Una mostra a Padova discute del Futurismo in termini critico-storiografici molto interessanti e non ne nasconde le radici simbolistiche

In realtà, vogliamo utilizzare l’occasione di questa mostra padovana dedicata al Futurismo a Palazzo Zabarella per mettere in evidenza un dato critico sul quale già da tempo andiamo appuntando la nostra attenzione volta a definire questo importantissimo movimento dei primi del ‘900 come una tappa fondamentale dell’arte contemporanea, ma non come una manifestazione di ‘avanguardia’.

Ci convince sostenere, piuttosto, che il Futurismo sia stato una delle ultime enunciazioni della temperie simbolistica, un momento finale di una grande stagione che, nella letteratura, come nella musica e nelle arti figurative, aveva saputo indicare che la creatività era finalmente chiamata a compiere il grande salto verso il rinnovamento generale, quello che inevitabilmente si poneva in agenda in rapporto ai processi di innovazione scientifica e tecnologica non meno che sociale.

U. Boccioni, Officine a Porta Romana.1910

Il dato su cui occorre riflettere, per intendere in modo pieno la portata della temperie futurista, non è, a nostro giudizio, quello di esaltarne il rilievo di pregnanza avanguardistica, ma di valutarne tutto il portato di coscienza storica che esso, di fatto, ha saputo interpretare, andando a dichiarare finito – con l’età del Simbolismo di cui segnava la conclusione storica – il tempo di un’arte che pretendeva di poter ancora leggere il mondo secondo una prospettiva idealistico/positivistica, di fatto giunta al capolinea.

Il Futurismo agisce ancora entro tale prospettiva ormai obsoleta di indirizzo della storia e tenta di fornirne una possibilità di rivitalizzazione, additando la proiezione verso il futuro come quella che avrebbe potuto, di fatto, attualizzarne il portato.

C. Carrà, Cavallo e cavaliere, 1915

E, invece, la storia si dirigeva, evidentemente, da tutt’altra parte additando che l’orizzonte effettivo dei fatti era quello di una dimensione epistemologica, all’interno della quale occorreva poter trovare una collocazione convincente del soggetto umano, al di fuori delle prospettive ‘spiritualistiche’ dell’Idealismo hegeliano e al di fuori anche della dimensione meccanicistica dell’impianto ‘naturalistico’ e ‘sociologico’ della temperie positivistica.

Non sono le manifestazioni d’eccesso ciò che valgono a garantire l’innovazione reale, al di là della mera effervescenza della ‘trovata’ originale: in questo, occorre dire con chiarezza, il Futurismo mostra una certa debolezza della proposta, soprattutto non comprendendo, ad esempio – al contrario di quanto si proporrà non semplicemente in tralice nel pensiero di ‘Dada’ – che l’orizzonte effettivamente innovativo è quello di ordine ‘concettuale’.

Non osserverà, in particolare, il Futurismo, che, al suo interno, sarebbe bastato guardare alle esperienze effettivamente innovative di Cangiullo, mentre Marinetti, a nostro sommesso giudizio, rimane invece, sulla superficie della spettacolarizzazione, tutto sommato, fine a se stessa.

Certo, il Futurismo intenderà che sia necessario assumere una capacità di guardare più lontano per anticipare il nuovo modo di approcciare la vita e la storia, senza rendersi conto, però, che, mentre immaginava di guardare al futuro, di fatto, si limitava ad osservare semplicemente, il proprio presente, confondendone i tratti con ciò che immaginava dovesse essere il futuro.

Una osservazione molto semplice ci convince di tutto ciò: il Futurismo mette al centro dei suoi interessi la velocità, ma la velocità che prende in considerazione è quella della locomotiva, della mitraglia o dell’aeroplano: ben poca cosa, insomma, a cospetto della velocità della luce di cui si occupava, invece, Einstein.

G. Severini, La ballerina, 1914

U. Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio, 1913

Cosa succedeva, allora? Molto semplice: il Futurismo confondeva la ricerca scientifica con la tecnologia e non si rendeva conto che la sua azione di intervento si collocava esattamente nella stessa posizione in cui si muovevano (o si erano appena mosse) le varie istanze della multiforme galassia simbolista facendo tutto sommato da cassa di risonanza non al mondo della ricerca, ma a quella del mercato e dei prodotti tecnologici che l’industria prendeva a sfornare in grande quantità.

Benvenuta, allora, questa mostra padovana che si interroga sulle matrici del Futurismo e ‘scopre’ che c’è un’istanza di ampia matrice simbolista alla sua radice: ne indaga le pieghe e ne rivela alcuni aspetti degni del massimo interesse. Ed allora si presentano con nuova e tonificante prospettiva critica alcuni assunti che meritano una più opportuna meditazione valutativa.

Due nostri volumi sul tema del Futurismo, in cui ragioniamo sulla opportunità valutativa della sua considerazione critica come movimento non d’avanguardia, ma di sviluppo della temperie simbolistica

Da tempo avevamo provveduto in tal senso; e verificare che – almeno in qualche modo – questa nostra premonizione critica comincia a trovare maggior ‘mercato’ non può che convincerci della validità di un assunto che avevamo additato già da tempo, consegnando le nostre riflessioni in varie pubblicazioni già a partire da un nostro volume del 2009, e poi riprese in un’opera di alcuni anni più tardi.

(Alcune delle immagini che corredano questo nostro testo, e che non hanno finalità esornativa, ma semplicemente esemplificativa delle varie modalità d’approccio ad una valutazione delle ascendenze ‘simbolistiche’ della temperie futurista, sono state prelevate dalla Rete; se ne ringraziano gli Autori, avendole noi qui utilizzate con spirito di servizio culturale e con intendimento di divulgazione di prospettive di approccio critico-storiografico).

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