furono uccisi molti nel corso degli anni, tra cui Medgar Evers, un attivista dei diritti civili, e il Presidente degli Stati Uniti John Kennedy. Entrambi proprio nel 1963. Proprio in merito all’attentato di Dallas, lo stesso King, senza mezzi termini si lasciò andare ad una profetica confessione: Lo stesso accadrà a me. Continuo a dirtelo: questa è una società malata. Tali parole furono espresse alla persona che condivideva tutte le sue gioie e tutte le sue parole, la moglie Coretta Scott King.

Riguardo al suo assassinio ancora oggi, a distanza di ben 55 anni, non si è mai riuscito a fare chiarezza non tanto sul come avvenne, ma su chi c’era dietro. Semmai ci fosse stata, in tutto e per tutto, una mera cospirazione per toglierlo di mezzo nel momento migliore per fermare la guerra in Viet-Nam e, viceversa, il momento peggior del conflitto che stava durando da anni in quella zona del mondo.

Se fosse effettivamente così, molto probabilmente, verrebbe meno l’elemento o comunque il movente razziale. King aveva dato parecchio fastidio ai razzisti del profondo sud degli Stati Uniti, spalleggiato prima indirettamente e poi direttamente dai fratelli Kennedy, prima, e poi dall’ambiguo Presidente Johnson. La sua morte, quasi sicuramente, s’intreccia l’attentato a Dallas, del 22 novembre del 1963, e con quella che si materializzò solamente due mesi più tardi durante la calda campagna elettorali per le primarie del 1968.

A venire ucciso, la notte tra il 5 ed il 6 giugno di quello stesso anno, il Senatore, ex Ministro della Giustizia sotto la presidenza di John Kennedy e fratello dello stesso, Robert Francis Kennedy. Tra lui e Martin Luther King, a quanto pare, c’era un’unione d’intenti su come migliorare la situazione in America. Prima di tutto la battaglia contro il razzismo e, secondo, ritirare le truppe dal Viet-Nam, conflitto iniziato erroneamente proprio dai Kennedy. ma forse non era solo questo.

Robert Kennedy in quel periodo, impegnato proprio durante la campagna elettorale, per riprendere dove si era fermato ai tempi del Ministero della Giustizia e rispetto a suo fratello, il quale affidò la poltrona di vicepresidente a Lyndon Johnson, Bob la volle affidare, direttamente, a Martin Luther King. Solo questo bastava come semplice movente per ucciderlo? Vero è che comunque, quarant’anni più tardi un nero varcò la soglia della Casa Bianca come Presidente. Fu Barack Obama, nel 2008. Giusto quaranta anni più tardi.

Si dice anche, in base a tutte le teorie che in tutti questi lunghi 55 anni sono circolate, che dietro alla morte del Reverendo Martin Luther King ci sia, addirittura, anche il capo dell’ufficio federale investigativo d’America, l’Fbi in maniera più semplice. Ovvero John Edgar Hoover.

Certo è che quando si pensò di organizzare quella marcia, contro il conflitto in Asia, lungo Pennsylvania Avenue, la strada che porta direttamente alla Casa Bianca, voci incontrollate avrebbero affermato che lo stesso capo dell’Fbi non la prese proprio tanto bene. Coincidenze o semplici congetture? Per non dire, anche in questo caso, di vere e proprie illazioni?

L’assassino di Martin Luther King verrà riconosciuto nella figura, come già detto, di James Earl Ray e dopo trenta anni esatti in cui poteva parlare si portò molti segreti nella tomba. Un copione, questo, visto anche con John Kennedy. in cui c’era un assassino solitario e mille dubbi intorno a lui. Anche se Lee Harvey Oswald venne ucciso due giorni dopo all’attentato di Dallas.

Stesso schema che sarà ripetuto anche con l’attentato a Los Angeles con Robert Kennedy, il quale la sera in cui Martin Luther King morì riuscii a placare la gente nera evitando ulteriori guai per loro con la polizia. Anche nel suo caso ci sarà un assassino solitario che è stato mosso per qualche motivazione che sapeva solo lui. Coincidenze? O dietro a queste tre morti eccellenti, per dirla alla Giovanni Falcone, c’era la stessa mano? Per il momento oltre non si può andare con le varie ipotesi di complotto.

In questo 2023 ci sono altri due anniversari particolari: i 55 anni della morte di Bob Kennedy e i sessanta anni dell’assassinio di John Kennedy. Eventi storici che saranno ricordati analizzati nel momento opportuno richiamando, per forza di cose, anche questa uccisione.

In conclusione, molto probabilmente, non abbiamo raccontato proprio tutto su Martin Luther King. Non abbiamo ricordato, in maniera più dettagliata, alcuni passaggi della sua vita. Ci siamo soffermati, solo ed esclusivamente, su eventi fondamentali ponendo l’accento, nella prima parte, su come effettivamente ci si batte contro i pregiudizi, senza alimentarli; lasciando anche le espressioni discutibili perché per contrastare l’intolleranza non ci si può rapportare con la stessa stregua di chi è razzista o comunque che ha solo un pregiudizio.

Altrimenti, i pregiudizi medesimi vinceranno sempre e non si potrà più dire nulla. Senza bisogno, anche, di abbattere statue o riscrivere libri e bollare come opere, appartenenti ad una determinata epoca, come razzisti. Perché anche questo, nella sua essenza, è puro razzismo.

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