Sono multiformi e poliedriche le istanze creative che si propongono a Napoli nella seconda metà del ‘500 e definiscono la ricchezza di un ambiente di grande vitalità culturale

La seconda metà del secolo del ‘500 vede in tutta Italia, ed anche in tutta Europa, svilupparsi le conseguenze dell’evento traumatico che aveva caratterizzato, nel 1527, la violazione dell’integrità romana con il saccheggio cui era stata sottoposta la città eterna ad opera delle soldataglie di Carlo V.

Gli artisti abbandonano Roma e portano in giro per l’Europa il messaggio culturale che a Roma era stato possibile elaborare nei primissimi anni d’esordio del secolo. Occorre intendersi, però, giacché non sarà solo la calma olimpica raffaellesca ciò che costituirà il fulcro del messaggio che si diffonde in Europa, ma anche l’ansia michelangiolesca, quella che viene crescendo man mano che il secolo avanza nei suoi anni e che caratterizzerà la coscienza della crisi soggettiva e l’affermazione dell’istanza del dubbio.

M. Pino, San Michele, 1597 ; F. Curia, Madonna col Bambino e S. Leonardo, 1595

A Napoli si affermeranno alcune linee di indirizzo artistico che, se fanno indiscutibilmente riferimento ad una comune base di riferimento cosiddetto ‘manieristico’, sono anche portatrici di significative ‘differenze’ tra loro che, spesso,  si producono in visibili e significative divaricazioni, che vanno a configurare modalità di intervento creativo molto specifiche e distinte.

Può essere interessante tentare di suggerire una mappatura del contesto, ricavandone la conclusione critica di una immagine di straordinaria ricchezza propositiva, fortemente polisemica e non certamente riduttivamente eclettica, che caratterizzò questa stagione dell’arte napoletana che va pienamente considerata in tutta la straordinaria ricchezza di proposte e di suggerimenti creativi che rispondono ad esigenze variegate e complesse.

G.B. Lama, Pietà; G. Imparato, Circoncisione

Osserveremo, quindi, che possiamo distinguere i seguenti profili d’indirizzo: una prospettiva di netto richiamo michelangiolesco, che trova in Marco Pino un interprete di raffinata prestanza, mentre gli esiti raffaelleschi possono essere ravvisati nella cultura figurativa postsabatiniana che troverà in Campania uno sviluppo di non trascurabile interesse che si proietta producentemente nella seconda metà del secolo andando ad ispirare – almeno così vorremmo ritenere – gli avvitamenti addolciti delle sensibilità di autori come l’Imparato, non meno che più abbruciate sensibilità espressionistiche che si profilano nelle imprese di Polidoro da Caravaggio.

G. Imparato, Annunciazione, 1597; Polidoro da Caravaggio, Andata al Calvario, 1533

Opportunamente – vorremmo suggerire – a questo punto, si inserisce la personalità di Francesco Curia, mentre con robustezza di prestanza si annuncia l’intervento dei fiamminghi, che sciamano nel Mezzogiorno con grande pienezza di presenza – uno per tutti, Teodoro d’Errico – accompagnando lo sviluppo di una cultura devozionistica che osserviamo profusa, ad esempio, nella ricchezza propositiva del modulo della Madonna del Rosario.

B. Corenzio, Decorazioni SS. Annunziata

La foga narrativa saprà trovare le sue ragioni nella pittura del Corenzio, mentre la stessa presenza di Vasari – che pure immagina di poter essere ‘il’ faro della pittura locale – deve cedere, sia pure con personale disappunto, di fronte alla ricchezza di proposte che il territorio è in grado di esprimere.

Sensibilità che vorremmo definire ‘pre-naturalistiche’ sono, infine, quelle che si annunciano nei modi della pittura di Fabrizio Santafede, mentre una sensibilità figurativa di netto spessore espressionistico s’impone nei modi del Roviale Spagnolo, quasi a fronte di una pittura più rispettosa dei toni e delle cadenze più intime e domestiche che sono quelle che ispirano le sensibilità di autori come lo stesso Giovan Bernardo Lama.

La ricchezza plurale di queste cose non consente, evidentemente, di fornire una prospettiva univoca e segnatamente unitaria delle dinamiche del secolo, un secolo che appare molto più complesso da comprendere di quanto una cultura accomodata e corsiva non possa indurre a ritenere classificando di generica rilevanza ‘manieristica’ la sensibilità culturale del ‘500 napoletano.

G. Balducci, Perdono di Gesualdo, 1609; F. Santafede, San Pietro resuscita Tabita

Certamente, in tutti questi artisti agisce profonda e dirimente la coscienza della crisi, la consapevolezza della condizione di precarietà e di ansia che distingue i tempi e che profila un assetto politico che non ha più le caratteristiche di un tempo, quando il reggimento politico era nelle mani di dinastie che, dagli Svevi agli Aragonesi, hanno operato nella prospettiva di un interesse che vorremmo già tentare di definire ‘nazionale’.

La misura della crisi può essere esemplata in un’opera che acquista una sorta di valore emblematico (non simbolistico), la pala del cosiddetto Perdono di Gesualdo, eseguita da Giovanni Balducci, un dipinto complesso che articola nelle sue parti – e quasi in misura complessiva e sintetica – le sensibilità più significative che avevano caratterizzato la stagione manieristica.

L’opera non solo racchiude, insomma, le istanze proprie di una vicenda culturale molto complessa, ma ne segna anche l’inevitabile epilogo datandosi già ai principi del nuovo secolo subentrante, come momento conclusivo e di chiamata a raccolta delle problematiche che avevano caratterizzato un’età che volge alla sua conclusione.

(Le immagini che corredano questo contributo di studio sono di provenienza dalla rete da fonti di pubblico prelievo)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *