Assonanze stilistiche e differenze contenutistiche all’interno di una pratica del Realismo figurativo in Germania che, dopo le sensibilità ‘positivistiche’ ottocentesche, inaugurava una nuova stagione nel rapporto tra pittura e consistenza oggettiva delle cose.

È un capitolo molto delicato quello della produzione artistica in Germania tra le due guerre mondiali poiché la attività creativa incrocia le vicende politiche e, fatalmente, ne viene condizionata negli sviluppi, soprattutto in ordine agli aspetti contenutistici, mentre, in punto latamente formale, è possibile osservare, invece, che le separazioni e le distanze tra le varie modalità della pratica ‘realistica’ sono decisamente meno dirimenti di quanto non lo siano le contrapposizioni ideologiche.

Se teniamo conto della netta distinzione tra loro che si presenta all’interno delle  molteplici prospettive che suggeriscono le posizioni di avanguardia – non avendo conto, peraltro, di quegli aspetti aniconici che pure caratterizzarono alcuni specifici orientamenti individuali – possiamo osservare, insomma, nell’ambito della pratica cosiddetta ‘figurativa’, il disporsi dell’impegno creativo in una visione, tutto sommato, abbastanza accorpante

Ed, infatti,  le delibazioni creative, che si presentano sulla scena ‘figurativa’, vanno dall’ordine più nettamente espressionistico di un Dix, o di un Grosz, a quello più nettamente celebrativo della ideologia di potere, con, nel mezzo, potremmo quasi dire, le dinamiche del ‘Magischer Realismus’ e della stessa ‘Neue Sachlichkeit’ – la ‘Nuova Oggettività’.

La matrice comune di tutte queste cose può essere considerata quella del Realismo ottocentesco che aveva avuto, ad esempio, a Monaco, come a Berlino, dei centri di grande irradiazione trovando, in personalità come quelle di Adolph Menzel o di Max Liebermann i più significativi maestri, interpreti, talvolta anche in modo irrituale, di sensibilità affioranti di ordine positivistico.

La fine del secolo XIX aveva segnato una svolta significativa: da una parte si affaccia  l’istanza avanguardistica, dall’altra si afferma la voglia di un profondo rinnovamento soprattutto formale che aveva già trovato nel cosiddetto ‘Jugendstil’ lo sbocco ideale per giustificare quel bisogno di fuga dalla realtà che caratterizzò la stagione europea che s’avviava alla tragedia della prima guerra mondiale nel tripudio della ‘Belle Epoque’ tra ballerine di Can-Can e bollicine di champagne.

A. Menzel, La fornace

Era un clima particolare, quello cosiddetto ‘fin de siècle’ e spaziava nei centri delle capitali europee: soprattutto a Parigi, nel contesto postimpressionistico e nel clima della ‘Belle Epoque’, ma anche nella Vienna ‘secessionista’ e, non meno, nella stessa Inghilterra che sbolliva la cosiddetta compressione ‘vittoriana’ lasciando che le logiche dell’ ‘Art and Craft’ spingessero nella direzione di promuovere e preannunciare, al tempo stesso, l’apparente fuor d’opera del clima eccentrico e dissacrante del ‘Bloomsbury Group’.

In questo clima, matura anche un nuovo approccio al realismo, un approccio che rifiuta, ormai, con decisione, le modalità ottocentesche e si rivolge ad una ricerca creativa equilibrata e compassata che possa premiare la centralità della immagine della consistenza delle cose  rappresentata nella sua concretezza oggettiva, al riparo dalle seduzioni formali che avevano ispirato, ad esempio, uno degli ultimi fautori di un Classicismo estenuato e prezioso come Cabanel e che avevano anche ispirato, ma, sul versante opposto, le asprezze realistiche di un Courbet, impegnato in una grande tensione di rappresentazione del tema ‘sociale’ restituito in immagini di sapore nettamente ‘oggettivo’.


