Il rapporto tra Linearismo e Figurazione in un territorio di confine ove la disponibilità analitica della pratica astrattiva si incrocia con la pregnanza della costruzione realistica dell’immagine

Il suggerimento storiografico di cui cerchiamo di delineare la profilatura critica potrà apparire – e per molti aspetti, effettivamente lo è – eretico, dal momento che tenteremo di accreditare di leggibilità ‘astratta’ una modalità di intervento creativo artistico che si svolge interamente all’interno del rispetto tutto conservato per la consistenza ‘iconica’ dell’immagine, che non intende abrogare la sua primaria vocazione mimetica del reale fenomenico.

S. Fratantonio, Città

Epperò, qualche notazione occorre subito presentarla per giustificare la nostra posizione che abbiamo, non a caso, definito e riconosciuto ‘eretica’, andando ad osservare, ad esempio, non soltanto che esistono dei ‘precedenti’ illustri di artisti , come Paul Klee, accreditati di consistenza ‘astrattista’ – pur praticando essi i territori della raffigurazione – ma osservando anche che c’è, in aggiunta, tutto un ampio territorio di pratica figurativa, ove si afferma la pregnanza di una vocazione finemente linearistica, che riesce a farsi manifestazione di un intendimento propositivo che si rivela non soltanto di natura ‘raffigurativa’ ma forse, soprattutto ‘analitica’, alieno, peraltro, dalla presentazione della figura umana.

E. Di Guida, La Galleria di Milano

Ed è proprio in virtù di tale vocazione analitica che è possibile accreditare di tangenza latamente astrattiva certa pittura di fine sensibilità linearistica che si affaccia all’orizzonte di una valutazione storiografica che – in modo corsaro, ma non disavvertito – intenda andare a scavare più in fondo nelle pieghe della consistenza oggettuale del dettato di un’immagine, che possa essere giudicata non priva di significati ulteriori e più profondi, al di là di quelli emergenti dalla sua mera consistenza raffigurativa, che, prima facie, si presenta come distintiva della sua apparenza formale.

Tale pittura, soprattutto se accompagnata da un cromatismo tenue e sfumato, di decisa impronta tonale, potrebbe essere facilmente confusa, peraltro, con una delibazione di carattere ‘chiarista’, che, occorre dire, appare profondamente prossima alla temperie della quale andiamo qui discutendo e di cui provvediamo ad introdurre uno spunto di delibazione valutativa, che è certamente – l’abbiamo già detto – corsaro e certamente ‘eretico’.

Nel caso in ispecie, infatti, a fare la differenza tra la pittura ‘chiarista’ (di cui in un nostro recente studio del 2019 abbiamo additato la dilatabilità espansiva cronologica e territoriale) e quella di ‘linearismo astratto-figurativo’ è proprio l’incidenza profonda e dirimente che assume l’insistito rilievo ‘linearistico’.

D’altronde, tali considerazioni possono aver senso a giusta ragione già valutando l’opera stessa richiamata di Klee e potrà essere evocato tutto ciò – il linearismo, intendiamo dire, di onesta calibratura semantica – anche a proposito di alcuni artisti che andremo subito a prendere in considerazione, essendo, comunque, noi consapevoli che la rosa di tali personalità può essere – non senza motivi – ulteriormente ampliata oltre i nomi che qui suggeriamo.

G. Castellani, Strada in curva              M. Cattaneo, La città lontana

Partiamo, quindi, dal siciliano, nativo di Modica (1938), Salvatore Fratantonio, che procede a descrivere in termini di sottile incidenza grafemica la profilatura delle linee verticali che segnano lo sviluppo dei grattacieli del paesaggio urbano di una grande realtà metropolitana. Il suo impegno creativo vale a produrre un’immagine apparentemente sgranata, che trova il suo focus nella determinazione compunta di un linearismo, che si dispone come filo conduttore della narrazione figurativa.

