Il Commissario Luigi Alfredo Ricciardi e la sua primavera. Non a caso, la seconda puntata letteraria del personaggio ideato dal genio di Maurizio De Giovanni, è intitolata, in parte, ‘La Primavera del Commissario Ricciardi’. Il titolo, quindi, non è del tutto completo e fa riferimento ad una stagione, anticipatoria dell’estate, che si presenta allo stesso protagonista, al brigadiere Maione e a tutti gli altri personaggi che si avvicendano nelle pagine di questo romanzo, del 2008, carica di aspettative.

Una primavera piena di promesse, dunque. Promesse da mantenere e che purtroppo disattende. Quando arriva non è solo per far sbocciare le rose e per far tornare verdi le piante, giunge quasi in silenzio e dopo una giornata di pioggia per svelare non subito le condanne stabilite dal destino. Giunge, nonostante tutto, in punta di piedi e con il suo carico di storie da scoprire, con persone ed i loro sogni che ruotano intorno alla nuova indagine da risolvere: l’omicidio di una vecchietta che legge le carte.

In questo seguito dell’episodio d’esordio del 2007, “Il senso del dolore – L’inverno del Commissario Ricciardi, lo sviluppo della trama non è solo in crescendo ma è anche incalzante. La storia, nei suoi sessantaquattro capitoli, è ulteriormente suddivisa in tanti piccoli sotto capitoli che fungono, nella loro essenza, in tante piccole scene incastonate, quasi, come pezzi di un puzzle che si delinea, come giusto che sia, solo nel finale.

L’elemento portante di tutta l’indagine è rappresentato da un antico detto napoletano: “O’ Padreterno nun è mercante, ca pava ‘o sabbato”. Il significato viene ugualmente esplicato da uno dei personaggi e, senza svelare chi sia, vuol dire che quando si fa qualcosa la ricompensa o la punizione, semmai anche la condanna, non si pagano con una data prestabilita; come avviene per i debiti degli uomini. Un proverbio, dunque, che alimenta ancor di più il mistero e che porta, chi legge il romanzo, inevitabilmente ad arrivare fino all’ultima pagina senza mai stancarsi.

Maurizio De Giovanni con grande maestria e semplicità dona ai suoi lettori una storia che miscela dramma e sofferenza, legati a speranze e sogni infranti. De Giovanni quando scrive parla e sembra che lo faccia sul ciglio di una strada oppure ad un angolo nascosto di un vicolo, quasi come una voce fuori campo che racconta e che accompagna quello che succede. Come in uno show televisivo.

Le sue descrizioni sono semplici e snelle, mai con una parola di troppo o con termini complicati. La sua scrittura, come in tutti i suoi romanzi, è poesia e sempre con la medesima ci svela ‘La condanna del sangue’, il principale titolo di questo giallo atipico rispetto ai canoni classici del genere. Un giallo, come era stato appurato nella recensione dedicata al primo romanzo della serie, con elementi soprannaturali e dove la solitudine del protagonista, in questo caso, non è una prerogativa solo di Ricciardi, ma di anche di tutti gli altri personaggi, di contorno e non, anche accompagnati da una persona vicina; perché nel destino che porta alla ‘condanna del sangue’ si è sempre irrimediabilmente soli.

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