Senza Sylvester Stallone il film si sviluppa ugualmente tra passato e futuro

Nessuno può fuggire dal proprio passato, nessuno può evitarlo. Quando arriva non si è mai abbastanza pronti da sapere la verità che emerge o dagli effetti che provengono da essa o da cosa si porta dietro. Bisogna affrontarlo a qualunque costo, tenendo alti i guantoni e combattendo fino alla fine, cercando in tutti i modi di spuntarla. È questa, in sostanza, la morale che emerge dal terzo capitolo della saga spin-off di Rocky Balboa, Creed, dopo l’entusiasmante, iconico ed evocativo capitolo dell’erede di Apollo nei confronti del quarto e leggendario capitolo del pugile di Philadelphia.

Un film che strizza l’occhio a due pellicole della serie cinematografica ideata dallo stesso Silvester Stallone non presente in quest’ultimo film. Quasi sulla falsariga di Rocky III e diretto dallo stesso attore protagonista, Micheal B. Jordan, Creed III era stato presentato, molto tempo prima che uscisse come un film che andava verso una direzione diversa rispetto alla saga originale.

Ciò succede solamente in parte e la sceneggiatura realizzata a quattro mani da Keegan Coogler e Zach Baylin ne è una conferma. Questa convinzione venne espressa da Sylvester Stallone dopo essersi scontrato con il produttore del film, Irwin Winkler, e produttore anche della storica saga di Rocky. Dissapori squisitamente economici che hanno allontanato l’attore popolare dal set di questo terzo capitolo.

Qualche mese più tardi, per non dire un anno dopo e in prossimità dell’uscita di Creed III, Micheal B, Jordan ha espresso la sua intenzione di volere, per il quarto capitolo non ancora annunciato in via del tutto ufficiale, nuovamente Rocky a fianco di Adonis Creed come mentore o comunque come guida.

Eppure, sperando che Sly non se la prenda, la presenza di Rocky avrebbe stonato un pò questo episodio. Era una storia troppo personale di Adonis, una storia in cui si è scavato molto affondo nelle radici dell’erede di Apollo Creed, in cui tutto il passato turbolento è emerso come un uragano che ha travolto tutte le sue certezze conquistate, minando tutto ciò che ha costruito.

In Rocky III, in effetti, c’era la stessa tematica. Solo che la differenza tra i due pugili è che nel terzo capitolo del 1982 il protagonista principale si ritrova davanti un avversario che non ha mai fatto parte del suo passato ma è pronto ha toglierli tutte le sue certezze. Durante il primo incontro contro Clubber Lang, interpretato da Mr T., Rocky vede morire anche il suo manager storico che lo aveva protetto in tutto e per tutto, che aveva il volto di Burgess Meredith.

Una volta sconfitto non crede più in sé stesso e rischiando di ritirarsi dal pugilato professionistico nel modo più disonorevole possibile. Ad aiutarlo ci pensa proprio il suo ex avversario di un tempo, Apollo Creed. Nel terzo capitolo di questo spin-off accade più o meno la stessa cosa.

Adonis ha vinto il suo ultimo incontro della sua carriera e si ritira mantenendosi come manager delle nuove leve che sognano di essere come lui. Ha una bella famiglia ed una figlia, proprio come Rocky, e tutto sembra andare a gonfie vele fino a quando, appunto, il passato ritorna. Si fa vivo nella sua vita Damian ‘Dame’ Anderson, interpretato da Jonathan Majors.

‘Dame’ ha trascorso quasi venti anni in carcere ed è desideroso di riprendersi tutto quello che gli è stato tolto dal destino. Inizialmente Adonis non ci pensa due volte ad offrire il suo aiuto, ma quando capisce che l’unica cosa che vuole il suo amico sarà costretto a sfidarlo sul ring. Inoltre, in questo terzo capitolo c’è un’ulteriore analogia con la terza puntata di Rocky: anche Adonis perde qualcuno, ma non possiamo rivelarvi chi.

Dicevamo, dunque, della non presenza di Rocky Balboa. Molto probabilmente è stata la scelta giusta. In questo contesto il personaggio di Stallone avrebbe stonato, specialmente per la natura giovanile di Adonis: un’adolescenza molto vicina alle gang e non ‘il classico bullo di periferia che cerca di rimanere in piedi fino all’ultimo round contro il campione del mondo in carica’.

Interpretato anche da Tessa Thompson, Wood Harris e Phylicia Rashad, ‘Creed 3’ si mantiene in equilibrio: tra la tradizione mai intaccata e mai dimenticata, semmai sempre omaggiata, e il nuovo. Rappresentato dalla generazione successiva che tenta non tanto di superare ciò che è stato, ma di raccogliere e conservare l’eredità di ciò che è stato cercando, a sua volta, di essere eredità per le altre generazioni che verranno in futuro.

Essendo alla prima esperienza da regista, Micheal B. Jordan se l’è cavata egregiamente. Il film non presenta pause, non presenta momenti che tendono ad allungare il brodo. La sceneggiatura molto solida lo ha aiutato molto in questa sua nuova avventura. Un terzo capitolo che appare anche impreziosito da alcuni brani hip pop i quali, rispetto ai due precedenti capitoli, sembrano essere ancor più congeniali nell’accompagnare le classiche scene di allenamento.

La saga di Creed vuole essere un punto di riferimento per le nuove generazioni, alla stessa stregua di come quella di Rocky è stata per la precedente. Una missione non facile, una missione, almeno fino adesso, portata avanti non solo per incassare qualcosa al botteghino. No, c’è molto di studiato e poco d’improvvisato. Ogni scena, ogni novità o qualche omaggio è frutto di un piano pensato nei minimi dettagli.

L’assenza di Stallone, in quel film, era comunque un azzardo, certo. Ma anche questo era un modo per affrontare, appunto, il proprio passato e iniziare a viaggiare da soli. La sensazione è che con questi tre capitoli si sia chiuso un cerchio; ora con il quarto episodio, ripetiamo non ancora annunciato, con il semplice titolo di ‘Creed IV’ e indipendentemente da Sly/Rocky, se ne aprirà un altro e sicuramente, per Adonis Creed, con qualche certezza in più.

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