Città di Dallas, Texas. Sono le ore 12.30 antimeridiane e la Dealey Plaza è gremita ai lati della strada in attesa dell’arrivo del corteo presidenziale. Tutti sono impazienti di vedere il primo cittadino della nazione passare davanti a loro. L’emozione e la gioia è forte, per quella che dovrebbe essere una giornata particolare ma come le altre. Pochi minuti più tardi quell’anonimo passaggio del Presidente degli Stati Uniti viene macchiato da una serie di spari. Alcuni diranno tre, altri quattro. Il Presidente viene colpito a morte e quei tremendi attimi sono ripresi da un anonimo sarto che, proprio in quella giornata aveva da poco acquistato un primo tipo di macchina da presa.

A raccontarlo così, con queste parole, con questo stile mitizzato sembra uno dei tanti film che Hollywood ci ha abituato. Purtroppo, è tutto vero; purtroppo, tutto questo si verificò il 22 novembre del 1963. Data spartiacque della storia americana, data simbolo per tutti coloro che, in quel giorno, persero molto di più di un semplice capo di stato, persero la speranza di un’America migliore. Forse, anche la speranza di un mondo migliore.

Sono trascorsi cinquantotto lunghi anni. I quasi sessant’anni dell’attentato più famoso della storia non sono serviti a fare chiarezza, a gettare una volta per tutte luce quei tanti piccoli dettagli che non tornano, ancora, e che alimentano quello che ormai si potrebbe definire un vero e proprio mistero.

La sensazione, in fondo, è sempre quella: non si è ancora sicuri che a sparare, dal sesto piano della Library Texas School sia stato Lee Harvey Oswald; ucciso due giorni dopo e, paradossalmente, alla stessa ora del Presidente Kennedy morto due giorni prima. Se era solamente un solitario, perché il fantomatico indignato cittadino americano, Jack Ruby, lo freddò quando ormai era fra le mani della polizia e si attendeva solo il processo?

Come mai alcuni testimoni, esattamente settantacinque, morirono in circostanze misteriose senza mai esser state approfondite. E poi, domanda questa forse ancor più cruciale, come sia possibile che nessuno verificò le dichiarazioni dello stesso Jack Ruby, rilasciate pochi mesi prima di morire, in cui indicava che forse il responsabile si trovava alla Casa Bianca?

Qualche tempo più tardi morì sia Ruby e sia la giornalista che gli fece quella scomoda domanda troppo diretta. E ancora: la teoria ‘fantascientifica’, scusateci l’ironia, della pallottola magica che avrebbe trapassato il collo, determinando una deviazione della traiettoria attraverso la quale avrebbe ferito, al polso, destro il Governatore Connelly, quanto deve essere ritenuta attendibile?

Si potrebbe continuare all’infinito, andando a ritroso. Finendo nell’anno in cui John Kennedy vinse le elezioni del 1960 contro quel Richard Nixon che lo aveva sempre accusato di aver vinto le elezioni grazie ai voti della mafia. Senza dimenticare la crisi dei missili di cuba, preceduta l’anno prima dalla vergogna della Baia dei Porci; le battaglie portate avanti per i diritti civili; l’entrata poco convinta nel conflitto in Viet-Nam senza avere il tempo di rimediare all’errore.

Sono tanti i motivi, sono tanti i retroscena conosciuti e non conosciuti finendo, quasi sicuramente, per perdersi. Questo speciale, però, ha il merito di non perdersi sulle classiche leggende metropolitane che accompagnano, ormai, l’evento e ha lo scopo di analizzare due opere ispirate a quel tragico evento. Il primo è un film, l’altro è un romanzo.

L’opera cinematografica è diretta dal regista americano, Oliver Stone, dal titolo ‘JFK – Un caso ancora aperto’. Un film che racconta le indagini del Procuratore Distrettuale di New Orleans Jim Garrison interpretato da Kevin Costner; e ‘American Tabloid’ romanzo memorabile di James Ellroy e primo di una trilogia composto da ‘Sei Pezzi da mille’ e ‘Il sangue è randagio’.

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