Erano pittori che provenivano da un’esperienza artistica di illustratori-cronisti e praticavano un indirizzo creativo di attenzione ai temi sociali osservati con spirito, però, più descrittivo che partecipativo

Nell’arco del primo decennio del ‘900, ma traendo direttamente spunto dal lascito creativo del secolo precedente dell’’800, si afferma, tra Philadelphia e New York una generazione di artisti che sarà conosciuta con l’appellativo di ‘Ashcan School’ (pattumiera) e che farà oggetto della propria vocazione la descrizione di scene urbane e di quella parte della società metropolitana che è quella più diseredata ed emarginata, quella, in particolare, che non riesce a vivere con pienezza di risultato di successo il processo trasformativo che è in atto nel paese.

Due dipinti di Robert Henri del 1902

Questi pittori provengono da una esperienza di lavoro giornalistico e sono Robert Henri, John Sloan, William James Glakens, George Luks, Everett Shinn, George Bellows, Jerome Myers.

G. Bellows, Spiaggia a Coney Island, 1908

Certamente essi avevano un intendimento artistico che può definirsi antiaccademico, che li differenziava dalle prestazioni di ordine impressionistico o di più raffinata sensibilità propria di quella pittura – definiamola pure di élite – che trovava in personalità come Sargent (il Boldini o lo Scoppetta americano) i propri più qualificati esponenti.

Gli Ashcan guardano, piuttosto, ai ceti popolari ed alla vita ‘di strada’ delle metropoli americane, ma la loro arte non ha profilatura ideologica. Eppure, ciononostante, daranno fastidio, proprio perché essi portano in evidenza un lato opaco del processo economico americano di cui il paese comincia ad avere, forse, cattiva coscienza, intendendo oscurarne il più possibile la visibilità.

Gli Ashcan (ma questa definizione d’appellativo sarebbe venuta molto più tardi, solo nel 1934 ad opera di Holger Cahill ed Alfred Barr) sono degli artisti che intendono, seguendo l’indirizzo additato da Robert Henri, distaccarsi dal concetto di un’arte che fosse legata ad una visione idealizzata dell’America, per affermare, invece, la necessità di fornire una descrizione di tutti i suoi aspetti, con particolare riguardo per quelle consistenze umane che possiamo anche definire di emarginati e che, comunque, costituiscono una parte del tessuto sociale metropolitano delle grandi città d’oltreatlantico.

G. Bellows, La spinta in acqua, 1913

Ci si può chiedere se li animasse un intento morale o politico e dovremmo rispondere che in loro non c’è attestazione di ciò che, in Europa, si sarebbe definita una ‘coscienza di classe’.

C’è, piuttosto, un intento descrittivo, una capacità di osservazione da cronisti – e, non a caso, sono accomunati da esperienze giornalistiche – che li porta ad osservare la realtà con l’intento di catturarne il particolare che può essere più accattivante ed intrigante.

Hanno una peculiarità molto importante che consiste nel fornire una pittura di forte slancio espressivo, ai limiti, vorremmo dire, dell’Espressionismo, da cui, però, li separa la mancanza di approfondimento contenutistico.

J. Sloan, Attività femminile, 1912

Tutte queste specifiche qualità fanno degli ‘Ashcan’ un fenomeno sostanzialmente inedito, un fenomeno, possiamo anche dire così, spiccatamente americano, che avrà un suo seguito non come sviluppo organico delle loro posizioni, alle quali il mercato stesso volgerà le spalle – ritenendo la loro pittura troppo inquietante per l’apatico pubblico borghese – ma come premesse per gli orientamenti successivi che assumerà la ricerca artistica statunitense di stampo figurativo nella sua lunga articolazione, ad esempio, da Hopper, a Sheeler, a Segal fino agli Iperrealisti del secondo cinquantennio del ‘900.

F. Matania, Scena di guerra, 1917

Può essere interessante sottolineare, ad esempio, che proprio Hopper, che pure viene accostato alla temperie ‘ashcan’, di fatto ha sempre inteso differenziarsene: e la cosa non può stupire, se consideriamo che l’intendimento di Hopper era quello di una pittura della solitudine metropolitana, della alienazione del cittadino, mentre quello degli ‘Ashcan’ era la rappresentazione della condizione umana nella sua nuda datità, senza compiacimento e resa con spirito di attenti cronisti capaci di usare le masse cromatiche e la rapidità del gesto espressivo per destare, forse, una rapida (e, magari, fuggitiva) emozione, ben diversamente dal ripensamento dubbioso, come avrebbero fatto Hopper o Sheeler.

Questa esperienza creativa poteva nascere solo in America, giacché, se osserviamo quanto avviene in Europa, ciò che si propone qui alla nostra attenzione è un diverso intendimento della pittura illustrativa o, se vogliamo definirla così (ma facendole torto) ‘giornalistica’, che si presenta, ad esempio, nei termini di quella particolare e felicissima resa figurativa che ne sa rendere un artista come Fortunino Matania, che non si limita ad ‘illustrare’ un evento – anche di cronaca –  ma procede a scandagliarne le ragioni umane e di contesto ambientale.

Gli americani vanno giudicati, quindi, come americani, ricordando, magari, che alle radici della loro formazione – così avviene anche per Henri, il leader degli Ashcan – c’è la cultura figurativa europea e il ‘viaggio in Italia’, che costituisce il punto di partenza di molte importanti loro successive elaborazioni di pensiero creativo.

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