C, Schad, Donna di Pozzuoli, 1925

Nei primi decenni del ‘900 si affaccia, quindi una nuova sensibilità realistica, fredda, per così dire, attestata in un rapporto profondamente disincantato con la realtà fenomenica; e tale pittura, che è quella cui daranno corpo in Germania, negli anni, appunto, tra le due guerre mondiali, artisti come Christian Schad o come Carl Grossberg è detta, appunto, della ‘Neue Sachlichkeit’, e, cioè, della ‘Nuova Oggettività’, essendo tale pittura quella che intende rappresentare e non semplicemente raffigurare le cose, con una prossimità d’intenti e di prospettive con quella sensibilità che viene prendendo vigore anche in Italia all’insegna della chiamata al ‘ritorno all’ordine’, che trova, ad esempio, nella rivista di ‘Valori Plastici’ un riferimento programmatico, che ispira con compiutezza di intenti il titolo del periodico fondato da Mario ed Edita Broglio.

C. Grossberg, La caldaia gialla, 1933

E, quindi, come la ‘Neue Sachlichkeit’ trova corrispondenza in Italia nelle logiche di ‘Valori Plastici’ – pensiamo ad artisti come Casorati, Funi, Fabbricatore – così si assiste ad una ulteriore corrispondenza tra sensibilità tedesca ed italiana anche nell’ambito del ‘Magischer Realismus’, il ‘Realismo Magico’, che vede impegnati in Italia artisti come Ugo Celada o Cagnaccio di San Pietro.

Un artista, poi, come Fritz Rieger, di cui già abbiamo trattato in queste stesse pagine, può essere considerato personalità ‘di ponte’ tra le due culture figurative, italiana e tedesca, di questo specifico tenore.

C’è, però, anche qualche altra osservazione che merita di essere additata: che a queste cose in ispecie, strettamente s’apparenta peraltro – avendo ragionevole possibilità di raffronto – un clima ancor più dilatato di quello del ‘ritorno all’ordine’ europeo, un clima che trova sponda negli USA, come in Unione Sovietica, rispettivamente in autori come E. Hopper o C. Sheeler di là dell’Atlantico e come A. Deineka nelle aree della terra di Russia.

C. Sheeler, Impianto industriale

In Germania, in particolare, troveremo, infine, alcune personalità di artisti, che hanno subito una sorta di ‘damnatio memoriae’, dopo la fine della seconda guerra mondiale, per il loro legame col regime nazista, artisti, che, comunque, seppero fornire una testimonianza di pregnanza realistica in linea con le migliori performances di questa temperie di cui andiamo discutendo che si afferma soprattutto nell’arco di tempo tra le due guerre mondiali.

Penseremo ad artisti come Leopold Schmutzler e come Adolf Ziegler, che innervano una ricerca di asciutta scansione formale, andando a compitare una pittura assolutamente consapevole e convinta delle proprie possibilità ed alla ricerca della assoluta perfezione esecutiva. Può essere significativo additare come Hitler avesse in massima considerazione, appunto, l’opera di Ziegler, il cui dipinto dei ‘Quattro Elementi’ campeggiava nel suo salotto, a Monaco, giusto sopra il camino.

Alla distanza, ormai di molti decenni dalla tragedia nazista, è possibile trarre un bilancio e valutare i contenuti intrinseci della portata creativa di questi autori innanzitutto osservando che appartennero, sostanzialmente, ad una stessa nidiata formativa, anche se la differenza di coscienza civile che separa un  Grosz, ma anche lo stesso Schad, ad esempio, da Ziegler è decisamente abissale, e non soltanto per quella maggiore sensibilità espressionistica che distingue Grosz in modo marcato e che si presenta in tralice in Schad o in Grossberg, differenziandoli dalla anodina politezza di un Adolf Ziegler o dalla sensuosità di Leopold Schmutzler, ma soprattutto per quel ruolo che giocò la differenza di coscienza morale e civile tra chi aveva praticato l’arte come sensibilità umana e civile e chi aveva immaginato, invece, che la fedeltà dell’arte al regime potesse costituire motivo fondante della tenuta contenutistica.

L’arte, insomma, non è semplicemente maestria tecnica e sapienza creativa ed ha bisogno, piuttosto, di costituirsi in sintesi di un sentire profondo che sia capace di trascendere un’ideologia – quale che essa sia – per proporsi come paradigma culturale e morale, alla maniera, vorremmo dire, di quella concezione kantiana che considerava le prospettive delle scelte come il banco di prova di un agire scevro di condizionamenti e di legami alla contingenza dei tempi, che sapesse volgersi ad una prospettiva di visione universalizzante.

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