Una stagione della pittura meridionale in cui emerge una generazione di artisti che vive nel contesto della Costiera Amalfitana

Nella stagione che segna il trapasso dal secolo dell’’800 al ‘900 si afferma in Campania una ‘scuola’ di pittura che è conosciuta come quella dei ‘pittori di Maiori’ o anche dei ‘Costaioli’.

Entrambi gli appellativi fanno riferimento alla provenienza geografica e principalmente al radicamento di questi pittori che operano all’interno di un ambiente umano, prima che geografico, che è quello della Costiera Amalfitana.

Chi ben conosce questa plaga campana, ben sa come sia particolarmente tormentata, ma anche stupendamente sorprendente la geografia dei luoghi, ove la natura sembra aver voluto depositare il meglio di sé, disponendolo in una sinfonia di colori e di armonie che riesce ad incantare tutti i visitatori che accorrono numerosi ed entusiasti.

Un po’ come i ‘pittori di Posillipo’, nel primo ‘800, anche questi ‘di Maiori’, di fatto,  privilegiano il paesaggio, anche se la pittura di veduta non esaurisce l’orizzonte ispirativo di una pratica creativa che sa cogliere le proprietà di una pittura d’ambiente, ove la presenza della figura umana non ha semplicemente il significato di corredo e complemento dello spazio paesaggistico, divenendo essa stessa, piuttosto, la ragione, la chiave interpretativa di uno scorcio locale.

Ciò vale ad introdurre, in particolare, la personalità di Gaetano Capone, che può essere considerato la figura trainante di tutto il gruppo dei Costaioli, egli che ha saputo rendere con rara efficacia non soltanto le atmosfere luminose della Costa amalfitana, ma anche gli sguardi, i tratti corporei e vitali di soggetti umani che queste terre hanno abitato ed amato.

Al nome del Capone associeremo altre importanti personalità di artisti: Antonio  Ferrigno, ad esempio, o il Della Mura, senza dimenticare, tra le altre figure di spicco, Manfredi Nicoletti, Raffaele D’Amato, Luigi Paolillo, Luca Albino, Gaetano Cimini, Ulderico Forcellini, Pietro Scoppetta, Gaetano Conforti, Enrico Lucibello, Antonio Rocco.

Molti i nomi, come può ben osservarsi e profondamente variegato anche il contributo creativo che essi sono in grado di offrire, e che si distende ben dentro i decenni della prima metà del ‘900 e, poi, anche oltre. Si rivela quello dei Costaioli, inoltre, un contributo creativo, che si presenta tanto più articolato e complesso, se si tiene conto del fatto che questa compagine di artisti costituisce solo in modo improprio una vera e propria ‘scuola’, dal momento che la loro pittura non nasce sulla scorta di un preciso intendimento programmatico o di una precisa volontà di specchiamento pensato e teorizzato in un sentire condiviso nella determinazione contenutistica o nell’abbrivio formale.

Gaetano Capone

Ciò che li accomuna è proprio ciò che li definisce come ‘gruppo dei Costaioli’; un ‘gruppo’, insomma, più che un vero e proprio ‘movimento’ o, se si vuole, un ‘gruppo’ che diventa ‘movimento’ nel momento della sua valutazione critico-storiografica, piuttosto che al momento stesso della sua piena attività produttiva.

Non è difficile incontrare anche esperienze analoghe che non nascono da un abbrivio programmatico ben definito apriori: tale sarà quella, ad esempio, della ‘Scuola di Burano’ o dei Chiaristi, intorno al terzo decennio del ‘900; e questa dei Costaioli va osservata, quindi, come una impresa creativa che sa proporre un aggregato artistico nato sull’onda di un grande afflato psicologico e morale che è divenuto presto sintesi di sentire e di volontà creativa.