Più anziano di Fratantonio, si propone il napoletano Enzo Di Guida (1914) che, emigrato a Milano, andrà ad offrire del capoluogo lombardo una lettura significativamente imperniata nella presentazione figurativa del monumento-simbolo della frenesia meneghina, la ‘Galleria’, di cui l’artista partenopeo suggerisce una prospettiva di dilatazione dell’invaso, procedendo a disegnarne il nudo profilo con acutezza linearistica finemente disposta in un reticolo di impalpabile levità, quasi a contrasto di un’altra celebre immagine della Galleria stessa, quella che, invece, si presenta tutt’altro che asciuttamente solitaria – come in Fratantonio – nel segno vibratile di una folla ondeggiante, che Boccioni provvede a descrivere con icastica suggestione dell’animazione e dell’assembramento addensato.

A. Cerchiari, Plenilunio eoliano

In un processo di ulteriore rastremazione linearistica  si presenta impegnato Giuseppe Castellani, nato a Cremona nel 1934, nella cui pittura sembra riassumersi l’esigenza, al tempo stesso, corposa e sintetica di Morandi con l’abbrivio di una vocazione chiarista sviluppata lungo una sorta di ‘basso-continuo’ linearistico che recupera – o, almeno, sembra volerlo fare – le sensibilità astrattive proprie di una concezione  lombarda dell’Astrattismo passata, però, al vaglio di quella rimodellazione critica di cui si sarebbe reso interprete un autore come Korompay, ad esempio, che, perfettamente in sintonia con la migliore tradizione veneziana (l’artista è nato nella città lagunare nel 1904), declina l’essenzialità linearistica astrattiva secondo una cadenza luministica di flautata impermanenza nebbiosa.

Potremmo quasi suggerire che Castellani vada a svolgere quello stesso ruolo di interprete di ragioni più ‘padane’ che ‘lombarde’ che svolse – ma in ambito propriamente ‘chiarista’ – Vellani Marchi quando riuscì a fornire una sintesi tra il Chiarismo milanese e le sensibilità lagunari della ‘Scuola di Burano’ ed, in primis, del Semeghini.

F. Speranza, Marina di S. Spirito

Qui trova ragione di osservazione l’opera del padovano (1906) Aldo Cerchiari, che dà corpo ad una pittura di grande essenzialità, che sviluppa la propria vocazione tonale in termini di asciutta delibazione monocromatica, disponendosi, in tal modo, ad una analisi del reale fenomenico di cui lo stesso Munari riconoscerà l’implicita proprietà distintamente astrattiva.

A. Negri, Paese

Sulla scorta di questa intensa capacità di addensamento contenutistico, che riesce a coagularsi nel combinato linearistico-tonale, possiamo passare ad incontrare un altro artista, su cui ci piace lasciar planare la nostra attenzione: il milanese (1940) Milo Cattaneo, che ci propone una pittura di più accorpata consistenza volumetrica, in cui la disposizione immaginativa fondata sul puro linearismo sembra quasi affogare in una atmosfera incupita di grigi che vale – occorre subito sottolineare – a conferire una notevole carica contenutistica all’opera del Nostro, rivelandone la determinata incidenza di velata malinconia o, se si preferisce, di caratura esistenziale, andando, in tal modo, a lambire quelle stesse rive del ‘Realismo essenziale’ che pur provvedono a fornire della datità fenomenica una rappresentazione che trasforma la consistenza della oggettualità del dato in una testimonianza di coscienza critica (e, non a caso, osserveremo come possa proporsi della temperie ‘realistico-essenziale’ anche una sorta di ‘variazione’, meglio conosciuta più propriamente come ‘Realismo di denuncia’).

Potremmo, evidentemente continuare, e ci convince, in particolare additare qualche altra personalità, come quella di Francesco Speranza (Bitonto, 1902), che ci sembra ispirato da una sorta di empito – ancora un’eresia – ‘figurativo-costruttivista’ e del quale è stata rilevata la asciutta caratura ‘quattrocentesca’ di una sensibilità di “antica purezza” (L. Borgese), che appare patrimonio condiviso con una artista come la piemontese Alda Negri, di cui Mario Monteverdi ha opportunamente messo in rilievo il richiamo ad un “raccoglimento taciturno”, ispirato da “silenzi pensosi”.

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