A differenza dello scrittore, Stallone optò di dare al personaggio una prospettiva diversa

Nella prima parte dello speciale dedicato al primo storico e leggendario ‘Rambo’ ci siamo soffermati sugli aspetti generali, in particolar modo sulla composizione del cast, e sfiorando solamente sullo sviluppo della sceneggiatura. Precisando, oltre modo, che lo stesso Stallone ha avuto notevole peso nella stesura del copione. Partiamo, però, da un presupposto fondamentale: il titolo del romanzo di David Morrell non fa alcun riferimento sia al nome che al cognome del personaggio. Semmai è indicato con un’espressione abbastanza eloquente e, allo stesso tempo, anche cruda: ‘Primo sangue’.

In lingua originale, quindi in americano, il titolo nella versione non doppiata viene mantenuto facendo diventare il libro omonimo, ‘First Blood’. Quando il film giunse, invece, nelle sale italiane, qualche mese più tardi gli venne attribuito il cognome dell’assoluto protagonista.

In questa seconda parte del nostro speciale la nostra attenzione sarà esclusivamente rivolta alle differenze, quasi sostanziali, tra romanzo e la trasposizione cinematografica. La prima, fondamentale, è quella della violenza. Non intesa in quanto spettacolo per intrattenimento, ma quella alla quale fa ricorso lo stesso personaggio ideato da Morrell attraverso cui viene veicolato un messaggio ben preciso e senza possibilità di appello.

Nel suo libro, Rambo uccide più di una persona, più di un tutore della legge e non solo; mentre nel film del 1982 ne uccide solamente uno e persino accidentalmente. Il malcapitato in questione è il vicesceriffo Galt. Anche lui crudele ed insensibile nei confronti di colui che sembrerebbe, anche seppur in apparenza, un indifeso vagabondo di passaggio.

Galt ha il merito di morire in due modi diversi: nel romanzo viene ucciso, da Rambo appunto, durante la fuga dalla stazione di polizia; mentre nel film lo stesso personaggio muore nella famosa scena in cui l’elicottero precipita sotto ad una montagna rocciosa, alla quale il berretto verde era aggrappato qualche minuto prima.

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Una violenza, quella insita nel romanzo, che, secondo quanto poi è emerso nel corso del tempo, avrebbe fatto desistere diversi attori nel ricoprire tale ruolo. Soprattutto anche per il finale che lo stesso Morrell aveva descritto.

In ‘First Blood’, Rambo muore per mano proprio del colonnello Trautman il quale, a seguire, vedrà morire lo sceriffo Teasle colpito dallo stesso reduce del Vietnam qualche attimo prima. Un finale, dunque, in cui non sussiste alcuna traccia di speranza. Solo sofferenza, una guerra continua e morte. All’inizio degli anni ’80 il morale degli americani stava risalendo la china proprio dopo quella batosta del maledetto conflitto in Viet-Nam, ma soprattutto anche grazie alle politiche economiche del Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan.

Hollywood trattava l’argomento quasi in maniera ‘crudele’: nel senso di non far mai dimenticare l’errore commesso durante i due decenni precedenti. Stallone entra di sicuro in quel tipo di ordine di idee ma con una variante molto significativa; dal punto di vista cinematografico s’intende. Sly ha avuto il merito, quindi il coraggio, di snaturare il personaggio, inserendoci un po’ dell’umanità di Rocky Balboa e restringendo i motivi per cui Rambo agisce contro gli sceriffi: per difendersi.

Anche su questo particolare sussiste un’ennesima sostanziale differenza sulle ragioni per cui a Teasle non gli vanno a genio i reduci del Viet-Nam. Lui, in passato, ha servito il proprio paese durante la guerra in Corea e, proprio a causa della spedizione a Saigon, gli americani in generale si erano totalmente dimenticati del conflitto precedente. Nella trasposizione diretta da Ted Kotcheff i motivi per cui il personaggio interpretato da Brian Dennehy agisce non sono neanche sfiorati. Solo in un’occasione, in una sola inquadratura di una scena, s’intravedono le medaglie che lo stesso si è guadagnato sul campo di battaglia.

Tutto si basa, dunque, su un certo tipo di realtà ancora esistente negli Stati Uniti d’America: l’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine. Scontato e alquanto limitante? Molto probabilmente sì. A distanza di quaranta lunghi anni, però, si può dire che questo escamotage narrativo ha funzionato alla grande. Convincendo sia la critica che il pubblico dell’epoca.

E’ comunque vera una cosa: tale concetto all’interno del film appare molto approssimativo, snaturando, quasi, tutto ciò che lo scrittore canadese voleva in realtà dire al lettore. Ciò, però, non ha per nulla nociuto all’economia della trama in sé. Al contrario, la storia ha assunto maggior valore proprio grazie a quell’alone di mistero in cui alcuni personaggi sono stati avvolti.

Una trama, in ambito cinematografico, che inizialmente doveva essere fedele alla storia scritta su libro e che, addirittura, doveva durare di più dell’ora e mezza che tutti quanti noi, nel corso di questi quattro lunghi decenni, abbiamo ormai imparato a memoria. Una durata in cui è condensato tutto quello che poi arriverà sul grande schermo, riscrivendo quasi i canoni dell’action e creando, negli anni a seguire, i cosiddetti ‘figliocci’ del berretto verde, come per esempio: il personaggio interpretato da Mel Gibson nella saga di ‘Arma Letale’ e tanti altri.

Ma la critica, seppur in maniera positiva, come lodò il film? I giudizi, in quel periodo, si sprecarono. Qualcuno lo definì persino come ‘un thriller emozionante’. Altri, invece, usarono espressioni come ‘un’opera cinematografica coinvolgente’. Tutti questi giudizi permisero a ‘Rambo’ di venir considerato come il miglior film del 1982, battuto comunque al box office da pellicole come ‘E.T. – L’extraterrestre’, ‘Toostie’, ‘Porky’s – questi pazzi porcelloni’ e, leggete con attenzione, da un altro film di Stallone, uscito qualche mese prima: Rocky III.

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