Un sound vellutato che si apre quasi a volume basso, accompagnato da una voce che sussurra alcune parole, quasi come se fosse un pensiero che non si vuol fare sentire e capire a chi ascolta, per poi esplodere in un urlo liberatorio e che, senza neanche farlo di proposito, conferma le nostre impressioni su quello che era, di fatto il nuovo corso per Micheal Jackson. Si apriva così il primo singolo che non solo inaugurava la sua quinta raccolta d’inediti ma, al tempo stesso, anticipava anche l’uscita della stessa.

Era il 28 luglio del 1979, qualche settimana prima, in cui ‘Don’t stop ‘til you get enough’ iniziò ad impazzare per tutte le radio d’America e del mondo. Tradotto in italiano anche questo titolo, sembra che ci sia un secondo messaggio che si collega pacificamente al titolo del disco: non fermarti finché non né hai abbastanza. E Micheal in quell’esecuzione, in quel video, accennava ad alcuni passi di danza senza mai fermarsi; erano ancora lontani i tempi del Moonwalk.

Il singolo cavalcava di molto il successo della discomusic anni ’70, la quale stava quasi tramontando e che si potrebbe considerare, quasi, grazie a Micheal Jackson l’ultimo vero acuto di una stagione irripetibile e che non tornerà più. Considerando questa partizione di articolo come una sorta di lato A, un tempo erano così divisi sia i long play che le musiche cassetta, il secondo brano era un lento o quasi.

‘Rock with you’ si differenziava dalla prima canzone per essere essenzialmente un giusto mix di soul disco e pop. Mentre in Don’t stop til yuo get enough il tutto era rappresentato dalla ‘disco’, rhytm and blues, soul e pop. In Rock Wit you, Micheal Jasckson propone una parte più romantica in cui, in apertura di disco, era mancata. Ma se tra il primo ed il secondo brano c’è spensieratezza, delicatezza e romanticismo nel terzo Micheal Jackson riprende il sound da disco music. Questa volta ancor più potente, ancor più duro rispetto a ‘Don’t stop ‘til you get enough’.

Però in ‘Working day e night’, scritta e composta dallo stesso Jackson, si potrebbe anche intuire la presenza dello stile ‘groove’. Una scarica di adrenalina che verrà ripresa anche in altre canzoni dell’album.

Infatti, la stessa carica, la medesima potenza e voglia di scatenarsi tipica della ‘disco’ musica la riscontriamo anche nella quarta traccia: Get on the floor. Una miscela esplosiva di pop, disco, groove e soul.

Per chiudere il cosiddetto lato A si arriva al brano che presta il titolo all’intera raccolta d’inediti: Off The Wall. Scritto da Rod Temperton come per ‘Rock with you’, nonostante una delle parole più gettonate nel testo della canzone sia ‘groove’, il sound è quello più tradizionale del Rhytm and blues miscelato, ovviamente, alla ‘disco’.

La canzone si apre con un sound misterioso, suggellato da una risata altrettanto quasi malefica o sarebbe meglio dire furbetta, per poi sprigionarsi, specialmente nel ritornello in cui si menziona il titolo, ad un ritmo quasi lento ma coinvolgente ed armonioso.

Il Lato B si apre con un duetto, il quale uscì come singolo nelle radio nei primi giorni del 1980. Un duetto che avrebbe rappresentato, nel corso degli anni, un’interessante e fruttuosa collaborazione tra due mostri sacri della musica: Micheal Jackson, appunto, e Paul McCartney. Anche in quell’occasione erano lontani i tempi di ‘Say, say, say’. Ma ‘Girlfriend’ rappresenta comunque un buon inizio per i due i quali, nonostante non lasceranno una grande traccia con questo brano, si rifaranno qualche anno più tardi come detto.

Fino adesso abbiamo analizzato ed ascoltato canzoni in cui non sono uscite proprio tutte le qualità canore di Micheal Jackson. In una in particolare dimostra tutta la sua sensibilità con un testo ed una base musicale che lo toccheranno fin dal profondo. Con ‘She’s out my life’ in ‘Off The Wall’ sussiste la parte più struggente, drammatica dell’intero album. Anche l’interpretazione dello stesso Jackson lascia stupefatti, considerando soprattutto la sua vita vissuta, nel senso di zero esperienze con l’altro sesso. Scritta da Tom Bahler, ‘She’s out my life’ inizialmente avrebbe dovuto essere destinata a Frank Sinatra, non proprio un novellino. E pensare che anche Quincy Jones era scettico sull’affidarla a Jackson. Si dovette ricredere.

Micheal Jackson non solo la incise in maniera impeccabile una prima volta, ma la sua performance dovette ripeterla più volte a causa delle lacrime che gli scendevano ogni volta che si avvicinava la fine del brano. Alla fine, s’intuì che quelle lacrime spontanee e di cuore del cantante dovevano essere tenute nella registrazione.

Dopo questa interpretazione, ‘Off The Wall’ riprende con un altro duetto; un’altra collaborazione che si ripeterà molti anni più tardi nell’album ‘Bad’. Dopo Paul McCartney ad accompagnare in questo secondo battesimo del fuoco al futuro Re del Pop ci pensa Stevie Wonder con il sound delicato e tipico dei lenti che si ballavano in discoteca, quasi, con la canzone ‘I Can’t help it’.

A chiudere il primo disco da adulto di Micheal Jackson ci pensano altre due canzoni. La prima spensierata nella musicalità e nell’intonazione della voce: ‘It’s falling in love’. Scritta da Carole Bayer Sager e David Foster, la canzone affonda le radici nel funk e nel soul, i quali si mescolano alla perfezione con la ‘Disco’.

La seconda venne composta da Rod Temperton, il quale affida a Micheal Jackson un ultimo sound scatenato da ballare nelle discoteche di tutto il mondo: Burn this disco out.

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