‘Un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo’.

Con questa semplice frase, spezzata intelligentemente da una serie di virgole, si apre una delle descrizioni più belle nella storia dei romanzi di genere avventura e della letteratura in generale: ‘Le tigri di Mompracem’, dello scrittore italiano Emilio Salgari.

Pubblicato per la prima volta a puntate, tra la fine del 1883 ed i primi mesi del 1884 e con il titolo ‘La Tigre della Malesia’, l’intero primo volume uscì nelle librerie nel 1900. Nello stesso tempo fece da apri pista per una serie di ‘puntate letterarie’, in tutto 11, edite durante i primi tredici anni del secolo scorso. Il personaggio principale non è solo l’iconico Sandokan, ‘La tigre della Malesia’ appunto, ma anche il fido Yanez e la ‘Perla di Labuan’.

Il primo romanzo, ambientato nella Malesia del 1849, è suddiviso in ben trentadue capitoli e tutti scritti con estrema semplicità. Ciò che colpisce, fin da subito, sono le descrizioni che incollano dalla prima fino all’ultima pagina facendo immaginare, con una facilità disarmante, qualsiasi luogo, momento, personaggio ed evento all’interno della storia, o comunque della trama, nella mente del lettore.

In questo, lo scrittore veronese, è stato un vero maestro non ricevendo, purtroppo, la giusta considerazione in vita, venendo di conseguenza troppo poco considerato. Eppure Salgari non era mai stato nei luoghi indicati nella sua opera letteraria. Questo elemento non è da sottovalutare e, allo stesso tempo, valorizza ancor di più il lavoro svolto dall’autore.

Altro punto di forza è la storia nella sua essenza. Scorre liscia, capitolo dopo capitolo, in maniera naturale. Ed è proprio la scorrevolezza della storia che ci spinge a proporre un quesito: questo primo capitolo letterario è stato scritto di getto o semmai studiato a tavolino? Forse sì o forse no; il suo modo di scrivere non è solo letteratura di altissimo livello ma è pura scuola per aspiranti romanzieri. Forse avrebbe meritato il Premio Nobel per la letteratura. Da leggere e da rileggere, per riscoprire storie di altri tempi; per scoprire romanzi, nonostante la semplicità, senza tempo.

Un pensiero su “L’immenso capolavoro di Emilio Salgari”
  1. Apprezzo tantissimo le considerazioni critico-storiografiche di Vincenzo Pepe a proposito di Salgari e di questo suo romanzo. È un intervento critico, peraltro, molto coraggioso, giacché l’autore, Salgari, tuttora non gode buona fama negli ambienti cosiddetti ‘alti’ della storiografia letteraria, essendo egli giudicato un narratore corsivo e buono per lettori di facili e semplici gusti.
    Salgari è stato, invece, uno scrittore di altissimo rilievo e fa bene Enzo Pepe ad evocare la capacità che ha avuto la sua scrittura di stimolare una partecipazione attiva del lettore, chiamato a ricostruire una scena ambientale ed un contesto storico ed umano che ha le peculiarità proprie della sensibilità di ciascun lettore, che sappia cogliere il suggerimento dell’autore ad immergersi, insieme con lui, in una avventura immaginativa di grande profilo.
    Forse, ma questo è un suggerimento critico mio personale, il successo non poteva baciare questo scrittore, Salgari, che osava attaccare con tanta veemenza, l’impero britannico, denunciandone l’azione predatoria e prevaricatrice, ad esempio, che viene esercitata contro la famiglia di Sandokan, prima che questi diventi il terribile pirata noto come Tigre della Malesia, e che viene esercitata anche in Italia, contro il Regno delle Due Sicilie, alimentando l’interesse aggressivo dei Savoia.
    Salgari è uno scrittore che dà fastidio per il suo parlar chiaro ed anche perché testimonia di quanto larga potesse essere la capacità fabulatrice della mente proiettata in una prospettiva visionaria ma non illogica, quella in cui la fantasia può surrogare efficacemente una conoscenza diretta delle cose, valendo, in tal modo, a smascherare la pretesa solidità documentaria del cosiddetto romanzo storico che si dimostra, invece, luogo, molto spesso, di retorica e di pregiudizio apodittico (Manzoni docet).
    C’è invece, in Salgari una carica umana di immenso valore che riscatta le sofferenze della vita e crea l’opportunità di una consistenza vitalistica e propositiva che affianca le logiche del romanzo positivista, corroborandone, con altri aspeftti e cadenze, il proponimento prospettico cui esso dava opportuno abbrivio anche di critica sociale. Grazie Enzo, per questa bellissima idea di aprire un suggerimento di lettura o di rilettura di Salgari.

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