Nella ricerca artistica del ‘900 bisogna prestare molta attenzione alla deriva simbolistica, di cui Kandiskij stesso va considerato esponente, poiché essa produce un pericoloso allentamento della tenuta contenutistica

All’insegna di una definizione molto perentoria, ‘lo spirituale nell’ arte’, Kandinskij dettava e pubblicava, nel 1912, un profilo di pensiero che, affidato alle pagine di un fortunato volumetto di ordine saggistico, avrebbe fatto scuola nel secolo del ‘900 e, aggiungiamo, purtroppo, ancor oggi.

L’ idea di fondo, che presiede nemmeno tanto nascostamente la ‘visione’ di Kandinskij è che la consistenza oggettuale costituisce un dato accidentale e non irrinunciabile e sostanziale nel darsi storico dell’opera d’arte.

Scorgere in tale prospettiva di indirizzo i limiti propri di una concezione di netta impostazione simbolistica e di pericolosa deriva lirica non è difficile.

Il Simbolismo, negli anni di fine ‘800 e di primo  ‘900 ha un peso culturale decisamente rilevante e trova rispondenza nel processo di trasformazione industriale che il cosiddetto ‘modernismo’ va accreditando come nuova prospettiva non solo economica, ma anche di stile di vita.

Il simbolismo gioca, ad esempio, un ruolo di grande rilievo nella pubblicità, ove l’affiche diventa il vero e ragionevole sostituto della pala d’altare, invitando le masse popolari cittadine ad educarsi alla subentrante religione delle merci.

Si può capire, quindi, che si debba provvedere acché  tutto questo processo possa rispecchiarsi in ciò che vorremmo definire una  teologia laica di sicuro riferimento capace di elaborare una opportuna liturgia entro cui comporre i dettagli cultuali della ‘religione del mercato’, che la borghesia tardottocentesca – la vera protagonista del secolo nato dalle macerie della Rivoluzione francese, complici i due Napoleone (e più il terzo che non il primo, sul piano fattuale) – ha imposto come profilatura di ‘Weltanschaung’ e come referenza ideologica ed identitaria.

 R. Pinto, una lettura critica di Kandinskij in prospettiva lirica e Ritratto di Kandinskij

‘Lo spirituale nell’arte’ è, quindi, tutto questo: il manifesto, la sintesi del pensiero della nuova classe dominante, la pressione coercitiva sulla società e non meno sulle idee che non trovano ordine e composizione nella misura della razionalità e che sono chiamate, piuttosto, ad immaginarsi, nella visione spiritualistico-teosofica di Kandinskij, come espressione di una libertà eslege alla cui stregua sviluppare il doppio progetto – politicamente incombente – che da una parte propone e favorisce un liberalismo-liberista che protegge e tutela i cosiddetti ‘valori’ della libertà (di chi se la può consentire), mentre, dall’altra parte, comprime le masse lavoratrici e sfruttate in un angolo della storia, ove rimangono confinate non per differenza di nascita (la maledizione divina dell’età medievale e feudale protrattasi fino all’ancien régime) ma per pretesa incapacità individuale di accedere a ciò che sarà poi ipocritamente definito come ‘ascensore sociale’.

V. Kandinskij, Composizione, 1911

Occorre interrogarsi: si può fingere che con queste cose Kandinskij non c’entra niente, che il suo ‘Spirituale nell’arte’ non parla di questo e che, quel giorno, lui, di lí, passava per caso?

O è vero, invece, che la linea produttiva che inaugura Kandinskij avvia un processo di pensiero al cui interno giocheranno un ruolo determinante le posizioni ‘teosofiche’ che godranno di larghissimo seguito – soprattutto nei cosiddetti ‘ambienti che contano’ – giungendo fino ai nostri giorni col cambiamento ed aggiornamento delle posizioni d’indirizzo, fino alla temperie ‘new age’? che non sembra avere – come il Simbolismo, d’altronde – granché di progressista?

Giova osservare, sul piano storiografico, che, a parte le più antiche ascendenze vantate  addirittura di ordine neoplatonico, le posizioni teosofiche si affermano con la costituzione nel 1875 a New York della ‘Società teosofica’ governata da Elèna Petrovna Blavatskij.

