Uscito quarantacinque anni fa, ‘Terra mia’, fu il primo album d’esordio del cantautore partenopeo

Le prime volte non si dimenticano mai. Si, è vero: il proverbio è solitamente e tradizionalmente inteso al singolare e non al plurale. Un’espressione di vita che racchiude in sé tutte le esperienze, sia positive che negative, di un percorso esistenziale. Anche quello professionale deve essere considerato alla medesima stregua. Si pensi in ambito musicale, con le lancette dell’orologio che ci riportano indietro nel tempo di ben quarantacinque anni.

No, questa volta i classici e leggendari studi discografici americani non c’entrano nulla. Ciò che c’è in primo piano è la voglia di emergere in realtà difficili e farlo con la musica, miscelando, con rara follia, due stili, che al tempo stesso sono anche delle storiche tradizioni musicali, completamente l’antitesi l’uno dell’altro.

Due modi d’intendere la musica, due generi di musica. Chi sia il più antico non sarebbe giusto definirlo, almeno in questa sede. Stiamo parlando del genere partenopeo, meglio conosciuto come canzone napoletana, e il blues. Si, proprio così. Per di più questa miscela, per molti impossibile, per qualcuno no è diventato realtà, in via ufficiale s’intende, dal 1977.

Un mix che permise, quasi, di creare uno stile di musica proprio e che permise a Pino Daniele, nel corso della sua irripetibile carriera, di giocare con qualsiasi genere musicale attraverso qualsiasi tipo di sperimentazione. Dunque, il 1977, oltre per la Febbre del sabato sera e la colonna sonora iconica de Bee Gees, deve essere ricordato anche per quella prima volta, in via ufficiale, per quell’esordio discografico di Pino Daniele, con il suo album leggendario ‘Terra mia’.

Registrato e presentato in anteprima in una radio privata di Roma nell’autunno del 1976, il long play del cantautore partenopeo uscì ufficialmente nel 1977. Composto da tredici canzoni, alcune di riempimento, altre famose e altre ancora leggendarie, nonostante il duplice sound la ‘terra’ di Pino Daniele non viene dimenticata, anzi semmai valorizzata.

Denunce sociali e dediche particolari, senza dimenticare quel secondo odio/amore per gli Stati Uniti d’America. come detto le tracce dell’intero album sono dieci e questi erano i titoli: dalla monumentale e leggendaria ‘Napul’è’, come canzone d’apertura, per poi scorrere con la spensierata ‘Nà tazzullel è cafè’, diventata a sua volta iconica. E ancora: ‘Ce sta chi ce penza’, ‘Suonno d’ajere’; ‘Maronna mia’; ‘Saglie, saglie’; la traccia omonima dell’album ‘Terra mia’; ‘Che calore’; ‘Chi po dicere’; ‘Fortunato’; ‘Cammina, cammina’; ‘O padrone; ‘Libertà’.

Ogni canzone scritta dal cantautore napoletano ha di sicuro la sua storia, la sua origine particolare. Intrinseche di motivazioni, personali e no, che hanno spinto Pino Daniele ha scriverle, prima, e ad inciderle, poi, che sarebbe interessante cercare di scoprire. Eppure, cercare di raccontare tutte le origini di ogni traccia, significherebbe, oltremodo, realizzare non tanto un articolo più o meno lungo, semmai un vero e proprio saggio solo sulla natura dei testi.

Invece, dobbiamo ridimensionarci e non per cattiveria ma per ragioni legate a non rendere troppo lungo, ma sicuramente non tedioso, la storia sulla genesi o semplicemente anche piccoli dettagli su alcuni singoli. Per esempio, mentre canzoni come ‘O’ padrone’ si riferisce ad un caso drammatico di cronaca di quegli anni: una fabbrica di fuochi d’artificio che esplose uccidendo tutti gli operai presenti in quel momento.

In ‘Na tazzullela ‘e cafè’ riprende, in via indiretta, in tema di ‘Napul’è’ seppur in maniera più scanzonato ed ironico. In ‘Cammina, cammina’ c’è la descrizione della passeggiata di un anonimo vecchietto che, nella sua testa, aspetta la morte perché è semplicemente rimasto solo.

Con ‘Saglie, saglie’ ci riportano dentro i vicoli caratteristici della città di Napoli, attraverso le sonorità e il testo semplice seppur ripetitivo ma che nasconde, molto probabilmente, più di un significato; una metafora. Per non parlare, poi, del vero capolavoro compreso in questo album leggendario: Napul’è. Scritta quando Pino Daniele aveva solamente diciotto anni. Un testo sofferente, con parole semplici e dalle quali emerge tutto l’amore e l’amarezza per una città bellissima, ‘che a’ sap tutt o’munn’, e che viene lasciata a sé stessa.

Stesso significato ma con toni ancora più amari è proprio la canzone che presta il titolo al disco: Terra Mia. Quasi un testo di rassegnazione, in cui comunque la speranza non è mai persa nel vedere la propria terra, bella da guardare, in cui tutto ancora può succedere.

L’intero 33 giri venne suonato in anteprima nel 1976 ad una delle tante radio libere che negli ’70 iniziavano a proliferare: Radio Euro Sound di Roma, aperta tra il 1975 ed il 1980.

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