Il 12 dicembre 1969 è una data nera per la storia d’Italia. Quel giorno il Paese, già lacerato dalle contestazioni studentesche e dalle rivendicazioni operaie del 1968 e “dell’autunno caldo” del 1969, entrò nella spirale di violenza e di sangue meglio conosciuta come “gli anni di piombo”.

Alle ore 16.37 del 12 dicembre 1969, un boato tremendo scosse l’atmosfera natalizia di Milano: un potente ordigno, infatti, esplose all’interno del salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, uccidendo diciassette persone e ferendone più di ottanta.

In quel momento, l’istituto di credito era affollato da diversi clienti, impegnati nella conclusione delle contrattazioni e nel disbrigo degli affari.
La bomba aprì una tremenda voragine nel punto in cui una mano ignota l’aveva collocata. Cioè sotto il grande tavolo collocato al centro del salone della banca.

L’esplosione di Piazza Fontana non fu il solo attentato che si verificò il 12 dicembre del 1969. A Roma esplosero altre due bombe: una presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura e l’altra presso il monumento del Milite Ignoto, senza però causare la morte o il ferimento di alcuno.

Inoltre, un’altra bomba inesplosa fu rinvenuta a Milano presso i locali della Banca Nazionale del Lavoro di Piazza della Scala. Le prime indagini della Polizia si orientano subito verso i gruppi degli anarchici.

La scelta degli investigatori fu determinato dall’unico elemento in loro possesso: la testimonianza di un tassista, Cornelio Rolandi, il quale dichiarò di aver accompagnato una persona presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura poco prima dell’esplosione.

Nel corso del successivo riconoscimento fotografico, Rolandi indicherà Pietro Valpreda come la persona che aveva viaggiato sul suo taxi fino a Piazza Fontana. Valpreda, noto negli ambienti anarchici milanesi come uno di quelli che predicava l’utilizzo delle bombe, senza però aver mai commesso episodi di violenza, è arrestato dalla Polizia il 16 dicembre 1969.

La sera stessa della strage, la Squadra Politica della Questura di Milano eseguì una serie di fermi nei confronti di diversi anarchici, tra i quali figura anche Giuseppe Pinelli.

Pinelli sottoposto a diversi interrogatori, troverà la morte, in circostanza tutt’ora misteriose, il 16 dicembre 1969, precipitando dal quarto piano della Questura di Milano. La morte di Pinelli segnerà l’inizio di una altra tragedia: quella del commissario Luigi Calabresi, da più parti indicato come l’assassinio di Pinelli e contro cui si scatenerà una violenta campagna di stampa. Calabresi sarà poi ucciso in un agguato il 17 maggio 1972.

La pista anarchica seguita dalla polizia milanese sembrò dare i suoi frutti, visto che Valpreda era ritenuto come il vero colpevole. Tuttavia, quella anarchica non era l’unica ipotesi investigativa accreditata, dal momento che a Padova, il Giudice Istruttore Pietro Calogero stava indagando sugli ambienti dell’estrema destra, individuando nei possibili responsabili della strage Franco Freda e Giovanni Ventura.

Calogero, anni dopo, in un’intervista alla Rai, denunciò i tentavi di depistaggio e di inquinamento delle prove da parte di settori deviati dello Stato: “accade che organi collocati ai vertici, o comunque all’interno, degli apparati di sicurezza dello Stato cominciano ad un certo punto a lavorare non a favore delle indagini ma contro di esse, non per collaborare con i giudici ma per intralciare e depistare il loro lavoro”.

Il processo della strage non si celebrerà a Milano, cominciato inizialmente a Roma il 23 febbraio 1972, di cui il principale imputato è Valpreda. Si interrompe dieci giorni, quando fu sollevata la questione di incompetenza territoriale della Corte di Assise di Roma, declinata dalla Corte di Cassazione in favore di quella Milano. Alla fine si andò verso un’altra sede: quella di Catanzaro, a seguito di rimessione per motivi di ordine pubblico ai sensi dell’art. 55 del codice di procedura penale allora vigente.

Si ritenne infatti che la gravità del delitto non consentiva di poterlo celebrare a Milano, dal momento che la serenità di giudizio dei componenti della Corte di Assise poteva essere pregiudicata dalle pressioni di carattere ambientale.
Il processo di Catanzaro, iniziato il 18 marzo 1974, venne subito sospeso dal momento che agli imputati si unirono anche Freda e Ventura, all’esito delle indagini condotte a Padova.

Il 25 gennaio 1975 cominciò finalmente il processo che vedeva sul banco degli imputati sia gli anarchici che i neofascisti. Tuttavia, il processo si fermò ancora una volta, a seguito del rinvio a giudizio di un nuovo imputato, Guido Giannettini, un giornalista vicino a Freda.

Il 18 gennaio 1977 il processo riprende il suo iter, tra gli imputati comparivano anche due ufficiali dei Servizi Segreti (il SID): il generale Gianandelio Maletti ed il capitano Antonio Labruna, accusati di aver ostacolato le indagini, avendo cercato di aver fatto evadere Freda, nonché di aver favorito la latitanza di Giannettini.

Nel 1979 la Corte di Assise condannò per la strage Freda, Ventura e Giannttini, assolvendo invece Valpreda e gli altri anarchici, i quali però furono comunque condannati per associazioni sovversiva, condannati anche Maletti e Labruna.

Il 20 marzo 1981 la Corte di Assise di Appello di Catanzaro assolse tutti gli imputati, ma la Cassazione annullò la sentenza, ordinando di ricelebrare il processo di appello, assegnandolo alla Corte di Assise di Appello di Bari che il 1 agosto 1985 assolse tutti gli imputati.

Nel 1996 cominciò una seconda indagine, culminata nel 2005 con una sentenza della Corte di Cassazione, la quale assolve tutti gli imputati.
La Cassazione stabilirà che i responsabili della strage erano da individuarsi in Freda e Ventura, i quali, essendo già stati assolti non potranno essere processati due volte per lo stesso reato

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