Ciò che Kandinskij ha promosso e favorito è stata, di fatto, la mortificazione contenutistica in premio di una produzione creativa di larga deriva formalistica ed estetizzante, capace di fornire una prospettiva illusiva ed allusiva, che ha trovato  spazio e séguito in una larga parte dell’arte di tutto il ‘900, ed, ora, nei nostri giorni, soprattutto in quella di matrice postmoderna.

J. Evola, Senza Titolo, 1919

In nome del richiamo alla’ leggerezza’, che la cultura postmoderna esalta con molto clamore (si pensi al successo di Milan Kundera) occorre osservare che la profondità contenutistica viene tacciata di faticoso intellettualismo, di complessità teoretica, di incomprensibilità di linguaggio, a fronte dei richiami ad una apparente semplicità di accesso che sarebbe garantita da un abbassamento generale della ‘soglia’, che è espediente culturalmente demagogico, che vale a giustificare e promuovere altre e più pericolose forme di esclusione e non certo a lasciar avanzare un processo di più ampia inclusione sociale, che diventa valida solo se acquista consapevolezza e profondità di dottrina, come cultura ‘liberatrice’.

Forse, comincia a venire il momento in cui non può essere più giustificabile per l’intellettuale dire che ‘tutto va bene’; e noi stessi cerchiamo – nel nostro piccolo, evidentemente – di additare la pericolosità intrinseca di tutte le ‘culture’ di deriva, di tutti i richiami di celebrazione simbolistica, denunciando le linee tutt’altro che neutrali dei progetti e degli indirizzi di pensiero che sono in agguato  alle spalle.

U. Boccioni, Figura, 1912

M. Duchamp, Fontana, 1917

Kandinskij è, a nostro giudizio, quindi, un artista ‘pericoloso’, non meno di quanto non lo sia, ad esempio, la personalità di Julius Evola (oggi in rivalutazione anche come artista oltre che come filosofo ed ideologo). Analogamente diremo, evidentemente, di Marinetti, dalla cui figura e dai cui intendimenti di ‘Weltanschauung’ vanno distinte e distanziate molte personalità di futuristi, che assumono una profilatura tutt’altro che assimilabile alla deriva ‘simbolistica’, che anche in Marinetti occorre riconoscere e denunciare. Tra le personalità che vorremmo ‘salvare’ di ambito  futurista ricordiamo almeno Boccioni, Balla, Marasco, Cangiullo, Delle Site, Prampolini e qualche altro.

Ciò che non ci convince invece nelle personalità,  come Kandinskij, Evola, Marinetti (ma anche altri), cui riconosciamo, comunque, una intrigante vibratilità di pensiero, e, in taluni casi, anche degli spunti di producente e condivisibile prospettiva, consiste nel loro proporre una rinuncia segnica che nega la consistenza ‘materiale’ dell’oggetto d’arte (e più ampiamente della cultura).

Essi contribuiscono a lasciare affermare il punto di vista che l’arte consisterebbe nella sua idea dematerializzata, la quale  – come idea e basta e, quindi, come mero guizzo di pensiero producente – invece, da van Doesburg a Kosuth, presiede il farsi dell’arte non in modo volatile ed effimero, ma inverandosi nella materia con un processo che avviene, nel primo dei due, in termini ‘concretisti’, e nel secondo in termini ‘concettuali’ – come espressione di una sensibilità creativa che trova opportunità di disvelamento solo nella pregnanza della referenza e della consistenza oggettuale, ove la consistenza ‘oggettuale’ si può affermare talvolta anche attraverso la sola stessa  manifestazione obiettivamente dichiarativa: ‘art as idea as idea’.

Senza dimenticare, in tutto ciò, ovviamente Duchamp, senza il cui imprescindibile intervento l’arte non avrebbe potuto guadagnare la pregnanza ‘concettuale’ che, a vario titolo e, spesso, anche con vario intendimento, presiede praticamente tutto il secolo del ‘900 e la nostra stessa più immediata contemporaneità.

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