Uscì l’8 febbraio del 1951

70 anni di ‘Miracolo a Milano. Diretto da Vittorio De Sica e sceneggiato da grandi nomi illustri come Cesare Zavattini, lo stesso Vittorio De Sica, Suso Cechi D’Amico, Adolfo Franci e Mario Chiari. Il film può essere definito una favola cortese e singolare. Vinse nel 1951 la Palma d’oro al Festival di Cannes. La prima caratteristica di Miracolo a Milano è proprio il fatto che si discosta dai precedenti film neorealisti di De Sica e Zavattini, per la presenza della magia, del soprannaturale.

Il film, infatti, costò molto, per gli effetti speciali made in U.S.A., realizzati da Ned Mann. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare gli elementi tipici del neorealismo non furono dimenticati, anzi. A partire dall’estetica suggestiva del bianco e nero, con sfumature a tratti impressioniste del celebre direttore della fotografia G. R. Aldo (Aldo Graziati).

I tempi di realizzazione del film furono molto lunghi: il soggetto fu scritto da Cesare Zavattini e Antonio De Curtis (l’idea di far nascere il personaggio principale sotto un cavolo fu del principe della risata), pubblicato per la prima volta nella rivista Cinema con il titolo Totò buono. Non trovando nessun produttore Zavattini adottò il soggetto in forma letteraria e fu pubblicato nel 1943 da Bompiani come romanzo per ragazzi.

In un’intervista rilasciata a John Francis Lane nel marzo 1980 Cesare Zavattini ricorda la sua lunga collaborazione con De Sica: “dopo Ladri di biciclette De Sica e io realizzammo insieme Miracolo a Milano e Umberto D., Vittorio diceva sempre che questi due film erano rispettivamente il suo omaggio a me (Miracolo a Milano si ispirava al mio racconto Toto il buono, a cui tenevo molto) e il mio omaggio a lui (Umberto D. si chiamava il padre di Vittorio da lui molto amato).

Ma per me questi film sono qualcosa in più: sono la continuazione del discorso che avevamo iniziato con Ladri di biciclette, con cui compongono una trilogia che descrive alcuni aspetti della sfaccettata realtà italiana il rapporto uomo-società in Ladri di biciclette (1948), la fuga delle difficoltà della vita in Miracolo a Milano (1951) e i problemi della vecchiaia in Umberto D. (1951).”

Quando De Sica decise di dirigere Miracolo a Milano aveva in mente di dare alla pellicola la struttura tipica della fiaba, il film inizia con la scritta “C’era una volta” e il vagito di un bambino trovato fra i cavoli del suo orto da una signora anziana, Lolotta (Emma Grammatica, attrice leggendaria del teatro italiano). La donna cresce con dedizione e amorevolezza il piccolo Totò, fino alla sua morte. Una scena straziante nella scena in cui Totò da solo accompagna il carro funebre di sua madre, in una Milano nebbiosa e sepolcrale. Rimasto solo il protagonista entra in orfanotrofio ed esce compiuta la maggiore età.

Totò (Francesco Golisano) ha grande entusiasmo e voglia di lavorare, ma in pieno dopoguerra, la povertà è inversamente proporzionale al lavoro. Trova un riparo fortuito, in una baraccopoli improvvisata nella periferia milanese. Riesce a vivere sereno e instaurare rapporti solidi di amicizia e lealtà con i baraccati.

I guai sono in agguato il terreno occupato abusivamente dai senza tetto è di proprietà di Mobbi (Guglielmo Barnabò), scoprendo che nel suolo c’è il petrolio chiede alla polizia di farli sgombrare. Ed è proprio qui che “Miracolo a Milano” si trasforma da film neorealista a film di genere fantastico. In aiuto di Totò, infatti, giunge la defunta madre Lolotta, sotto forma di angelo. La donna gli consegna una colomba magica, che permetterà agli occupanti di resistere alle forze dell’ordine e di fuggire all’arresto in piazza Duomo, volando via a cavallo su delle scope verso quel paese immaginario tanto desiderato.

La scena di questo “decollo” non solo è molto bella e persino commovente, sembra abbia ispirato Steven Spielberg per la scena delle biciclette volanti nel film E.T. Ciò dimostra ancora una volta quanto il cinema italiano e quello americano abbiano contribuito insieme a costruire l’immaginario di molte generazioni.

“Miracolo a Milano” resta una pietra miliare del cinema italiano, evidenziando i disagi della città di Milano nel secondo dopoguerra, tra crisi abitativa spaventosa e disoccupazione dilagante. I poveri della baraccopoli di Lambrate con le loro difficoltà riescono a sorridere alla vita e trovano spazio anche per i sentimenti.

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