Nell’anno in cui l’Italia non prenderà parte, per la seconda volta consecutiva, ai Mondiali di calcio, una squadra europea infrange un tabù che durava da ben dodici anni. Da quando l’Inter di Mourinho conquistò l’ultimo trofeo di una squadra italiana nelle coppe europee, ovvero l’ultima Champions League, la squadra che è riuscita nell’impresa, anche se le malelingue sussurreranno: in fondo ha vinto una coppetta, è la Roma allenata, guardate come è strano il destino, sempre da Mourinho.

Da Mourinho a Mourinho, si potrebbe dire e senza neanche troppi giri di parole. Perché non servono. non ci sarebbe neppure il bisogno di cercare di indagare del motivo di questa strana coincidenza. In fondo, per assaporare il gusto delle vittorie basta solamente viverle e godersele.

L’aria a Trigoria, comunque, era già cambiata, quando nella tarda primavera di un anno fa venne annunciato, dalla dirigenza giallorossa, il vero colpo di mercato della scorsa sessione estiva. Nonostante tutto Josè Mourinho, portoghese, non veniva da un periodo facile. Sembrava aver perso quel tocco di magico che tanto aveva caratterizzato la sua carriera. Un tocco perso dopo i fasti della serata magica della finale di Champions League del 2010.

“Undici mesi a Roma è straordinario, come avevo detto ai ragazzi in spogliatoio in campionato, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare. Abbiamo fatto il nostro lavoro qualificandoci in Europa League. Oggi non era lavoro, era storia e abbiamo riscritto la storia della Roma. La Conference League è una competizione che dall’inizio abbiamo avuto la sensazione che era possibile vincere, poi il gruppo è migliorato ed è diventato sempre più forte. Sempre più difficile ma una competizione su cui abbiamo sempre puntato e che ci è costato punti in campionato”.

Parole, queste, pronunciate direttamente dal diretto interessato. Dal protagonista assoluto di una cavalcata che ha visto anche cadere i giallorossi in maniera paurosa e dove, lo stesso Mourinho, non ci pensò due volte mettendo la faccia usando parole forti, esternando concetti duri per spronare i suoi uomini verso un traguardo che era alla portata.

Le sue lacrime, la sua commozione, rappresentano la fine di un calvario, sportivo s’intende, in cui pare essere tornato lo ‘Special One’ di qualche anno fa. Certo, questo lo confermerà il tempo. Ma la sensazione è positiva, specie dopo una vittoria. E comunque la Conference League non deve essere chiamata coppetta. Anche perché lo stesso Mourinho è il secondo allenatore ad aver vinto tutte e tre le competizioni europee: Champions League, Europa League, una volta conosciuta come Coppa Uefa, e appunto la Conference League, un tempo conosciuta come la vecchia Coppa delle Coppe. Il primo nel riuscire in questa impresa è stato il nostro mitico ed intramontabile Giovanni Trapattoni.

Per anni le squadre italiane hanno sempre snobbato gli altri tornei in favore della vecchia Coppa dei Campioni. Una corsa al miglior piazzamento per poi finire con brutte figure e rendersi conto, troppo tardi, che le squadre italiane non erano più come quelle di un tempo.

A questo punto c’è da chiedersi? La musica è veramente cambiata? Dopo questo exploit le altre squadre italiane cercheranno di mettersi sulla stessa falsariga? Certo, una buona dose di fortuna non guasta mai: ma quando arriva bisogna battere il ferro fin che caldo.

Si spera, dunque, che dopo la notte magica di Madrid del 2010 che pose fine al dominio italiano nelle coppe, con la notte di Tirana l’egemonia possa riprendere vigore e non sia solamente un caso isolato.

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