Lo scorso 26 Novembre è andato in onda sul canale Rai 1, “Rita Levi Montalcini”, film per la tv dedicato alla vita della scienziata, grande orgoglio italiano.

La storia si apre su uno dei momenti più alti della vita della Montalcini, il 10 dicembre 1986, serata nella quale la donna viene insignita del premio Nobel per la medicina. Negli anni cinquanta la professoressa Montalcini, riesce a individuare e isolare il fattore dell’accrescimento nervoso (Ngf), studio che le vale la grande onorificenza e la rende la prima donna italiana a ottenere il premio nobel nel campo della ricerca scientifica.

In seguito alla grande serata che l’ha resa protagonista, Rita vive un periodo di crisi, nel quale non riesce a sentirsi più pienamente soddisfatta. Inizia pertanto, di allontanarsi dal campo degli esperimenti. Su tale percorso dovrà ricredersi dopo l’incontro con Elena, giovane promessa del violino.

La ragazza è affetta da alcune ulcere sulla cornea, di origine neurologica che rischiano di renderla cieca. Fortemente coinvolta nel caso, la Montalcini è combattuta, non volendo illudere la piccola amica. Facendo leva sulle proprie esperienze di vita, come gli studi universitari in un ambiente ostile, la guerra e le persecuzioni, la scienziata decide di ritornare in laboratorio per cercare una cura proprio in quegli studi da lei compiuti nel passato. La possibilità è quella di sintetizzare il fattore di accrescimento con un collirio.

Lo scopo della pellicola è quello di rendere omaggio a una grande donna che ha fatto la storia del nostro paese, ottenendo come risultato, una celebrazione che non aggiunge nulla, riducendo la protagonista ad essere un “personaggio comune”.
Purtroppo, la presenza di Elena Sofia Ricci davanti alla macchina da presa e di Alberto Negrin dietro, questa volta, non sono garanzia di alta qualità. Negrin è stato il narratore di diverse storie aventi protagonisti grandi personalità del nostro paese, come Perlasca, Paolo Borsellino e Gino Bartali.

In questo caso, nonostante la storia di Rita Levi Montalcini sia lunga e affascinante, la pellicola non riesce a fare totalmente centro.
Sicuramente originale è l’intenzione di far partire la narrazione quasi in medias res, dal momento in cui la Montalcini vince il Nobel. Non si va molti avanti, è come se la storia volesse narrare solo un segmento della vita della scienziata ibridizzandolo con episodi di finzione. Non abbiamo davanti una studentessa ancora in erba, giovane, ma una donna avanti con gli anni, che ha vissuto una vita di grandi battaglie dietro di sé.

Dunque, cosa si può narrare ora? Vi è ancora una lunga serie di eventi interessanti da mostrare, ovvero quelli della nostalgia per l’età in cui l’energia non abbandonava il corpo, della maturità e della crisi, focalizzati in un lasso temporale. Bisogna considerare che narrare l’intera vita di Rita Levi Montalcini, è da considerarsi una grande impresa, in quanto bisognerebbe condensare 103 anni in 100 minuti circa. Di sicuro, una buona scelta, è quella di analizzare solo un periodo specifico della sua vita. Questo è ciò che il film cerca di fare, inciampando diverse volte.

“La moda passa, lo stile resta. Sa quante persone sono così riconoscibili al mondo? Due: la regina Elisabetta ed io”. Questa una delle prime battute che apre la pellicola e che potrebbe mostrare nuove sfumature della Montalcini, una scienziata, ma anche una donna dalla grande ironia e sicuramente eccentrica a suo modo. Purtroppo, la narrazione degli eventi trasforma un personaggio potenzialmente straordinario in uno “ordinario”, nell’ottica di un percorso di già visto, che si adegua a quello di tutti gli altri.

Rita Levi Montalcini non era come tutti gli altri, non era comune, ma straordinaria nella sua capacità di voler essere comune. Nella pellicola, la realtà si mischia alla finzione, cercando di restituire un’immagine diversa della medicina e della figura dello scienziato, mostrandone il lato umano, quello della fatica, della lotta e delle paure. Un grande problema che depotenzia tutta la struttura e rende debole la narrazione, sono i flashback.

Questi ripercorrono alcuni momenti chiave della vita della Montalcini giovane, come la confessione al padre circa il proprio volere di studiare e di non sposarsi o il dover affrontare le leggi razziali durante la guerra. Probabilmente l’utilizzo di tale tecnica narrativa, non era necessaria ai fini della storia o, forse, potevano essere utilizzati meglio. I vari segmenti riconducibili al passato sembrano essere posti solo per allungare il minutaggio e ovviare un percorso che è già ovvio di per sé. Sembrava quasi ci fosse il timore che le scene presenti, potessero non essere sufficienti a rendere il punto.

In generale, Rita Levi Montalcini non è un film totalmente mal riuscito, ma neppure uno che si distingue. Ciò a causa non di elementi sbagliati, ma di disposizione sbagliata di tali elementi nell’intera struttura narrativa. A farne le spese è dunque un personaggio meraviglioso, come lo è stata la Montalcini, che purtroppo non brilla come dovrebbe.

Sicuramente l’interpretazione di Elena Sofia Ricci, con il suo mirato linguaggio del corpo e un’espressività riuscita, risulta, come sempre, credibile e dona una certa forza alla fiction, controbilanciando, in parte, i suoi aspetti negativi. Buon lavoro anche quello del trucco e parrucco, che invecchiano l’attrice senza sembrare eccessivi o fasulli.

Nello specifico, tutti questi aspetti riescono a dare il meglio di se, soprattutto nella seconda parte del film, quando la figura della Montalcini mostra più sfumature legate alla sfera umana e di conseguenza, lo spettro interpretativo di Elena Sofia Ricci può meglio mostrarsi. Una lode anche a Cecilia Campiotti, giovane interprete di Elena, la bambina affetta dalla problematica alla cornea.

È giusto ricordare che in ogni caso, è sempre lodevole voler ricordare un grande personaggio attraverso un film, serie, documentario o qualsiasi altra forma artistica che si preferisca. Nonostante i suoi difetti, il film di Negrin può avere il grande di merito di aver risvegliato la curiosità di chi, Rita Levi Montalcini, la conosce solo per sentito dire. Bisogna sempre lodare chi, anche in tempi buoi come quello che attualmente stiamo vivendo, attraverso la propria opera, vuole ricordare le figure simbolo di forza e speranza.

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