American Scene può essere considerato un grande contenitore, il luogo comune in cui convergono molti aspetti dell’Arte americana tra le due guerre mondiali, ma è, soprattutto, lo specchio di un’America che guarda all’interno di se stessa

L’America, nel 1913, nel contesto della mostra dell’ Armory Show, aveva tentato di lasciarsi alle spalle il secolo dell’ ‘800, abbandonando non soltanto le modalità creative di una pittura di stampo romantico, ma abbandonando, soprattutto, una mentalità figurativa, che era quella di considerare la modalità  paesaggistica come opportunità di specchiamento dell’identità americana, che, priva di una sua storia lontanante nel tempo, non poteva trovare altra forma di radicamento che non fosse quella del riconoscersi negli spazi immensi del suo territorio vergine e sterminato. In tal senso, ad esempio, la cosiddetta ‘Hudson River School’, nel corso dell’ ‘800, aveva dettato delle pagine di straordinaria pittura.

Ma, poi, erano intervenuti altri fatti: innanzitutto l’urbanizzazione e l’industrializzazione; e l’America si era ritrovata a scoprirsi meno ‘romanticamente’ proiettata verso il ‘nuovo’ della sua dimensione ‘pionieristica’, e votata, invece, a dover fare i conti con una condizione di disagi urbani e di contraddizioni sociali che traevano origine dal modello sociale che s’accompagnava alla logica dei nuovi rapporti sociali indotti dalla inedita vocazione industriale e dalla rapidità dei processi trasformativi.

L’arte recepisce con immediatezza le novità in corso e tenta di fornire delle risposte di tempestiva capacità restitutiva, proponendo, come già detto, appunto, il suggerimento di quell’iniziativa assolutamente rivoluzionaria che fu la mostra dell’ Armory Show.

G. Wood, American Gotic, 1930

Dei processi innovativi non si rese testimone soltanto la ricerca artistica originale che aveva saputo far sentire la sua voce all’Armory Show, ma anche il seguito di quella produzione creativa, che, senza rinunciare ad una vocazione ‘figurativa’, aveva saputo provvedere – già sullo scadere del XIX secolo – a fornire una lettura dei nuovi processi sociali in svolgimento. Diciamo, in questo caso, in particolare, dell’Ashcan School e della sua capacità di rendersi manifestazione di un disagio sociale e di una condizione di vita che non rispondeva più al modello espansivo di una America che andava alla ricerca di un suo sempre più luminoso orizzonte, ma di un’America che comprendeva, piuttosto, di dover fare anche i conti con una vera e propria ‘questione sociale’.

T.H. Benton, Carbone, 1931

La Ashcan rimane, comunque, un fenomeno sostanzialmente legato alla condizione urbana che si colloca, artisticamente, ai limiti della coscienza espressionistica, lasciando spazio, quindi, ad una manifestazione di altre istanze ispirative e fattualmente produttive che prenderanno a farsi avvertire, soprattutto dopo la fine della prima guerra mondiale, trovando il proprio acme negli anni della grande depressione che segue gli eventi del tracollo economico del ‘29.

In tale temperie, che è quella, appunto degli anni tra prima e  seconda guerra mondiale, si manifesta una presenza artistica – generalmente definita della ‘American Scene’ – che ha alcune caratteristiche salienti, che potremmo siffattamente enumerare: è antiavanguardistica, profondamente antifrancese, sinceramente nazionalista, significativamente legata alla pregnanza realistica.

J.S. Curry,  La nostra grande terra, 1942

Questa pittura, soprattutto nella declinazione specifica che ne rende un artista come Benton, può anche essere letta (come pure è stato suggerito) avendo conto della proposta che viene dalla esperienza muralista – e, comunque, di netta vocazione ‘sociale’ – della pratica creativa di artisti come Orozco, Rivera o Siqueiros; ma sarà sempre utile aver presente che la mutuazione culturale tra lo spirito nordamericano e quello latino-americano non può essere suscettibile di accorpamenti e di prospettive omologanti, rimanendo sempre marcate e, a nostro giudizio, profondamente dirimenti le ragioni di un impegno – parimenti ‘sociale’, ma anche intensamente divergente – come quello che distingue e separa intendimenti culturali che poggiano su premesse significativamente proprie.

T. Benton, Scena dell’America agricola, 1939

La pratica creativa, dunque, che viene anche definita. talvolta di ‘Realismo Sociale’ ed anche – forse, più opportunamente – di ‘Regionalismo Americano’, ha caratteristiche originali e distinte; ed essa individua, infatti, nell’abbrivio figurativo di una pittura di impianto realistico e di risentimenti espressivi non certo trascurabili, che si accompagnano al rifiuto netto di lenocini accademici ed estetizzanti, l’opportunità di fornire un quadro identitario della ‘nazione americana’, un quadro identitario (staremmo per dire yankee) che non è più quello della grande estensione territoriale americana – come aveva additato la Hudson River School – ma quella delle peculiarità umane ed esistenziali (fatte di abitudini e di costumi, talvolta anche molto specifici e territoriali) degli abitanti degli Stati interni, quelli che compongono il ‘ventre molle’, se così vogliam dire, degli USA, quella parte della sua popolazione conservatrice, agraria, ancora convinta dello spirito pionieristico, legata ad una prospettiva di autosufficienza ed apparentemente ispirata da una vocazione sostanzialmente isolazionistica.

Questa America scopre autori come Grant Wood, Thomas Hart Benton, John Stewart Curry, che forniscono una rappresentazione sui generis dell’America della provincia interna, suggerendo una pittura cui noi vorremmo tentare di fornire la definizione di ‘conservatorismo sociale’.

Può considerarsi tutto ciò esaustivo del panorama artistico dell’America di questi due decenni degli anni ‘20 e ‘30? Certamente no, giacché occorrerà avere conto anche di altre istanze produttive, che si dispongono alle ali di questo fenomeno della American Scene: istanze che potremo identificare nella proposta pittorica, per un verso, di artisti come Sheeler o Hopper che propongono l’icona di un’America colta nella solitudine interrogante del silenzio, e, per altro verso, di artisti come Ben Shahn, che fornisce una testimonianza di catturante definizione espressionistica.

L’American Scene è, insomma, un grande contenitore; e tutte le cose di cui abbiamo discusso – e che appartengono nella loro evoluzione produttiva alla temperie degli anni ‘20 e ’30 – vi possono riconoscere qualcosa di sé, avendo conto, peraltro, che il contesto della American Scene fu quello in cui la politica intese poter lasciar specchiare il proprio bisogno di accarezzamento delle ragioni proprie ed esistenziali non tanto delle élites delle coste, quanto, piuttosto, del corpo centrale del paese, incoraggiando un grande progetto culturale di interpretazione di ragioni sociali con una provvidenza di risorse (il FAP), che giunsero salvifiche nella stagione critica degli anni che seguirono la grande crisi del ‘29.

Non sarà senza ragioni, peraltro, aver conto che un artista come Pollock, al seguito di Benton, potrà giovarsi degli aiuti governativi per avviare il proprio ciclo formativo e di ricerca artistica.

(Tutte le immagini che documentano questo saggio sono prelevate da fonti internet di pubblica utilizzazione)

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