Dal punto di vista strettamente pittorico, la temperie costaiola, che dà il meglio di sé negli anni a cavallo tra fine ‘800 e primo ‘900, è una pratica creativa che parte da una impostazione en plein air, capace di cogliere la peculiarità di uno scorcio o l’ineffabile addensamento di significato che si racchiude in un piccolo frammento osservato e descritto nella minuzia calligrafica del dettaglio.

Questa pittura ha avuto una strana ‘fortuna critica’, passando dapprima quasi nascosta nelle pieghe di una concezione tradizionalista, che ha finito col falsare il significato più ampio e profondo di queste note figurative che, invece, hanno inaugurato una stagione di grande interesse formale, proponendosi non propriamente come una rimasticatura tardoposillipista o post-verista, né tanto meno come una emulazione dei fasti morelliani della pittura cosiddetta ‘di storia’, di cui pure, in Costiera non mancavano esemplificazioni prestigiose come quelle lasciate da Paolo Vetri ad Amalfi.

Angelo Della Mura

I Costaioli procedono con umiltà, ma anche con determinazione: non si allineano, tra l’altro, alle sensibilità postmacchiaiole, preferendo ad esse un linguaggio figurativo più netto e calligrafico, né guardano con interesse alle opportunità che si dispiegano nel seguito dell’esperienza impressionista rinunciando ad aderire a quella stagione post-impressionista che lungamente ha governato molti decenni della pratica ‘tradizionalista’ italiana ed europea.

I Costaioli sviluppano una pittura fatta di luce, ma non eterea ed impalpabilmente diafana, come faranno i Chiaristi o i veneti ‘di Burano’, andando, invece, a costruire la solidità figurativa dell’immagine con pienezza di coscienza figurativo-narrativa, spesso lasciandosi andare ad una esaltazione dei valori luministici che non si adagiano mollemente nella sensuosità di evanesenze lanose, raccogliendosi, piuttosto, in campiture di luce che testimoniano di un ambiente caldo e solatio.

Luigi Paolillo

Quando è venuta la ‘fortuna critica’ dei Costaioli, il ‘gruppo’ iniziale delle prime personalità di questi artisti già non c’era praticamente più: e ne rimanevano, piuttosto, le opere e gli epigoni, avendo noi cura d’avvertire che l’appellativo di ‘epigoni’ non va affatto inteso dispregiativamente, ma in termini di preziosità, piuttosto, che si rivela tanto più convincente quanto più si osserva, ad esempio, come il linguaggio ‘costaiolo’ saprà sedurre molti artisti, oltre che locali, anche di provenienza da paesi lontani, che scorgeranno negli ansiti dei ‘Pittori di Maiori’ piuttosto che un exemplum da seguire pedissequamente, una vocazione ed un’ispirazione morale, cui contribuiranno a dare aspetto e forma secondo altre e subentranti sensibilità stilistiche. E ci vengono alla mente nomi come quelli di Zagoruiko, di Kramer, di Willburger, mentre, intanto – ed ancora entro la prima metà del ‘900 – in un territorio che si dilata dalla Costiera al suo entroterra cavese e nocerino, si affermano voci come quella di Matteo Apicella o di Floriano Pepe e d’altri ancora.

Ma, evidentemente, con queste cose siamo già fuori del contesto propriamente ‘costaiolo’, come, in fondo lo eravamo, anche ai tempi dei ‘pionieri’, considerando il contributo di un autore come Scoppetta, che, pur spesso associato al clima ‘costaiolo’, di fatto se ne discosta per gli accenti decisamente saettanti di una pittura che è difficile leggere sempre nella stessa prospettiva che accomuna gli altri appartenenti alla ‘scuola’, la quale, intanto, sia pure con una valutazione critica ‘ex-post’, dimostra, nei fatti e per la affermazione della propria identità’, di meritare effettivamente la considerazione di qualcosa di ben più profondo che non di un semplice e casuale accorpamento di artisti privi di una riconoscibilità immediata e caratteriz

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